CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 novembre 2016, n. 23059
Accertamento fiscale – Attività professionale – regime di esenzione IVA – Equivalenza della prestazione di chiroterapia a quella di fisioterapia – Non sussiste
Svolgimento del processo
Nei confronti di J.G.W., esercente l’attività professionale di chiropratico, venne emesso avviso di accertamento per maggior imponibile, con maggiori imposte IRPEF, IRAP ed IVA. Il ricorso del contribuente, avente ad oggetto l’applicazione del regime di esenzione IVA per le prestazioni professionali effettuate ai sensi dell’art. 10 d.p.r. n. 633/1972, venne rigettato dalla CTP. L’appello del contribuente venne accolto dalla Commissione Tributaria Regionale delle Marche, la quale ritenne operante, sulla base della giurisprudenza comunitaria, il regime dell’esenzione, considerando l’equivalenza della prestazione di chiroterapia a quella di fisioterapia, su cui si era pronunciata Corte giust. 27 aprile 2006 cause C- 443/04 e 444/04.
Ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate sulla base di due motivi.
Resiste il contribuente che ha proposto altresì ricorso incidentale sulla base di un motivo.
Motivi della decisione
Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 53, comma 2 e 22, commi 1 e 2, d.leg. n. 546/1992, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c. Osserva la ricorrente che, nonostante la ricevuta di consegna della notifica dell’atto di appello recasse la data del 21 maggio 2007, il ricorso notificato è stato depositato presso la segreteria della CTR mediante notifica solo in data 22 giugno 2007, e dunque oltre il termine di trenta giorni, previsto a pena di inammissibilità.
Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 18, comma 1, n. 18 d.p.r. n. 633/1972 e dell’art. 13 direttiva 77/388/CEE, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. Osserva la ricorrente che in base al quadro normativo la chiropratica è esclusa dalle professioni mediche e paramediche definite dallo Stato, né il contribuente risulta iscritto all’albo o all’ordine dei medici, sicché l’esenzione IVA non spetta.
Con l’unico motivo del ricorso incidentale si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. ai sensi dell’art. 360 n. 3 e n. 4 c.p.c. Osserva il ricorrente in via incidentale che la CTR ha omesso di pronunciare in ordine al primo motivo di appello avente ad oggetto la violazione dell’art. 12 I. n. 212/2000 per omessa redazione del p.v.c. antecedentemente alla notifica dell’avviso di accertamento e che pure la CTP aveva omesso di pronunciare in ordine alla questione posta con il ricorso di primo grado.
Va premesso che il controricorso è inammissibile non risultando in atti la prova della notifica del relativo atto.
Inammissibile è pertanto anche il ricorso incidentale.
Il primo motivo è fondato. In tema di contenzioso tributario, ove l’appellante non abbia depositato entro trenta giorni dalla proposizione, nella segreteria della Commissione tributaria adita, l’originale del ricorso notificato o copia dello stesso, unitamente a copia della ricevuta (se la notifica è avvenuta a mezzo posta), il ricorso è inammissibile ai sensi del comb. disp. degli artt. 53, secondo comma, e 22, primo e secondo comma, del d.lgs. n. 546 del 1992, e tale prevista sanzione deve essere rilevata d’ufficio in ogni stato e grado del processo (Cass. 18 gennaio 2008, n. 1025). Non rileva nel caso di specie la questione se dies a quo debba essere considerato quello della spedizione del ricorso (Cass. 31 marzo 2011, n. 7373) o quello della ricezione (Cass. 21 aprile 2011, n. 9173), essendo il termine decorso nel caso di specie anche sulla base del giorno di ricezione. Il termine di trenta giorni, a partire dal giorno di ricezione, scadeva il 20 giugno, mentre il deposito è avvenuto il 22 giugno. La questione posta con la censura non è di tipo revocatorio, come eccepito nel controricorso, in quanto non si denuncia la mancata percezione da parte del giudice tributario dell’avvenuto deposito presso la segreteria della CTR (Cass. 21 luglio 2010, n. 17110; 30 giugno 2009, n. 15227), ma il mancato rispetto del termine previsto dalla legge.
L’accoglimento del primo motivo determina l’assorbimento del secondo motivo. La decisione impugnata va cassata senza rinvio ai sensi dell’art. 382, comma 3, c.p.c.. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza, mentre per il precedente giudizio vi provvederà il giudice che ha pronunciato la sentenza cassata.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo del ricorso, con assorbimento del secondo motivo; dichiara inammissibile il controricorso ed il ricorso incidentale; dichiara che il processo non poteva essere proseguito e cassa senza rinvio la sentenza impugnata; condanna J.G.W. al rimborso delle spese processuali del giudizio di cassazione che liquida in euro 3.645,00 per compenso, oltre le spese prenotate a debito; rimette per la liquidazione del spese del precedente giudizio al giudice che ha pronunciato la sentenza cassata.
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