CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 dicembre 2017, n. 29577
Dirigente – Licenziamento – Tardiva contestazione disciplinare – Ricorso per Cassazione inammissibilie – Accertamento del fatto controverso e la sua valutazione – Apprezzamento del giudice di merito
Svolgimento del processo
L’Istituto F.S.C. proponeva appello avverso la sentenza emessa il 30.2.13 dal Tribunale di Roma, con cui, in parziale accoglimento del ricorso proposto da P.L. – ex dipendente dell’Istituto con qualifica dirigenziale (quale responsabile del settore acquisti e lavori edili) – aveva dichiarato illegittimo il licenziamento in tronco intimatogli in data 11.7.06 e condannato l’Istituto al pagamento, in suo favore, della complessiva somma di € 758.752,15 (di cui € 100.963 a titolo di indennità di preavviso, ed € 65.789 a titolo di indennità aggiuntiva), rigettando ogni altra domanda. L’appellante sosteneva che erroneamente il giudice di prime cure aveva ritenuto tardiva la contestazione disciplinare, benché i fatti contestati fossero emersi soltanto a seguito degli accertamenti eseguiti nel giugno 2006; nel merito ribadiva che la condotta posta in essere dal lavoratore costituiva senz’altro giusta causa di licenziamento.
Resisteva il lavoratore, proponendo appello incidentale sostenendo che erroneamente il Tribunale aveva ritenuto che l’indennità dovuta in base all’accordo 28.5.01 non fosse cumulabile con l’indennità dovuta in base al c.c.n.I. di categoria, così come erroneamente aveva ritenuto non provato il dedotto demansionamento.
Con sentenza pubblicata il 13.4.15, la Corte d’appello di Roma accoglieva il gravame principale, ritenendo provati e gravi gli addebiti contestati, e rigettava, per difetto di prova, l’incidentale.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il P., affidato a sette motivi. Resiste l’Istituto con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
Il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata della presente sentenza.
1. – Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e\o falsa applicazione degli artt. 7 L. n. 300\70; 1175, 1375 e 2119 c.c.; 132 n. 4 c.p.c., in relazione alla erronea esclusione della tardività della contestazione disciplinare, avendo l’Istituto lasciato trascorrere sei mesi tra la conoscenza dei fatti e la contestazione.
Il motivo è inammissibile.
Deve infatti considerarsi che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione (che può concernere soltanto una questione di fatto e mai di diritto) posta dal giudice a fondamento della decisione (id est: del processo di sussunzione), sicché quest’ultimo, nell’ambito del sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto, presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata (ipotesi non ricorrente nella fattispecie); al contrario, il sindacato ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 5 c.p.c. (oggetto della recente riformulazione interpretata quale riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione: Cass. sez. un. 7 aprile 2014, n. 8053), coinvolge un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti (ipotesi ricorrente nel caso in esame). Ne consegue che mentre la sussunzione del fatto incontroverso nell’ipotesi normativa è soggetta al controllo di legittimità, l’accertamento del fatto controverso e la sua valutazione (rimessi all’apprezzamento del giudice di merito: quanto alla proporzionalità della sanzione cfr. Cass. n. 8293\12, Cass. n. 144\08, Cass. n. 21965\07, Cass. n. 24349\06; quanto alla gravità dell’inadempimento, cfr. Cass. n. 1788\11, Cass. n. 7948\11) ineriscono ad un vizio motivo, pur qualificata la censura come violazione di norme di diritto, vizio limitato al generale controllo motivazionale (quanto alle sentenze impugnate depositate prima dell’11.9.12) ed oggi all’omesso esame di un fatto storico decisivo, in base al novellato art. 360, comma 1, n. 5. c.p.c.
Il nuovo testo del n. 5) dell’art. 360 cod. proc. civ. introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. La parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso” (Cass. sez. un. 22 settembre 2014 n. 19881).
Il motivo non rispetta il dettato di cui al novellato n. 5 dell’art. 360, comma 1, c.p.c., limitandosi in sostanza a richiedere un mero ed inammissibile riesame delle circostanze di causa (in ordine ai tempi delle infrazioni ed alla loro conoscenza), ampiamente valutate dalla Corte di merito. Deve del resto considerarsi che il principio di immediatezza (o tempestività) della contestazione va inteso in senso relativo (ex plurimis, Cass. n. 1248\16, Cass. n. 20719\13) in relazione a tutte le circostanze del caso concreto.
Alla luce di tali considerazioni non sussiste neppure, all’evidenza, il denunciato vizio di cui all’art. 132 n. 4 c.p.c.
2. – Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e\o falsa applicazione degli artt. 7 L. n. 300\70; 1175, 1375 e 2697 c.c.
Lamenta che la sentenza impugnata ritenne erroneamente che la tardività della contestazione rileva solo se è segno di acquiescenza o se produce una lesione del diritto di difesa del lavoratore.
Anche tale motivo è inammissibile per le considerazioni sopra svolte, avendo la sentenza impugnata esaminato i relativi fatti, applicando peraltro ad essi un principio, di cui alla censura, pacifico nella giurisprudenza di questa Corte.
3. – Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e\o falsa applicazione degli artt. 7 L. n. 300\70 e 112 c.p.c., lamentando una omessa pronuncia sulla eccezione di genericità della contestazione.
Anche tale motivo è inammissibile per le ragioni sopra esposte, evidenziandosi che la sentenza impugnata ha sul punto accertato che il P. si difese adeguatamente dalle contestazioni sostenendo che non rientrava tra i suoi compiti autorizzare i pagamenti o verificare la corrispondenza tra i lavori eseguiti ed i lavoro contabilizzati, in contrasto, secondo il motivato apprezzamento della sentenza impugnata, con le sue mansioni di direttore tecnico.
4. – Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione e\o falsa applicazione degli artt. 7 L. n. 300\70 e 2119 c.c.
Lamenta che la corte di merito aveva ignorato che il 16.2.06 la Superiora Generale aveva espressamente accusato il P. di ‘aver tradito la fiducia in lui riposta’, evidenziando che dunque già nel febbraio 2006 l’Istituto era a conoscenza dei presunti illeciti, sicché la contestazione del giugno 2006 era incompatibile con una causa che non consente la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto.
Anche tale motivo è inammissibile, alla luce del novellato n. 5 dell’art. 360, comma 1, c.p.c. (come sopra esposto), mirando ad una diversa ricostruzione dei fatti, riproponendo peraltro le doglianze in merito alla tempestività della contestazione sopra esposta.
5. – Con il quinto motivo il ricorrente denuncia la violazione e\o falsa applicazione degli artt. 1362, 2697, 2727 e 2729 c.c.; 115, 116, 132 n. 4 c.p.c. lamentando una errata valutazione delle prove ed in ogni caso un vizio motivo al riguardo (quali avere il ricorrente chiaramente indicato in talune fatture la dicitura ‘da non pagare’ o similia).
Anche tale motivo è inammissibile per impingere direttamente nel fatto, rammentando quanto affermato al riguardo dalle sezioni unite di questa Corte, secondo cui l’omesso esame di taluni elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico (tra cui non rientra la valutazione delle risultanze istruttorie) rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. sez.un. 22 settembre 2014 n. 19881). La pretesa erronea valutazione delle prove attiene in sostanza al merito della controversia e non ad un fatto storico decisivo.
6. – Con il sesto motivo, parimenti, il ricorrente denuncia la violazione e\o falsa applicazione degli artt. 7 L. n. 300\70; 2119 c.c.; 99, 112 e 132 b. 4 c.p.c. lamentando una errata interpretazione degli atti processuali e vizio di motivazione.
Lamenta infatti il ricorrente che la sentenza impugnata, oltre ad aver travisato il contenuto di taluni documenti, nell’affermare che il P. sarebbe stato inviato dalla Superiora a Treviso per verificare la correttezza dei lavori e della loro contabilizzazione (a conforto delle contestate irregolarità), non trovava esatta corrispondenza negli atti processuali, ma la circostanza, priva di effettivo valore decisivo, non concreta alcuna violazione dell’art. 112 c.p.c. posto che, come evidenzia lo stesso ricorrente, il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, fissato dall’art. 112 cod. proc. civ., non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, nonché in base all’applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall’istante, ma implica il divieto per lo stesso giudice di attribuire alla parte un bene non richiesto o, comunque, di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nei fatti di causa ma in elementi di fatto non ritualmente acquisiti in giudizio (Cass. n. 18249\09). Nella specie non risulta alcuna statuizione basata esclusivamente su fatti, in tesi, non ritualmente acquisiti in giudizio, mentre, per il resto, la censura si risolve in un non consentito riesame delle circostanze di causa (ivi compreso il denunciato travisamento del contenuto di un documento, cfr. Cass. sez.un. n. 22398\16), come sopra evidenziato.
7. – Con il settimo motivo il ricorrente denuncia la violazione e\o falsa applicazione degli artt. 75 e 654 c.p.p., oltre alla violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c.
Lamenta che la sentenza impugnata basò la fondatezza dell’addebito sul procedimento penale che lo vide imputato per i fatti in questione, e non sulle prove ivi emerse, di cui la corte di merito non fece comunque alcuna autonoma valutazione.
Il motivo è infondato per due ragioni: innanzitutto perché la sentenza impugnata ha fatto riferimento al processo penale in questione solo ad abundantiam (avendo già accertato i fatti e la loro gravità, a sostegno dei quali cita il procedimento penale che lo vide condannato, sia pure in primo grado, pendendo appello); in secondo luogo in quanto la corte di merito ha valutato non il procedimento in sé ma, autonomamente, le prove emerse nel corso di quel giudizio, ed in particolare la perizia ivi svolta (da cui emerse una differenza tra il pagato alle varie ditte appaltatrici e quanto effettivamente dovuto pari ad €.112.000 circa), cfr. Cass. n. 10055\10.
8. – Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi, € 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115\02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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