CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 novembre 2017, n. 26697
Pubblico impiego – Infortunio in itinere – Autorizzazione all’uso di auto privata – Attività svolta dal lavoratore presso l’ambulatorio privato – Attività autorizzata e controllata dall’azienda sanitaria, collegata al rapporto di lavoro subordinato – Copertura assicurativa – Sussiste
Fatti di causa
A) C.A., medico dipendente dell’Azienda Sanitaria regionale Umbria 2 e dirigente del Centro di salute mentale di Perugia, come tale autorizzato all’uso dell’auto privata, mentre si recava al lavoro con la sua automobile rimaneva coinvolto in un incidente stradale da cui riportava lesioni ad un occhio. B) Avendo l’INAIL negato le prestazioni, il C. chiedeva al giudice di dichiarare che nella specie trattavasi di infortunio sul lavoro in itinere. Rigettata la domanda per esclusione dell’infortunio in itinere e proposto appello dall’assicurato, la Corte d’appello di Perugia (sentenza del 9.06.11) accoglieva l’impugnazione e ritenuti i postumi riconducibili al sinistro, condannava l’INAIL ad indennizzare il predetto in ragione di un danno biologico del 6%. C) Ricorre per cassazione INAIL con due motivi. Resiste con controricorso il C. che deposita anche memoria ex art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
1. Col primo motivo l’Inail deduce la violazione degli artt. 1 e 4 del d.p.r. n. 1124 del 30.6.1965 e la falsa applicazione dell’art. 12 del d.lgs n. 38/2000, ribadendo quanto già sostenuto nel giudizio di merito, e cioè che il fondamento della esclusione della indennizzabilità dell’evento lesivo era da ravvisare nella fattispecie nelle citate norme del Testo Unico n. 1124/1965, che individuavano le attività protette e le persone assicuratela le quali non figuravano i lavoratori autonomi, nella cui categoria era da ricomprendere il C. che in quella circostanza svolgeva attività professionale autonoma presso un ambulatorio privato, per cui non sussistevano i presupposti per il riconoscimento dell’infortunio in itinere.
2. Col secondo motivo, formulato per vizio di motivazione, l’istituto ricorrente deduce che era mancata la prova della derivazione dei postumi dall’incidente stradale del 5.7.2002, dovendo gli stessi (distacco di retina) ritenersi derivanti da malattia.
3. Osserva la Corte che i predetti motivi, che per ragioni di connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati, atteso che gli stessi non scalfiscono la validità della ratio decidendi sulla quale è incentrata l’impugnata sentenza.
Invero, correttamente la Corte perugina ha rilevato che l’Inail non aveva in alcun modo escluso l’astratta indennizzabilità dell’infortunio, limitandosi a negare la riconducibilità dei postumi al sinistro ed assumendo che gli stessi dovevano considerarsi conseguenza di malattia comune; inoltre, la stessa Corte, con accertamento in fatto adeguatamente motivato, ha evidenziato che in ogni caso dagli atti emergeva che l’attività svolta dal C. presso l’ambulatorio privato era autorizzata e controllata dall’azienda sanitaria alle cui dipendenze quest’ultimo operava, con obbligo di riscuotere e versare la tariffa, per cui la stessa non prescindeva dal rapporto di lavoro e rientrava, di conseguenza, nella copertura assicurativa di cui al d.lvo n. 38 del 2000.
E’ bene rilevare a tal riguardo che anche nel presente giudizio, a conferma di quanto già rilevato dalla Corte territoriale, il controricorrente ha riprodotto, trascrivendolo, il contenuto del documento di provenienza aziendale oggetto di causa (indicato come allegato 1), dal quale risulta effettivamente che a seguito della richiesta del C., pervenuta alla datrice di lavoro il 25.6.1998, quest’ultima lo autorizzava allo svolgimento dell’attività libero-professionale intra moenia presso il domicilio privato di via (…) in Perugia, con modalità organizzative definite nello schema allegato e con l’avvertenza che il medesimo avrebbe dovuto trasmettere alla Direzione del D.S.M., con cadenza mensile, il riepilogo delle prestazioni effettuate, nonché adottare le modalità previste per la rilevazione oraria dell’attività stessa. Pertanto, non può esservi alcun dubbio sul fatto che quest’ultima attività rientrava pienamente nella tutela assicurativa Inail, così come puntualmente accertato dalla Corte di merito.
Quanto alla riconducibilità dei postumi all’infortunio occorso al C., la Corte territoriale, con motivazione congrua ed esente da rilievi di legittimità, ha posto bene in risalto che le consulenze d’ufficio disposte nei due gradi di giudizio avevano consentito di appurare la sussistenza del nesso causale tra l’evento traumatico verificatosi nel corso dell’incidente stradale e la malattia denunciata ai fini del riconoscimento dell’infortunio professionale, con conseguente inabilità comportante un danno biologico del 6%, per cui anche sotto tale aspetto la doglianza di cui al secondo motivo non coglie nel segno. Pertanto, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite nella misura di € 2700,00, di cui € 2500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
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