CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 novembre 2016, n. 23033
Tributi – IVA – IRPEF – Accertamento fiscale – Erronea determinazione del reddito
In fatto
S.M.G. impugnava gli avvisi di accertamento per IVA, relativamente agli anni d’imposta 2004/2005/2006, e per IRPEF, relativamente agli anni d’imposta 2004/2005, emessi dall’Ufficio delle Entrate di Orvieto, sostenendo, quanto all’imposta sul reddito delle persone fisiche, l’infondatezza della pretesa impositiva perchè aveva preso a base dell’accertamento anche le spese del fabbricato di proprietà considerandolo non riconducibile all’attività d’impresa, l’erronea determinazione del reddito, in ogni caso da ricalcolare, la mancata considerazione dei redditi percepiti dal 2000 al 2005 in Gran Bretagna che, unitamente alle somme rinvenienti dalle operazioni di finanziamento bancario effettuate in Italia, giustificavano stile di vita e la capacità contributiva di esso contribuente, nonché, quanto all’imposta sul valore aggiunto, sostenendo l’esistenza della impresa agricola avente ad oggetto principalmente la silvicoltura, circostanza che giustificava sia l’immediata inesistenza di operazioni attive, sia la mancanza di personale adibito all’attività, oltre che la ridotta entità degli acquisti di beni strumentali.
Nei due gradi del giudizio di merito, le adite Commissioni riconoscevano la fondatezza dei rilievi del contribuente.
In particolare, i giudici di appello rilevavano che non v’era dubbio sul fatto che lo S. esercitasse l’attività di imprenditore e che avendo optato per il regime ordinario della gestione IVA, rinunciando al regime agevolato previsto in agricoltura, avesse diritto alla detraibilità dell’imposta per l’anno 2006, essendo cessata la materia del contendere per gli anni d’imposta precedenti a seguito di definizione ex art. 39, comma 12, D.L. n. 98 del 2011. Aggiungevano, quanto all’IRPEF, l’infondatezza del gravame perché l’Ufficio, nell’applicare il redditometro, non aveva tenuto conto dei redditi prodotti all’estero, che avevano consentito al contribuente di disporre di una adeguata disponibilità finanziaria, oltre che delle somme ricevute a mutuo. L’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza d’appello con tre motivi. Resiste l’intimato con controricorso.
In diritto
Con un primo motivo la ricorrente Agenzia deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per carenza della motivazione, in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 2, 36, comma 2, n. 4, D.Lgs. n. 546 del 1992, per avere i giudici di appello affermato apoditticamente che il contribuente svolgesse attività d’impresa, questione controversa e decisiva, sia in relazione al recupero dell’IVA, che traeva fondamento dall’inesistenza dell’allegata attività agricola e dal difetto di inerenza degli acquisti in relazione ai quali era stata portata a detrazione l’imposta, sia in relazione al recupero dell’IRPEF, in quanto le spese per le ristrutturazioni e gli arredi di Castel Viscardo, nonché l’acquisto del veicolo Range Rover, erano stati considerati non riferibili all’inesistente attività d’impresa e qualificati come spese personali, ai sensi dell’art. 38, comma 4, D.P.R. n. 600 del 1973 indicative di capacità contributiva.
Con un secondo motivo la ricorrente deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 38, commi 4 e 6, D.P.R. n. 600 del 1973, con riferimento alla affermata disponibilità, in capo al S. redditi atti a giustificare le spese contestate atteso che l’accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore, ma impone di fornire prova idonea che le somme disposizione provengano da redditi esenti o che abbiano scontato l’imposta alla fonte, come prescritto dall’art. 8, comma 6, D.P.R. n. 600 del 1973, e che gli acquisti contestati siano stati finanziati proprio con tali disponibilità economiche, non essendo all’uopo sufficiente la mera prova del possesso di un qualsiasi reddito per escludere l’effetto presuntivo.
Con un terzo motivo la ricorrente deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., insufficiente motivazione e omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, con riferimento al capo della sentenza che afferma la disponibilità di redditi esteri atti a giustificare le spese contestate, non avendo i giudici di appello considerato che l’Ufficio aveva già tenuto conto, per gli anni d’imposta 2004 e 2005, dei redditi dichiarati in Gran Bretagna, ragguagliati ai periodi d’imposta presi in considerazione, né avevano dato conto nella motivazione, quanto ad essi, della misura in cui, al netto dell’imposta dovuta in quel Paese, fossero sufficienti allo scopo, perché non consumati per intero negli anni di pertinenza, e ne fosse tracciabile la disponibilità in Italia sui conti bancari, nonché, quanto alla somma derivante dal “consistente” mutuo contratto dal contribuente, che essa avesse effettivamente finanziato le spese ed il tenore di vita oggetto di contestazione.
La censura svolta nel primo motivo è fondata.
Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate lamenta la mancata esposizione, nella sentenza della CTR dell’Umbria, delle ragioni che hanno indotto i giudicanti a disattendere le tesi dell’Ufficio, senza procedere ad una adeguata disamina delle questioni prospettate dall’appellante e del materiale probatorio offerto a sostegno della pretesa impositiva, rilevando come non possa essere considerata “motivazione” la mera adesione acritica alla tesi prospettata dalla controparte, con conseguente nullità della sentenza.
