CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 aprile 2017, n. 9489
Tributi – Accertamento sintetico – Redditometro – Spese per incrementi patrimoniali. – Contenzioso tributario – Procedimento – Sentenza – Motivazione – Assenza del criterio logico e della ratio decidendi – Nullità – Accertamento sintetico – Partecipazioni societarie – Prove documentali – Richiesta di prove documentali – Rifiuto – limite.
Massima:
Il divieto di utilizzazione in sede giudiziaria di documenti non esibiti in sede amministrativa costituisce un limite all’esercizio dei diritti di difesa e dunque si giustifica solo in quanto costituisca il rifiuto di esibire la documentazione specificamente richiesta dagli agenti accertatori. Infatti, il divieto di utilizzare documenti scatta non solo nell’ipotesi di rifiuto doloso dell’esibizione, ma anche nei casi in cui il contribuente colpevolmente dichiari, contrariamente al vero, di non possedere o di sottrarre all’ispezione i documenti in suo possesso. Nel caso di specie emerge che si sia trattato di richiesta generica di chiarimenti, in quanto il contribuente aveva ampiamente giustificato ogni incremento patrimoniale, documentando operazioni legittime che evidenziavano che esse non avevano comportato alcun esborso di capitale, poiché trattavasi o di riserve portate ad aumento di capitale sociale o di voci del patrimonio netto di società partecipate
Fatti di causa
1. L’Agenzia delle Entrate emetteva a carico di C.P. avviso di accertamento per maggiori Irpef, Add. Reg. e Com. relative all’anno d’imposta 2005 e per un complessivo importo di € 731.841,00, comprensivo di interessi e sanzioni, sulla base di determinazione sintetica del reddito operata, ai sensi dell’art. 38, commi 4 e 5, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in relazione a spese per incrementi patrimoniali.
Il ricorso proposto dal contribuente era accolto dalla C.T.P. di Napoli che riteneva l’atto impositivo fondato su presunzioni non dotate dei caratteri della gravità, precisione e concordanza.
Con la sentenza in epigrafe la C.T.R. Campania ha rigettato l’appello proposto dall’Ufficio rilevando che gli incrementi patrimoniali riscontrati con riferimento agli anni 2004 e 2005 «risultano ampiamente giustificati dal contribuente col conferimento per aumento del capitale sociale alla P.F. S.r.l. prima e alla fusione ed incorporazione successiva della Soc. S.I.F. nella P.F. con aumento del capitale sociale da € 3.500.000,00 ad € 5.200.000,00» e che, inoltre, con la documentazione (atti notarili) già prodotta con il ricorso introduttivo, il contribuente aveva «ampiamente giustificato … ogni incremento patrimoniale … per gli anni dal 2003 al 2007, documentando operazioni legittime che evidenziavano che esse non avevano comportato alcun esborso di capitale, poiché trattavasi o di riserve portate ad aumento di capitale sociale o [di] voci del patrimonio netto di società cui il sig. P.C. partecipava».
2. Avverso tale sentenza propone ricorso l’Agenzia delle entrate sulla base di sei motivi, cui resiste il contribuente depositando controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce la nullità della sentenza per motivazione mancante (o apparente).
Lamenta che dalla motivazione esposta in sentenza non è dato comprendere quale sia la giustificazione offerta dal contribuente in ordine alle ingenti movimentazioni bancarie contestate dall’ufficio, relative a ben 37 conti correnti, così come non è dato comprendere il fondamento giustificativo del richiamo alle riserve e alle voci del patrimonio netto della società partecipata dal contribuente.
2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione degli artt. 32, 38 e 39 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nonché il difetto di motivazione, in relazione all’art. 360, comma primo, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. per avere la C.T.R. – concentrando la propria motivazione unicamente sulla giustificazione degli incrementi patrimoniali, in relazione al disposto di cui all’art. 38, comma 5, d.P.R. cit. – omesso di considerare che il contribuente non aveva presentato alcuna dichiarazione dei redditi, sicché l’Ufficio poteva avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti della gravità, precisione e concordanza.
