CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 maggio 2017, n. 11693
Tributi – ICI – Riqualificazione immobile – Concessione per la realizzazione e gestione di parcheggio e centro talassoterapico – Diritto di superficie – Decorrenza dell’imposta – Dalla data di stipula della convenzione
Fatti di causa
In accoglimento dell’appello del Comune di Alassio, la Commissione tributaria regionale della Liguria dichiarava legittimo l’avviso di accertamento e liquidazione emesso nei confronti di F. C. F. s.p.a. per l’imposta comunale sugli immobili relativa al G. H. A., annualità 2001.
A differenza del giudice di prime cure, il giudice del gravame riteneva che il diritto di superficie e il pertinente carico tributario decorressero fin dalla stipula della convenzione del 26 marzo 2001 con la quale il Comune aveva affidato a C. s.p.a. (poi rilevata da F. C. F.) la riqualificazione della struttura alberghiera, concedendole di realizzarvi e gestirvi un parcheggio interrato e un centro talassoterapico.
Subentrata a F. Costruzioni Finanziaria, F. A. s.r.l. ricorre per cassazione con tre motivi, illustrati da memoria.
Il Comune resiste con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1367 cod. civ., per aver il giudice d’appello interpretato gli artt. 2, 20 e 25 della convenzione 26 marzo 2001 nel senso che il diritto di superficie si sia costituito già alla stipula del negozio, anziché solo al collaudo dell’opera.
1.1. Il motivo è infondato.
Il diritto di superficie è il “diritto di fare e mantenere al disopra del suolo una costruzione a favore di altri, che ne acquista la proprietà” (art. 952 cod. civ.); analogo, per natura e regime, il “diritto di fare e mantenere costruzioni al disotto del suolo altrui” (art. 955 cod. civ.).
Per come è trascritta in ricorso, la convenzione 26 marzo 2001, all’art. 2, istituisce tale “diritto di fare e mantenere” con effetto immediato, ciò che emerge dall’uso del verbo al modo indicativo (“concede e costituisce”); il collaudo dell’opera è indicato a fini differenti, quale dies a quo del termine di ottantacinque anni fissato per la gestione dell’opera.
L’interpretazione letterale non è punto incompatibile con le altre clausole negoziali: non con l’art. 20, che, riferendosi al “diritto di mantenere l’opera … per la durata di ottantacinque anni”, si limita a ribadire l’esistenza di un termine finale ex art. 953 cod. civ., senza nulla dire sul termine iniziale, quest’ultimo da riferire viceversa alla fattispecie complessiva (“fare”, prima di “mantenere”); nemmeno è incompatibile con l’art. 25, che, ponendo a carico della società un corrispettivo “per tutta la durata della concessione”, si limita ad aggiungere al sinallagma una controprestazione personale, ulteriore a quella reale.
Posto al centro della decisione il canone testuale, quindi, il giudice d’appello non ha violato alcun altro criterio ermeneutico.
Si rammenta che il sindacato di legittimità sull’interpretazione del contratto non può investire il risultato interpretativo in sé, appartenente all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma può riguardare solo l’osservanza dei canoni ermeneutici legali e la coerenza della motivazione (Cass. 13 febbraio 2002, n. 2074, Rv. 552238; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2465, Rv. 634161).
2. Il secondo motivo di ricorso denuncia omessa pronuncia, per aver il giudice d’appello pretermesso l’eccezione di esonero dall’ICI, eccezione fondata sugli artt. 5 e 11 della convenzione 26 marzo 2001.
2.1. Il motivo è inammissibile.
Le clausole da ultimo richiamate non contengono affatto l’esonero dal debito ICI, imposta che esse neppure menzionano, riguardando tutt’altri oneri.
Resta pertanto senza deroga la soggettività passiva a fini ICI del titolare del diritto di superficie (art. 3, comma 1, d.lgs. 504/1992), ove mai fosse ammissibile una deroga convenzionale in materia tributaria (contra, Cass. 30 maggio 2002, n. 7945, Rv. 554773; Cass. 9 novembre 2004, n. 21311, Rv. 578242).
L’omissione di pronuncia del giudice d’appello non risulta quindi decisiva, come invece dovrebbe essere per giustificare la cassazione (Cass. 2 agosto 2016, n. 16102, Rv. 641581).
3. Il terzo motivo di ricorso denuncia omessa pronuncia, per aver il giudice d’appello pretermesso l’eccezione di non corretta determinazione della base imponibile, eccezione fondata sull’incidenza degli oneri di adattamento del terreno e sui prezzi medi delle aree analoghe.
3.1. Il motivo è inammissibile.
In aperta violazione del principio di autosufficienza, il ricorso non riproduce l’avviso di accertamento e liquidazione, sicché resta impedito alla Corte di verificare lo sviluppo del calcolo d’imposta in rapporto ai parametri stabiliti dall’art. 5 d.lgs. 504/1992.
L’omissione di pronuncia del giudice d’appello non risulta quindi decisiva, come invece dovrebbe essere per giustificare la cassazione (Cass. 2 agosto 2016, n. 16102, Rv. 641581).
4. Il ricorso deve essere respinto, con aggravio di spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 2.200,00 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.
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