Come questa Corte ha già affermato, deve ritenersi affetta da nullità assoluta la sentenza della Commissione tributaria regionale che risulti del tutto priva della esposizione dei motivi, in fatto e in diritto, sui quali la decisione si fonda, non potendo essere considerata motivazione la mera adesione acritica ala tesi prospettata da una delle parti (Cass. n. 12542/2001), in particolare quando tale tesi non sia nemmeno enunciata nel provvedimento.
Infatti, non costituisce “motivazione” della sentenza, il mero richiamo alla difesa di una delle parti, dovendo il giudice fornire, anche sinteticamente le ragioni per le quali la tesi condivisa è preferibile alla tesi avversaria, sussistendo in caso contrario la nullità della sentenza per carenza di motivazione. (Cass. n. 10033/2007).
Il giudice di appello ha sommariamente riportato il contenuto dell’atto di impugnazione e delle difese dell’appellato cui la sentenza fa rinvio, ma manca ogni indicazione, seppur sintetica, delle ragioni per le quali si è ritenuto di non condividere le tesi prospettate nell’atto di appello dell’Agenzia delle Entrate.
Si legge nella sentenza impugnata, quanto al possesso della qualifica di imprenditore agricolo, che la circostanza risulterebbe provata dai documenti prodotti in primo grado (“l’iscrizione alla Camera di Commercio, l’INPS alla quale versa i contributi a tale titolo dal 2001, l’Ufficio del registro che ha accolto la richiesta di tassazione agevolata, la Comunità Montana preposta alla perizia dei terreni”), ed ancora, che il requisito agricolo non sarebbe decisivo agli effetti della detraibilità dell’IVA (“in quanto due anni sono stati condonati” ed il contribuente “ha fatto l’opzione del regime ordinario della gestione IVA non usufruendo del regime agevolato e forfettario previsto in agricoltura”) trattandosi in ogni caso di attività imprenditoriale, la detraibilità è comunque consentita per l’anno 2006 (in quanto per gli anni 2004 e 2005 è cessata la materia del contendere a seguito della definizione ai sensi dell’art. 39 comma 12 del D.L. 98/2011″), ed infine, che i redditi prodotti in Gran Bretagna dimostrano la fonte di finanziamento degli investimenti effettuati in Italia.
La CTR, dunque, si limitata a motivare “per relationem” alle difese svolte dal contribuente al fine di resistere all’impugnazione, mediante la mera adesione ad esse, rendendo impossibile in tal modo apprezzare l’iter logico posto a fondamento della decisione di appello e verificare le ragioni che hanno indotto i giudicanti a disattendere le tesi dell’appellante.
Non risulta svolta, in buona sostanza, alcuna disamina dell’atto di impugnazione dell’Agenzia con riguardo alle contrapposte ragioni del contribuente, il che rende, come già detto, impossibile ogni controllo sull’esattezza e logicità del suo ragionamento (Cass. n. 16736/2007; n. 1756/2006; n. 16762/2006; n. 890/2006).
L’Ufficio, infatti, aveva posto a fondamento degli avvisi di accertamento il mancato effettivo possesso dei requisiti di imprenditore, l’inesistenza dell’allegata attività agricola ed il difetto di inerenza degli acquisti in relazione ai quali era stata portata in detrazione l’IVA, “al di là degli aspetti meramente formali compiuti dal sig. S. (acquisizione della partita IVA, iscrizione della ditta nel registro delle imprese)”, stante la mancanza di operazioni attive della ditta e la totale assenza di operazioni imponibili registrate, l’assenza di personale adibito all’attività agricola, la riferibilità di numerosi acquisti alla ristrutturazione, ed al suo arredamento, dell’immobile pretesamente rurale di Castel Viscardo, l’esiguità degli acquisti di beni, ma anche di servizi, direttamente connessi con l’attività agricola, nonché, ai fini IRPEF, una volta negata l’esistenza della attività agricola, l’imputazione a spese private dei costi di ristrutturazione che, unitamente ad altri indici presuntivi, indicativi di capacità contributiva, aveva condotto a determinare sinteticamente per gli anni d’imposta 2004 e 2005 un reddito complessivo netto, in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, significativamente superiore a quello dichiarato, negli esatti termini di cui all’art. 38, comma 4, D.P.R. n. 600 del 1973.
E la sentenza che non esamina e non decide su profili oggetto delle censure della decisione di primo grado, è impugnabile per cassazione non già per omessa o insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia, e neppure per motivazione “per relationem” resa in modo difforme da quello consentito, ma per omessa pronuncia su motivi di gravame, ai sensi dell’art. 360, n. 4, c. p. c. in relazione all’art. 112, comma 2, n. 4, dello stesso codice (Cass. 11801/2013; Sez. U. n. 8053/2014).
L’accoglimento del primo motivo assorbe l’esame degli altri e la sentenza impugnata va, in conclusione, cassata con rinvio ad altra sezione della CTR dell’Umbria che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il primo ricorso e, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa innanzi ad altra sezione della CTR dell’Umbria, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
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