CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 aprile 2017, n. 9505
RITENUTO IN FATTO
La Commissione tributaria provinciale di Brescia respingeva l’impugnazione proposta da I. Spa avverso l’avviso di irrogazione delle sanzioni per omessa autofatturazione di operazioni imponibili ai fini IVA per l’anno 2006.
La Commissione tributaria regionale della Lombardia sez. staccata di Brescia rigettava l’appello.
La I. Spa ricorre per cassazione sulla base di cinque motivi, poi illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c., cui resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la contribuente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., la violazione delle regole sul giusto processo e nullità della sentenza in relazione alla dedotta carenza di una specifica norma sanzionatoria dell’omessa autofatturazione per il 2006, essendo stato l’art. 41, quarto comma, d.P.R. n. 633 del 1972 abrogato nel 1997 e il comma 9 bis, d.lgs. n. 471 del 1997, introdotto nel 2008.
1.1. Il motivo è infondato: la CTR ha applicato l’art. 6, comma 1, d.lgs. n. 471 del 1997, sicché ha implicitamente pronunciato sulla riconducibilità della fattispecie alla disposizione contestata.
2. Con il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 d.lgs. n. 472 del 1997, 17, terzo comma, e 41, quarto comma, d.lgs. n. 633 del 1972, 6, comma 1, comma 9 bis, e 16 d.lgs. n. 471 del 1997, sulla medesima questione di cui al primo motivo.
2.1. Il motivo è infondato. È pacifico che il contribuente ha omesso di provvedere all’autofatturazione ex art. 17, terzo comma, d.P.R. n. 633 del 1972, per le operazioni contestate dall’Agenzia delle entrate. Trattasi, invero, di violazione, il cui regime sanzionatorio, originariamente contenuto nell’art. 41, quarto comma, d.lgs. n. 633 del 1972, poi abrogato dall’art. 16 d.lgs. n. 471 del 1997, è rinvenibile nell’art. 6, comma 1, d.lgs. 471 cit., che sanziona la violazione degli obblighi inerenti alla documentazione, registrazione ed individuazione delle operazioni soggette all’IVA, mentre il successivo comma 8 determina i margini del quantum della pena pecuniaria dovuta in ipotesi di omessa autofatturazione da parte del cessionario o del committente (v. sul punto Cass. n. 12678 del 2005, Cass. n. 411 del 2015) È poi privo di rilievo che il legislatore, con l’intervento del 2008, abbia inteso ulteriormente differenziare e regolamentare, per questa ipotesi, il regime delle sanzioni introducendo il comma 9 bis.
3. Con il terzo motivo censura, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., per omessa, insufficiente e/o apparente motivazione sul fatto decisivo dell’inapplicabilità dell’art. 6, comma 1, d.lgs. n. 471 del 1997 e della mancanza di una specifica norma sanzionatoria.
3.1. Il motivo è inammissibile. Il vizio di motivazione, infatti, può concernere esclusivamente l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia, non anche l’interpretazione e l’applicazione delle norme giuridiche (v. Sez. U, n. 28054 del 2008, Rv. 605546).
4. Con il quarto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 10, comma 2, l. n. 212 del 2000 e 6, comma 5 bis, d.lgs. n. 472 del 1997, per aver ritenuto la violazione di carattere sostanziale.
4.1. Il motivo è infondato. Va sottolineato, preliminarmente, che non viene in questione il diritto a detrazione, che non può essere negato ove gli acquisti siano stati effettuati da un soggetto passivo, parimenti debitore dell’IVA, e i beni siano utilizzati per proprie operazioni imponibili, al di là di eventuali inosservanza di fatturazione o registrazione, sempreché le condizioni sostanziali emergano con certezza dalla documentazione in possesso del contribuente, esibita all’Amministrazione finanziaria in sede di verifica (v. Cass. n. 7576 del 2015 Rv. 635176). Tali inosservanze, peraltro, non sono irrilevanti o meramente formali atteso che l’omessa o ritardata fatturazione o la mancata regolarizzazione da parte del cessionario o committente con il meccanismo dell’inversione contabile possono incidere, in termini significativi, sulla determinazione del reddito d’impresa e sull’imposta stessa, recando pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo, senza che rilevi l’eventuale successivo versamento dell’imposta, e ciò tanto più, con riguardo al caso di specie, dei proprio il meccanismo dell’inversione contabile costituisce modalità idonea ad assolvere gli obblighi impositivi (v. Cass. n. 2605 del 2016 in tema di ritardata fatturazione).
5. Con il quinto motivo censura, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omessa, insufficienteÌ apparente motivazione in relazione alla natura, sostanziale o formale, della violazione.
5.1. Il motivo resta assorbito in relazione al punto 4.1.
6. Da ultimo, va esaminata la richiesta di applicazione dello ius superveniens di cui al d.lgs. n. 158 del 2015 e di conseguente rideterminazione delle sanzioni in tema di reverse charge.
6.1. La modifica normativa in esame, invero, anche con riguardo alla omessa autofatturazione, non opera in maniera generalizzata in favor rei, rinviando in molti casi alla sanzione prevista dal comma 1 (che prevede, nel massimo, una sanzione superiore a quella irrogata), con la conseguenza che la mera affermazione di uno ius superveniens più favorevole, non consente di operare sic et simpliciter la trasformazione della sanzione irrogata in sanzione illegale, specie in assenza di specifica deduzione dell’applicabilità in concreto di una sanzione tributaria inferiore rispetto a quella applicata, nel caso in esame mancata con riferimento sia ai margini edittali della sanzione inflitta che alla valutazione della gravità della violazione (in particolare alla sussistenza di circostanze – ora non più eccezionali – che, ai sensi del novellato quarto comma dell’art. 7 d.lgs. n. 472 del 1997, possano far ritenere manifesta la sproporzione tra entità del tributo e sanzione applicata).
6.2. Ne deriva che deve escludersi che la mera deduzione di uno ius superveniens più favorevole, senza alcuna altra precisazione con riferimento al caso concreto, sia tale da imporre il rinvio della causa al giudice di merito, a ciò ostandovi non soltanto il principio di necessaria specificità dei motivi di ricorso in cassazione (Cass. n. 24625 del 2015), ma anche e soprattutto il principio costituzionale di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111 Cost. (Cass.n. 20141 del 2016).
7. Il ricorso va pertanto rigettato, con condanna alle spese, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte soccombente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 7.000,