CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 maggio 2017, n. 11562
Omissione contributiva – Inps – Sanzione – Quantificazione – Richiesta di rateizzazione
Fatti di causa
Si controverte dell’opposizione, da parte della E. s.p.a., alla cartella esattoriale emessa per il pagamento di contributi e sanzioni in favore dell’Inps, a fronte della quale la predetta società aveva chiesto al Tribunale di Firenze di dare atto del pagamento degli accessori e di quantificare la sanzione con l’aliquota prevista per l’omissione contributiva.
L’adito Tribunale, nell’accogliere la domanda, determinava la sanzione nella minor somma di € 22.347,71.
La Corte d’appello di Firenze, accogliendo, invece, l’impugnazione dell’Inps, con sentenza del 16.3 – 3.4.2010, ha rigettato l’opposizione della predetta società, dopo aver rilevato che quest’ultima, nelle more del giudizio di primo grado, aveva presentato all’Inps una richiesta di rateizzazione comportante un riconoscimento del debito nel suo complessivo ammontare.
Per la cassazione della sentenza ricorre la società E. s.p.a. con due motivi.
Resiste con controricorso l’Inps, anche in rappresentanza della società di cartolarizzazione dei crediti Inps.
Ragioni della decisione
1. Col primo motivo la società ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione della legge n. 388 del 23.12.2000, art. 116, comma 8, lett. a), nonché l’omessa o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, contestando la parte della decisione in cui la Corte di merito richiama la clausola di rinuncia contenuta nel modello di domanda di pagamento rateale, alla quale connette valore di riconoscimento di debito, al fine di giustificare il proprio convincimento sulla infondatezza dell’opposizione alfa cartella esattoriale oggetto di causa.
In pratica si assume che nessuna deroga poteva essere prevista in favore o in danno del creditore che nella determinazione dell’an e del quantum delle somme aggiuntive o sanzioni civili si conformava necessariamente al disposto normativo, a nulla potendo valere accordi o contratti in qualche modo derogatori.
1.1. Il motivo è infondato perché, contrariamente a quanto supposto dalla ricorrente, la Corte d’appello non ha affatto ritenuto che la clausola di rinunzia all’opposizione avverso la cartella “de qua” avesse valore derogatorio del regime sanzionatorio contemplato per le ipotesi di omissione contributiva, tanto che ha giudicato corretta la decisione del primo giudice in ordine all’applicabilità dell’ipotesi sanzionatoria più lieve dell’omissione in luogo di quella più grave dell’evasione contributiva. In sostanza, la Corte di merito ha preso atto della circostanza che la suddetta rinunzia, sorretta da una precedente richiesta di rateizzazione del debito equivalente al suo riconoscimento, non consentiva di mettere più in discussione l’ammontare dello stesso, così come indicato nella cartella esattoriale notificata. Ne consegue che non è dato ravvisare il vizio di violazione di legge sopra denunziato, così come non sussiste il lamentato vizio di omessa o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, posto che ragionamento seguito dalla Corte territoriale riposa sull’apprezzamento di una circostanza di fatto adeguatamente valutata in modo esente da vizi di ordine logico-giuridico e supportata da documenti esistenti nel fascicolo dell’Inps.
2. Col secondo motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1341, comma 2°, cod. civ., nonché l’omessa o contraddittoria motivazione su un fatto decisivo della controversia, dolendosi del contenuto vessatorio della clausola contenente l’istanza di rateazione del debito e la mancanza di una sua specifica sottoscrizione.
2.1. Il motivo è infondato perché non è dimostrato che si fosse in presenza di un contratto contenente una clausola vessatoria imposta dalla controparte, emergendo, al contrario, dalla sentenza, che la ricorrente aveva esplicitamente rinunziato nel corso del giudizio a qualsiasi opposizione. In concreto, si era avuta una richiesta della debitrice volta alla rateizzazione del proprio debito contributivo, comportante un riconoscimento dello stesso nel suo complesso, seguita da una rinunzia della medesima ad esperire rimedi giurisdizionali avverso l’opposta pretesa creditizia. Emerge, quindi, dalla sentenza che vi era stata una proposta liberamente formulata dalla società contribuente, la qual cosa esclude a priori la natura vessatoria della relativa clausola che presuppone una volontà contrattuale della controparte diretta ad imporre condizioni particolarmente onerose per la parte debitrice che le sottoscrive.
Infatti, nella sentenza si fa chiaro riferimento ad un’istanza e ad un atto di impegno per il pagamento dilazionato, con accoglimento della richiesta, documenti, questi, presenti nel fascicolo dell’istituto di previdenza.
Pertanto, il ricorso va rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di € 3200,00, di cui € 3000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
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