CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 aprile 2017, n. 9398

INAIL – Maggiori contributi indebitamente versati – Interessi legali e del danno da svalutazione monetaria

Fatti di causa

Con la sentenza n. 4013/2010 la Corte d’Appello di Bari accoglieva l’appello proposto dall’INAIL contro la sentenza di primo grado che aveva condannato l’INAIL al pagamento in favore di S. SPA degli interessi legali e del danno da svalutazione monetaria, maturati dal 22.02.1989 data della richiesta amministrativa sino al 12.10.1993 data del rimborso della somma capitale ammontante a lire 189.160.838 (corrispondente ai maggiori contributi indebitamente versati nel periodo 1980/1989), nonché al pagamento degli ulteriori interessi e rivalutazione del 13.10.2003 sino al 18.10.2005 (data di deposito della ctu), per una somma complessiva di € 93.962,82.

A fondamento della decisione di riforma la Corte territoriale sosteneva che fosse fondata l’eccezione di giudicato sollevata dall’INAIL, atteso che sulla domanda oggetto della pronunzia gravata era già intervenuto il giudicato espresso di rigetto, in base alla precedente pronunzia resa in data 21.12.2000 dal Tribunale in sede di appello alla sentenza del Pretore di Bari ed alla successiva sentenza della Corte di Cassazione del 22.04.2003 che aveva rigettato il ricorso esperito dalla S. Spa. Tale domanda era stata rigettata dal tribunale in sede di appello essendo stata ritenuta non erronea, ma espressione di volontà di volontaria riduzione del petitum la contratta decorrenza degli interessi dal 18.11.1993, resa nel verbale di udienza del 17.11.1998. Peraltro, secondo la Corte territoriale, l’aver qualificato come riduzione della domanda originaria (e non rinuncia) le conclusioni rassegnate alla predetta udienza non autorizzava la riproposizione in un diverso giudizio della richiesta di accessori di cui ai capi della domanda precedente oggetto della riduzione quando, come nel caso di specie, non c’era autonomia del titolo delle pretese. Per di più, secondo la Corte, la riduzione della decorrenza rivalutativa al 18.11.1993, aveva determinato la preclusione della successiva anticipata decorrenza soprattutto perché tale limitazione aveva comportato ipso facto . “l’estinzione sostanziale” del diritto alla rivalutazione per quelle somme già corrisposte alla data dell’invocata decorrenza rivalutativa del 18.11.1993.

Avverso detta sentenza S. Spa ha proposto ricorso per cassazione affidando le proprie censure a quattro motivi, ai quali resiste l’INAIL con controricorso. Le parti hanno presentato memorie ex art. 378 c.p.c.

Ragioni della decisione

1. – Con il primo motivo il ricorso deduce violazione e falsa applicazione dell’art.112 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1, n. 4 c.p.c. ; violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 100 c.p.c. in relazione all’art. 360, 1 comma n. 3 c.p.c. in quanto, poiché il giudice di primo grado aveva affermato che nelle conclusioni rassegnate all’udienza di discussione del 17.11.1998 era stata operata una riduzione e non una rinuncia, la domanda era ancora proponibile; e poiché la tesi affermata dal primo giudice non era stata impugnata – perché ritenuto irrilevante dall’INAIL quanto accaduto all’udienza del 17.11.1998 – l’Istituto aveva prestato acquiescenza su tale statuizione; mentre la Corte d’appello non aveva esaminato l’eccezione di acquiescenza e di inammissibilità del gravame dell’INAIL, essendosi formato il giudicato sulla statuizione in esame.

1.1. Il motivo è infondato poiché risulta dagli atti e dalla sentenza impugnata che l’INAIL abbia interposto l’appello accolto dalla sentenza impugnata reiterando l’eccezione di giudicato disattesa dal primo giudice, il quale aveva invece giudicato nel merito della domanda. L’impugnazione dell’INAIL ha investito la questione dell’esistenza di un giudicato ed implicava la devoluzione di ogni questione che vi era collegata. Peraltro stabilire se nel precedente giudizio fosse stata accertata una riduzione o meno del petitum non comporta preclusione dell’appello dell’INAIL volto all’accertamento che sulla stessa domanda riproposta si fosse formato un giudicato. Trattandosi semmai di una questione che attiene alla fondatezza dell’appello in relazione all’ammissibilità della domanda riproposta ed al suo fondamento. L’accertamento oggetto di ricorso risulta poi compiuto dal giudice d’appello in conformità al motivo di impugnazione, ampiamente devolutivo, e si sottrae a qualsiasi preteso vizio di omessa pronuncia o petizione.