3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, num. 4, cod. proc. civ., per avere la Commissione regionale del tutto omesso di esaminare l’eccezione di inammissibilità, ex art. 32, commi 4 e 5, d.P.R. n. 600 del 1973, della documentazione prodotta dal contribuente, in quanto non esibita né trasmessa in risposta all’invito rivoltogli dall’ufficio per giustificare l’ingente movimentazione patrimoniale.
4. Con il quarto motivo l’Agenzia delle entrate deduce difetto di motivazione, ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ., per non avere la C.T.R. fatto alcun riferimento alla presenza di cause non imputabili, che fossero illustrate dal contribuente nel ricorso introduttivo e potessero giustificare l’utilizzo in sede contenziosa di documenti non esibiti in risposta all’invito predetto.
5. Con il quinto motivo l’ufficio deduce ancora insufficienza e contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ., in relazione alla ritenuta sussistenza di idonea giustificazione degli incrementi patrimoniali, non avendo in particolare la C.T.R. indicato i rapporti tra la P. S.r.l. e il contribuente, né illustrato la pertinenza del riferimento al patrimonio netto della società partecipata dal contribuente.
6. Con il sesto motivo la ricorrente denuncia infine difetto di motivazione, ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. taciuto sulle specifiche circostanze addotte dall’ufficio circa la gestione, da parte del contribuente, di somme riferibili a ben 32 conti correnti bancari e circa la costituzione di un fondo patrimoniale dell’ammontare di € 350.000.
7. È infondata la censura — dedotta con il primo motivo di ricorso – di nullità della sentenza per mancanza di motivazione.
Non può infatti dubitarsi che una motivazione esiste e che non sia meramente apparente, consentendo la stessa di comprendere quale sia la ragione della decisione adottata (esistenza di elementi idonei a dare una imputazione o una spiegazione degli incrementi patrimoniali diverse da quelle poste a fondamento dell’atto impositivo).
Ciò vale certamente ad escludere la dedotta violazione dai doveri decisori di cui all’art. 112 cod. proc. civ. denunciata dall’amministrazione, che si configura soltanto nell’ipotesi in cui sia mancata del tutto da parte del giudice – ovvero sia meramente apparente – ogni statuizione sulla domanda o eccezione proposta in giudizio, mentre rientra nell’ambito dell’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ. la censura con la quale si deduca la mancata (o insufficiente o contraddittoria) valutazione di alcuni dei fatti (controversi e decisivi) posti a fondamento della domanda o della eccezione medesima (v. ex multis Cass. 07/04/2008, n. 6858).
8. Il secondo motivo è inammissibile, non confrontandosi con l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata.
Esso invero postula un accertamento in fatto – che cioè il contribuente abbia del tutto omesso di presentare la dichiarazione per l’anno d’imposta in questione e che, quindi, si tratti di accertamento d’ufficio ex art. 41 d.P.R. n. 600 del 1973 – non contenuto nella sentenza, dalla quale piuttosto sembra evincersi, sia pure incidentalmente, il diverso convincimento che si tratti di rettifica del reddito dichiarato.
9. È altresì infondato il terzo motivo.
Sullo specifico motivo di gravame che risulta proposto dall’Agenzia delle entrate, circa l’inutilizzabilità, eccepita ai sensi dell’art. 32, comma 4, d.P.R. n. 600 del 1973, dei documenti prodotti dal ricorrente in sede contenziosa, in quanto non esibiti e trasmessi in risposta agli inviti dell’Ufficio, la Commissione regionale non ha effettivamente espresso alcuna valutazione, ciò integrando il denunciato vizio di omessa pronuncia (v. Cass. 19/05/2006, n. 11844; Cass. 22/11/2006; n. 24856; Cass. 04/06/2007, n. 12952; Cass. 20/05/2011, n. 11142).
Tuttavia, trattandosi di questione la cui risoluzione non richiede ulteriori accertamenti in fatto, essendo incontestati in causa i dati fattuali rilevanti, il rilievo che precede non impone il rinvio al giudice a quo, potendo questa Corte pronunciare direttamente in merito, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ. (v. da ultimo, ex multis, Cass. 28/10/2015, n. 21968; Cass. 08/10/2014, n. 21257).
