CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 dicembre 2017, n. 29578

Pubblico impiego – Inquadramento a livello dirigenziale – Verbale di conciliazione – Nullità del contratto – Potere officioso del giudice

Fatto e motivi

1. Il Tribunale di Aosta, in parziale accoglimento del ricorso proposto da M.M. nei confronti dell’Azienda Regionale Edilizia Residenziale per la Valle d’Aosta (anche ARER di seguito), dichiarò il diritto del ricorrente all’inquadramento nel terzo livello dirigenziale.

2. La Corte di Appello di Torino con la sentenza n. 266 in data 13.3.2012 ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello proposto dall’ ARER nei confronti di tale sentenza.

3. La Corte territoriale ha ritenuto che: difettava l’interesse ad impugnare la sentenza di primo grado perché non era configurabile alcuna soccombenza dell’Azienda, avendo il Tribunale riconosciuto il diritto all’inquadramento rivendicato dal M. in conformità alle conclusioni assunte dalla stessa appellante; l’ARER in sede di gravame aveva mutato la domanda sia in ordine al “petitum” (aveva chiesto non più l’accertamento del corretto inquadramento del M. nel terzo livello dirigenziale, ma il rigetto della domanda volta al riconoscimento del diritto al suddetto inquadramento) sia la “causa petendi” (aveva eccepito per la prima volta in sede di gravame la nullità del verbale di conciliazione intervenuto con il M., la perdurante applicabilità del regime pubblicistico al rapporto dedotto in giudizio, il mancato svolgimento delle mansioni dirigenziali, la correttezza dell’inquadramento del M. nella categoria D).

4. Avverso tale sentenza l’Azienda Regionale Edilizia Residenziale per la Valle d’Aosta ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi illustrati da successiva memoria, al quale ha resistito con controricorso M.M. il quale ha a sua volta depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

Sintesi dei motivi del ricorso

5. Con il primo motivo I’ ARER denuncia, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., violazione dell’art. 100 c.p.c., per avere la Corte territoriale valutato l’interesse ad agire in senso formale con riguardo alle conclusioni formulate nel giudizio di primo grado e non in senso sostanziale con riferimento agli effetti della sentenza di primo grado.

6. Con il secondo motivo I’ ARER denuncia, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 437 c.p.c., asserendo che, diversamente da quanto affermato dalla Corte territoriale, essa Azienda nel giudizio di appello non aveva svolto alcuna domanda ma si era limitata a formulare mere difese e ad eccepire la nullità del verbale di conciliazione stipulato con il M.; deduce la rilevabilità di ufficio di siffatta nullità sul rilievo che la conciliazione costituiva elemento costitutivo della domanda del M..

7. Con il terzo motivo I’ ARER denuncia, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1344, 1418 e 2113 c.c., 52 e 56 del D. Lgs. n. 165 del 2001, 30 bis e 50 della L.R. n. 45 del 1995, 18 L.R. n. 30 del 1997 e dell’art. 97 Cost. La ricorrente sostiene che: il rapporto di lavoro dedotto in giudizio era disciplinato dalla L.R. n. 45 del 1995 e dal D. Lgs. n. 165 del 2001 in virtù dell’art. 18 L.R. n. 30 del 1999 che dispone che i contratti del personale sono stipulati dall’Agenzia regionale per le relazioni sindacali di cui all’art. 46 della L.R. n. 45 del 23.10.1995 e che fino alla stipulazione dei contratti di cui al c. 1 al personale dell’Azienda si applicano lo status e le norme contrattuali vigenti; la natura di ente pubblico economico di essa azienda non precluderebbe l’applicazione della disciplina del rapporto di impiego pubblico; I’ applicazione della disciplina pubblicistica al rapporto dedotto in giudizio comportava la nullità, ai sensi degli artt. 1418 c.c. e 1344 c.c., del verbale di conciliazione sottoscritto con il M., il quale aveva previsto l’inquadramento di questi nel terzo livello dirigenziale al di fuori di procedure concorsuali.