1.2. In ogni caso l’affermazione in questione, richiamata nella censura (secondo cui all’udienza del 17.11.1998 era stata operata una riduzione e non una rinuncia della domanda), non era un capo autonomo della sentenza suscettibile di passare in giudicato. Per stabilire se nell’ambito della motivazione di una sentenza, pronunziata tra le medesime parti, possa individuarsi il giudicato pure implicito, è necessario anzitutto, che l’affermazione del giudice sia chiara e precisa in ordine al contenuto ed alla portata della statuizione ed, in secondo luogo, che questa, anche se non costituente oggetto diretto della decisione, o capo autonomo della stessa, costituisca comunque un suo presupposto logico ed indefettibile, con conseguente indissolubile dipendenza dalla questione decisa (v. ex coeteris, Cass. S.U. n. 6632/03, sez. 1A n. 1512/01, sez. 2A n. 11412/03, sez. 3^ n. 17375/03, sez. lav. n. 14090/01).

Dai suesposti e consolidati principi deriva l’inidoneità al “passaggio in giudicato” non solo delle mere affermazioni o osservazioni, non funzionali alla decisione, ed obiter dieta, ma anche di quelle enunciazioni narrative, che non, essendo state utilizzate dal giudice ai fini del decisum, rimangono al di fuori del relativo percorso argomentativo.

2. Con il secondo motivo il ricorso deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. degli artt. 324 e 342 c.p.c., dell’art. 12 preleggi; in relazione all’art. 360, 1 comma n. 3 c.p.c. perché non era intervenuto alcun giudicato sulla domanda svolta, in quanto il tribunale in sede di appello nel primo giudizio aveva ritenuto che fosse intervenuta una riduzione della domanda e quindi non aveva giudicato sulle questioni rinunciate.

3. Con il terzo motivo il ricorso deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 84, 112, 184, 189, 306 e 349 c.p.c. art. 2909 c.c.in relazione all’art. 360 comma 1, n. 3 c.p.c.; insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, 1 comma n. 5 c.p.c. nella parte in cui pur dando atto che l’appello incidentale proposto nel precedente giudizio fosse stato rigettato sul presupposto di una volontaria riduzione del petitum – non per rinuncia e non nel merito – la sentenza ha nondimeno ritenuto che tale statuizione precludesse la riproposizione della domanda in tal guisa ridotta in separato giudizio (Cass. 4488/1981).

4. Con il quarto motivo il ricorso deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 342, e 345 c.p.c.; dell’art. 2909 c.c. e degli artt. 99, 100 e 306 c.p.c.; insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo e per il giudizio in relazione all’art. 360, 1 comma nn. 3, 4 e 5 c.p.c. nella parte in cui fa discendere dalla riduzione della domanda la consunzione del diritto a chiedere interessi e danno da svalutazione monetaria sul pagamento indebito in oggetto in quanto in insanabile contrasto con il giudicato formatosi in ordine alla qualificazione della fattispecie in termini di riduzione della domanda.

5. I motivi possono essere esaminati unitariamente in quanto connessi. Essi ruotano tutti sulla tesi secondo cui essendovi stata – all’udienza del 17.11.1998 – una riduzione della domanda e non una rinuncia, i diritti e i capi relativi ad una domanda ridotta possono essere proposti in seguito in altro giudizio, senza che possa essere opposto il giudicato formatosi sulla residua domanda precedente.

5.1. I motivi di ricorso sono privi di fondamento. Nel caso che si giudica deve essere anzitutto rilevato che la stessa società ricorrente ha dapprima svolto una domanda di pagamento relativa agli accessori per interessi e rivalutazione, maturati su un indebito pagamento, con riferimento ad un più ampio periodo di tempo; poi alla luce della istruttoria in primo grado ha ridotto la domanda in sede di discussione (all’udienza del 17.11.1998); quindi ha appellato in via incidentale la sentenza di primo grado sostenendo di non averla ridotta; dopo il giudicato formatosi sulla tesi opposta (a seguito della prima pronuncia resa da questa Corte di Cassazione che con sentenza 11922/03 ha rigettato la tesi reiterata dalla ricorrente) ha promosso una nuova azione sostenendo che poiché aveva ridotto la prima domanda ciò rendesse proponibile una nuova domanda ed un nuovo giudizio sugli accessori oggetto di riduzione.

5.2. Gli stessi motivi di ricorso vanno però disattesi; anzitutto perché è esaustivo quanto affermato dalla Corte di appello di Bari allorché ha rilevato che sulla domanda azionata dalla S. Spa dopo la pronuncia di rigetto di questa Corte del 22.04.2003, fosse già intervenuto il giudicato espresso di rigetto, in base alla precedente pronunzia resa in data 21.12.2000 dal Tribunale in sede di appello alla sentenza del Pretore di Bari. La domanda ora riproposta dalla S. spa infatti è uguale a quella allora rigettata dal Tribunale (in sede di appello) avendo la S. spa richiesto con appello incidentale la stessa condanna dell’Inail al pagamento degli interessi legali e del danno da svalutazione sulla somma di lire 189.160.838 con decorrenza dalla data di pagamento di ciascuna rata indebitamente versata o in subordine dalla data di decorrenza della domanda amministrativa.