Ebbene la questione posta con la menzionata eccezione e non esaminata dal giudice d’appello, deve ritenersi infondata.
Questa Corte ha più volte affermato che il divieto di utilizzo in sede giudiziaria di documenti non esibiti in sede amministrativa costituisce un limite all’esercizio dei diritti di difesa e dunque si giustifica solo in quanto costituiscano il rifiuto di una documentazione specificamente richiesta dagli agenti accertatori. Si ammette bensì che il divieto di utilizzare documenti scatti «non solo nell’ipotesi di rifiuto (per definizione doloso) dell’esibizione, ma anche nei casi in cui il contribuente dichiari, contrariamente al vero, di non possedere o sottragga all’ispezione i documenti in suo possesso, ancorché non al deliberato scopo di impedirne la verifica, ma per errore non scusabile, di diritto o di fatto (dimenticanza, disattenzione, carenze amministrative ecc.) e, quindi, per colpa» (Cass. 26/03/2009, n. 7269). La detta sanzione però, in conformità alla lettera della legge, esige che sussista una specifica richiesta degli agenti accertatori, non potendo costituire «rifiuto» la mancata esibizione di un qualcosa che non venga richiesto (Cass. 14/10/2009, n. 21768; Cass. 19/04/2006, n. 9127).
Nel caso di specie emerge dalle stesse affermazioni della ricorrente che si sia trattato, per l’appunto, di richiesta generica di chiarimenti, né del resto si allega che le prove documentali considerate dal giudice del merito fossero state oggetto di specifica richiesta da parte dell’Ufficio.
Per le stesse ragioni va conseguentemente disatteso anche il quarto motivo, non potendosi ravvisare nessuna lacuna motivazionale sul punto.
10. È invece fondato il quinto motivo.
È costante giurisprudenza di questa Corte che ricorre il vizio di insufficiente motivazione ove il giudice non indichi gli elementi dai quali ha tratto il proprio convincimento ovvero il criterio logico e la ratio decidendi che lo ha guidato. Il giudice deve delineare il percorso logico seguito, descrivendo il legame tra gli elementi interni determinanti che conducono necessariamente ed esclusivamente alla decisione adottata; mentre deve escludere, attraverso adeguata critica, la rilevanza di ogni elemento esterno al percorso logico seguito, di natura materiale, logica o processuale, ed astrattamente idoneo a delineare conseguenze divergenti dall’adottata decisione (v. ex multis, Cass. 12/11/1997, n. 11198).
Tale onere non risulta nella specie in alcuna misura assolto, avendo la C.T.R. omesso di illustrare gli elementi acquisiti al processo e il percorso logico posti a fondamento dell’espresso convincimento della riconducibilità delle spese per incrementi patrimoniali a risorse proprie della o delle società partecipate dal contribuente: la Commissione ha in particolare omesso di indicare la natura e il contenuto della documentazione genericamente richiamata e di spiegare le ragioni per cui essa vale a dimostrare che si sia trattato di «riserve portate ad aumento di capitale sociale o [di] voci del patrimonio netto di società cui il sig. P.C. partecipava».
11. È infine inammissibile il sesto motivo perché generico e, comunque, per difetto di autosufficienza.
La censura si riferisce invero genericamente a «circostanze» – che la Commissione ragionale avrebbe omesso di valutare – relative a «la gestione, da parte del contribuente, di somme riferibili a ben 32 conti correnti bancari e circa la costituzione di un fondo patrimoniale dell’ammontare di € 350.000», senza precisare né quali sono tali circostanze, né l’atto processuale nel quale esse sono state dedotte, né ancora la decisività degli elementi che non sarebbero stati considerati ai fini dell’obiettivo perseguito nella dialettica processuale.
12. In accoglimento del (solo) quinto motivo, deve pertanto pervenirsi alla cassazione della sentenza impugnata con rinvio al giudice a quo, anche per il regolamento delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il quinto motivo di ricorso; rigetta il primo, il terzo e il quarto motivo; dichiara inammissibili i rimanenti; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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