CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 luglio 2017, n. 17009
Rapporto di lavoro – Agenzia ippica – Addetta al ricevimento ed al pagamento delle scommesse – Accordo sindacale – Distinzione fra lavoro autonomo e subordinato – Criteri
Fatti di causa
La Corte d’Appello di Genova, con sentenza depositata il 28/6/2011 confermava la pronuncia del giudice di prima istanza con la quale era stata accolta la domanda proposta da M. Z. nei confronti della Agenzia Ippica Di M. s.a.s. di L. F. e C., intesa a conseguire il pagamento di differenze retributive spettanti in relazione al rapporto di lavoro intercorso fra le parti dal febbraio 2002 al gennaio 2005 nel corso del quale aveva svolto attività di addetta al ricevimento ed al pagamento delle scommesse.
Nel pervenire a tali conclusioni la Corte distrettuale argomentava, in sintesi, che gli elementi emersi all’esito della espletata attività istruttoria erano indicativi dell’inserimento nell’assetto organizzativo aziendale, della prestazione resa dalla lavoratrice, nella carenza di alcuna autonomia organizzativa in capo alla stessa, non rilevando in senso contrario la circostanza che l’attività fosse resa solo su richiesta della società e che la lavoratrice fosse libera di accettare o meno l’offerta, atteso che il singolo rapporto poteva instaurarsi anche giorno per giorno, sulla base della acettazione della prestazione data dalla lavoratrice ed in funzione del suo effettivo svolgimento, così come affermato dalla costante giurisprudenza di legittimità.
La cassazione di tale pronuncia è domandata dalla società sulla base di unico motivo.
La parte intimata non ha svolto attività difensiva.
Il Collegio ha autorizzato la stesura di motivazione semplificata, ai sensi del decreto del Primo Presidente in data 14/9/2016.
Ragioni della decisione
1. Con unico articolato motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 e 2697 c.c. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 comma primo nn. 3 e 5 c.p.c.
La società si duole che la Corte distrettuale, nel proprio iter argomentativo, non abbia tenuto conto dell’accordo sindacale stipulato in data 25/3/1991 fra lo SNAI e la CGIL, CISL E UIL avente per obiettivo la riduzione dei margini di conflittualità in tema di distinzione fra lavoro autonomo e subordinato, ed in virtù del quale le parti avevano inteso definire criteri oggettivi di individuazione e distinzione fra tali categorie di lavoro. Il giudice del gravame avrebbe quindi tralasciato di considerare che lo svolgimento della prestazione sarebbe stato del tutto conforme ai criteri delineati dal richiamato accordo sindacale, e, dunque, corrispondente alla qualificazione in termini di lavoro autonomo ivi contenuta.
Osserva, poi, che diversamente da quanto dedotto nella pronuncia impugnata, la corresponsione di un compenso ad ore e non in base agli introiti, non poteva essere addotto quale indice di subordinazione, risultando pienamente conforme alla tipologia di prestazione resa. Da ultimo, rimarca la carenza di allegazione da parte della lavoratrice, di circostanze idonee a dimostrare la effettiva sottoposizione al potere direttivo ed organizzativo da parte della società.
2. La censura va disattesa.
Preme rilevare, sul punto dell’accertamento della controversa natura subordinata ovvero autonoma del rapporto di lavoro intercorso tra le parti, che il relativo giudizio è sindacabile, in sede di legittimità, essenzialmente sotto il profilo della determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto; mentre la valutazione delle risultanze processuali in base alle quali il giudice di merito ha ricondotto il rapporto controverso all’uno od all’altro istituto contrattuale implica un accertamento ed un apprezzamento di fatto che, come tale, è censurabile solo ex art. 360 comma primo n. 5 c.p.c. (vedi ex aliis, Cass. 3/4/2000 n. 4036 cui adde Cass. 7/10/2013 n. 22785).