5.3. E’ vero che la domanda era stata rigettata dal tribunale in sede di appello essendo stata ritenuta non erronea, ma espressione di volontaria riduzione del petitum la contratta decorrenza degli interessi dal 18.11.1993, resa nel verbale di udienza del 17.11.1998. Ma la Corte d’appello barese ha pure correttamente aggiunto che l’aver qualificato come riduzione della domanda originaria (e non rinuncia) le conclusioni rassegnate alla predetta udienza del 17.11.1998, non autorizzava punto la riproposizione in un diverso giudizio della richiesta di accessori per interesse e danno svalutativo sulla medesima somma seppure con una diversa anticipata decorrenza, in quanto, per l’identità del titolo obbligatorio azionato, la prima domanda ha determinato la consunzione processuale della pretesa di cui è non possibile conseguire reviviscenza attraverso l’indicazione di una diversa decorrenza che, in quanto elemento accessorio del rapporto obbligatorio, non modifica punto l’identità della causa petendi azionata.

6. In sostanza la Corte ha ritenuto che non fosse legittima la riproposizione di una parte della domanda precedente, oggetto di sola riduzione, quando, come nel caso di specie, non c’è autonomia nel titolo delle pretese fatte valere in distinti processi.

6.1. Si tratta di una tesi corretta e rispondente al diritto in quanto la domanda di cui si discute era stata in effetti già rigettata dal tribunale decidendo sull’appello incidentale della S. Spa e sostenendo che nel primo giudizio vi fosse stata riduzione. E la domanda ridotta, della stessa natura di quella azionata e passata in giudicato, non può essere riproposta in autonomo giudizio. Vi ostano i limiti oggettivi della cosa giudicata, che coprono il dedotto ed il deducibile in relazione al medesimo oggetto; ed inoltre il divieto di infrazionabilità della domanda relativa allo stesso credito e rapporto obbligatorio; come ribadito da ultimo dalla sentenza delle Sez. Unite 4090/2017 con la quale, fatta salva la possibilità di agire in diversi giudizi per diritti di credito diversi ancorché correlati ad un unico rapporto di durata, è stato invece riaffermato il principio dell’infrazionabilità del singolo diritto di credito (come qui si discute).

6.3. E’ opportuno ricordare inoltre quella parte della sentenza n. 4090/2017 con la quale le Sez. Unite hanno richiamato la “giurisprudenza che afferma la necessità di favorire, ove possibile, una decisione intesa al definitivo consolidamento della situazione sostanziale direttamente o indirettamente dedotta in giudizio, “evitando di trasformare il processo in un meccanismo potenzialmente destinato ad attivarsi all’infinito”. Nel solco dell’indirizzo tracciato dalle citate decisioni deve ritenersi che, se sono proponibili separatamente le domande relative a singoli crediti distinti, pur riferibili al medesimo rapporto di durata, le questioni relative a tali crediti che risultino inscrivibili nel medesimo ambito di altro processo precedentemente instaurato, così da potersi ritenere già in esso deducibili o rilevabili – nonché, in ogni caso, le pretese creditorie fondate sul medesimo fatto costitutivo- possono anch’esse ritenersi proponibili separatamente, ma solo se l’attore risulti in ciò “assistito” da un oggettivo interesse al frazionamento”.

Anche in caso di crediti diversi, azionabili separatamente, quindi, quel che rileva è che il creditore abbia un interesse oggettivamente valutabile alla proposizione separata di azioni relative a crediti riferibili al medesimo rapporto di durata ed inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un ipotizzabile giudicato, ovvero fondati sul medesimo fatto costitutivo.

7. Nel caso in esame non soltanto la nuova domanda si riferisce, come già detto, ad un medesimo credito sostanziale (per rivalutazione ed interessi relativi ad un indebito pagamento di contributi già restituito in via capitale), ma anche a volerla considerare relativa a diritti di credito diversi la stessa domanda risulterebbe parimenti improponibile in quanto non risulta in capo al creditore agente alcun interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata; così come richiesto dalla citata pronuncia.

8. Infine, ed in via ulteriormente assorbente, secondo la Corte d’appello di Bari la riduzione della decorrenza rivalutativa al 18.11.1993 aveva determinato la preclusione della successiva anticipata decorrenza soprattutto perché tale limitazione aveva comportato ipso facto “l’estinzione sostanziale” del diritto alla rivalutazione per quelle somme già corrisposte alla data dell’invocata decorrenza rivalutativa del 18.11.1993 “non essendo concepibile una rivalutazione decorrente da una data posteriore a quello dell’intervenuto pagamento della pretesa”.

La Corte dunque, non ha soltanto fatto valere “la consunzione processuale della domanda”, ma anche “l’estinzione sostanziale del diritto alla rivalutazione” essendo intervenuto il pagamento della somma capitale di lire 189.160.838 alla data del 12.10.1993.

9. Si tratta di una autonoma ed espressa ratio decidendi non sottoposta a rituale e specifica censura nei motivi di impugnazione fatti valere col ricorso in cassazione. Sicché essa sola giustificherebbe di per sé il rigetto del ricorso.

10. In conclusione, sulla scorta di tutte le osservazioni che precedono, il ricorso deve essere respinto. Le spese processuali seguono la soccombenza come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in complessivi € 4700 di cui € 4500 per compensi professionali, oltre al 15% di spese generali ed oneri accessori di legge.