Esame dei motivi

8. Il primo ed il secondo motivo da trattarsi congiuntamente sono fondati.

9. In ordine al primo motivo, va osservato, che secondo il principio ripetutamente affermato da questa Corte, al quale questo Collegio ritiene di dare continuità, il diritto ad agire e a resistere in giudizio ex art. 100 c.p.c., trova il suo indefettibile presupposto processuale in una statuizione della pronuncia giurisdizionale sfavorevole alla parte, tale da determinarne la “soccombenza almeno parziale” in ordine alle domande od eccezioni proposte e, dunque, trova presupposto nella situazione oggettiva di svantaggio in cui la parte viene a trovarsi rispetto all’interesse sostanziale dedotto in giudizio (“petitum mediato”: bene della vita che la parte intende conseguire o difendere mediante la tutela giudiziale accordata dall’ordinamento). In tal senso le pronunce di questa Corte sono concordi nell’affermare che “ai fini della sussistenza dell’interesse ad impugnare una sentenza rileva una nozione sostanziale e materiale di soccombenza, che faccia riferimento non già alla divergenza tra le conclusioni rassegnate dalla parte e la pronuncia, ma agli effetti pregiudizievoli che dalla medesima derivino nei confronti della parte” (Cass.nn.. 2494/1999, 2022/2000), dovendo aversi riguardo alla soccombenza nel suo aspetto sostanziale e non meramente formale, in quanto correlata al pregiudizio che la parte subisca a causa della sentenza e della sua idoneità a formare il giudicato (Cass. 10134/2003, 3608/2007, 10486/2009, 6770/2012) e, corrispondentemente, all’ “utilità concreta” che, in quanto diretta alla eliminazione di tale pregiudizio, deriva alla parte dall’eventuale accoglimento dell’impugnazione (Cass. 15353/2010; Ord. 15355, 2051/2011).

10. E’ stato precisato che la soccombenza, intesa come pregiudizio, rileva, “ex se”, come dato obiettivo della difformità tra il provvedimento adottato in ordine al bene della vita conteso e l’interesse concreto di ciascuno dei contendenti in relazione a tale bene, rimanendo del tutto indifferente il comportamento processuale tenuto dalla parte, tanto nel caso in cui, convenuta in giudizio, la stessa sia rimasta contumace, quanto nel caso in cui, costituitasi in giudizio, non abbia resistito alla domanda proposta nei suoi confronti ovvero abbia manifestato adesione ad essa (Cass. 9864/1998).

11. Va anche ribadito, passandosi così all’esame del secondo motivo di ricorso, il principio secondo il quale il potere di rilievo officioso della nullità del contratto spetta anche al giudice investito del gravame relativo ad una controversia sul riconoscimento di pretesa che suppone la validità ed efficacia del rapporto contrattuale oggetto di allegazione, e che sia stata decisa dal giudice di primo grado senza che questi abbia prospettato ed esaminato, né le parti abbiano discusso, di tali validità ed efficacia, trattandosi di questione afferente ai fatti costitutivi della domanda ed integrante, perciò, un’eccezione in senso lato, rilevabile d’ufficio anche in appello, ex art. 345 c.p.c. (Cass. SSUU 7294/2017).

12. Deve precisarsi che nella fattispecie in esame non trova applicazione il principio secondo cui il giudice non può rilevare di ufficio una ragione di nullità del licenziamento diversa da quella eccepita dalla parte, (ex plurimis Cass. n. 7687/2017), principio affermato sul rilievo della specialità della disciplina del licenziamento rispetto a quella generale della invalidità negoziale, specialità desunta dalla previsione di un termine di decadenza per impugnarlo e di termini perentori per il promovimento della successiva azione di impugnativa, che resta circoscritta all’atto e non è idonea a estendere l’oggetto del processo al rapporto, non essendo equiparabile all’azione con la quale si fanno valere diritti autodeterminati.

13. La Corte territoriale ha disatteso i principi richiamati nei precedenti punti da 9 a 12 di questa sentenza in quanto ha, erroneamente, ritenuto che difettasse l’interesse ad impugnare la sentenza di primo grado sul rilievo che non fosse configurabile alcuna soccombenza dell’Azienda nel giudizio di primo grado e sul rilievo che l’eccezione di nullità del verbale di conciliazione fosse inammissibile per “novità” rispetto alle difese dall’Azienda appellante nel giudizio di primo grado.

14. Sulla scorta delle considerazioni svolte, la sentenza impugnata in accoglimento del primo e del secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo, va cassata e la causa va rinviata alla Corte di Appello di Torino che, in diversa composizione, procederà a un nuovo esame, attenendosi ai principii di diritto che seguono:

15. “Ai fini della sussistenza dell’interesse ad impugnare una sentenza rileva una nozione

sostanziale e materiale di soccombenza, che faccia riferimento non già alla divergenza tra le conclusioni rassegnate dalla parte e la pronuncia, ma agli effetti pregiudizievoli che dalla medesima derivino nei confronti della parte”.

16. “Il potere di rilievo officioso della nullità del contratto spetta anche al giudice investito del gravame relativo ad una controversia sul riconoscimento di pretesa che suppone la validità ed efficacia del rapporto contrattuale oggetto di allegazione e che sia stata decisa dal giudice di primo grado senza che questi abbia prospettato ed esaminato, né le parti abbiano discusso, di tali validità ed efficacia, trattandosi di questione afferente ai fatti costitutivi della domanda ed integrante, perciò, un’eccezione in senso lato, rilevabile d’ufficio anche in appello, ex art. 345 c.p.c.”

17. La Corte territoriale provvederà, inoltre, alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Torino, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.