In tal senso, si palesano profili di inammissibilità in relazione alle critiche formulate, tendenti a pervenire ad una rinnovata valutazione degli approdi ai quali è pervenuta la Corte distrettuale, inibita nella presente sede di legittimità anche alla luce dell’art. 360 comma primo n. 5 c.p.c.
Per consolidato orientamento di questa Corte la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (ex plurimis, vedi Cass. 4/4/2014 n. 8008, Cass. SS.UU.25/10/2013 n. 24148).
Invero il motivo di ricorso ex art. 360, co. 1, n. 5, c. p. c., non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo quello di controllare, sul piano della coerenza logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento, controllarne l’attendibilità e la concludenza nonché scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti in discussione, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (vedi fra le numerose altre, Cass. cit. n. 8008/14).
Per considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è, quindi, necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (fra le tante, vedi Cass. 14/2/2013 n. 3668).
Inoltre, per la configurabilità del vizio, è necessario che sussista un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica della controversia tale da far ritenere che, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza, con giudizio di certezza e non di mera probabilità (vedi Cass. 14/11/2013 n. 25068) elementi questi che nella specie appaiono carenti.
3. Applicando i suddetti principi alla fattispecie qui scrutinata, non può prescindersi dal rilievo che tramite la articolata censura la parte ricorrente, contravvenendo ai detti principi, sollecita un’inammissibile rivalutazione dei dati istruttori acquisiti in giudizio, esaustivamente esaminati dalla Corte territoriale, auspicandone un’interpretazione a sé più favorevole, non ammissibile nella presente sede di legittimità.
Facendo leva sui dati acquisiti in sede istruttoria, la Corte di merito ha infatti acclarato come il rapporto di lavoro inter partes si fosse svolto mediante chiamata, a seconda della necessità, con facoltà di aderire della lavoratrice, la quale era inserita nell’assetto organizzativo aziendale secondo modalità e funzioni predeterminate dalla impresa, svolgendo mansioni di raccolta scommesse, alle quali era associata una responsabilità di cassa, e percependo un compenso commisurato non agli introiti o alle scommesse raccolte, bensì alle ore di attività di lavoro prestate.
Sotto il profilo motivazionale la sentenza impugnata, per quello che riguarda il richiamato accertamento, è formalmente coerente con equilibrio dei vari elementi che ne costituiscono la struttura argomentativa, onde resiste alla censura all’esame.
4. Gli approdi ai quali è pervenuto il giudice del gravame, oltre che sostenuti, per quanto sinora detto, da iter motivazionale esente da censure, appaiono conformi a diritto perché coerenti con l’elaborazione giurisprudenziale delineata in tema.
In via generale, è stato infatti affermato con riferimento specifico agli sportellisti presso un’agenzia ippica (vedi Cass. 5/5/2005 n. 9343) che è dato irrilevante, ai fini della subordinazione, che il singolo lavoratore sia libero di accettare o non accettare l’offerta, di presentarsi o non presentarsi al lavoro e senza necessità di giustificazione, nonché, con il preventivo consenso del datore di lavoro, di farsi sostituire da altri, atteso che il singolo rapporto può anche instaurarsi volta per volta, anche giorno per giorno, sulla base dell’accettazione della prestazione data dal lavoratore ed in funzione del suo effettivo svolgimento, e la preventiva sostituibilità incide sull’individuazione del lavoratore quale parte del singolo specifico contingente rapporto, restando la subordinazione riferita a colui che del rapporto è effettivamente soggetto, svolgendo la prestazione e percependo la retribuzione.
Alla stregua delle sinora esposte consicferazioni deve pertanto affermarsi che la pronuncia impugnata si presenta del tutto corretta sul versante giuridico, essendosi attenuta ai principi di diritto sopra richiamati e, sotto il profilo motivazionale, per quello che riguarda il richiamato accertamento, risulta del tutto esente da vizi, così sottraendosi al sindacato di legittimità.
In definitiva, il ricorso è respinto.
Nessuna statuizione va, infine, emessa in ordine alle spese del presente giudizio, non avendo l’intimata svolto attività difensiva.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
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