CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 gennaio 2017, n. 556
Tributi – Riscossione – Cartella esattoriale – Condono
Svolgimento del processo
1. B.A. impugnava la cartella esattoriale di € 39.363,32, emessa ai sensi dell’art. 36 bis del d.P.R. 600 del 1973 a seguito di controllo automatizzato in relazione al IRAP, IRPEF ed IVA (anno di imposta 1999, dichiarazione mod. Unico 2000). Esponeva di avere regolarizzato la sua posizione ai sensi dell’art. 9 bis della legge 289 del 2002 (condono).
Con sentenza nr. 7/29/2008 la CTP di Roma, rilevava che il pagamento del condono era stato solo parziale e rigettava il ricorso.
Proposto appello, questo veniva dichiarato inammissibile dalla CTR per tardività.
2. Avverso tale pronuncia proponeva ricorso in revocazione il B. ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c. per essere incorso in errore materiale il giudice di appello nel valutare la tempestività dell’impugnazione.
3. La CTR con sentenza del 12\11\2008, resa in sede di giudizio di revocazione, dopo avere rilevato l’effettività dell’errore e, quindi, la tempestività dell’appello, giudicando nel merito, ritenuto “…giusto doversi applicare il principio della giustizia del caso singolo”, pur essendo venuto meno il contribuente agli obblighi della legge sul condono non versando la terza ed ultima rata, l’Ufficio avrebbe dovuto annullare parzialmente la cartella esattoriale in ragione del versamento delle prime due rate effettuate (€ 9.338,22= su complessivi € 11.664,00 = ) e sulla rimanente somma applicare le sanzioni in virtù dell’istanza di regolarizzazione. Per tali motivi accoglieva il ricorso e dichiarava dovuta la sanzione sull’importo delle rate di condono non pagate.
4. Avverso la sentenza propone ricorso l’Agenzia delle Entrate, lamentando:
4.1. la violazione o falsa applicazione dell’art. 113, co. 1, c.p.c. per avere il giudice di merito fatto ricorso all’equità per decidere una causa di natura tributaria;
4.2. la violazione e falsa applicazione dell’art. 9 bis della legge 289 del 2002. Tale disposizione consentiva, attraverso una dichiarazione integrativa di pagare le imposte dovute, senza versamento di sanzioni o con una loro riduzione. In sostanza determinava l’operatività di un meccanismo di riapertura dei termini di pagamento “ora per allora”.
Pertanto, considerata la peculiarità dell’istituto, l’integrale pagamento del dovuto è condizione necessaria per il perfezionarsi della fattispecie. Del resto la stessa lettera della legge non consentiva di ritenere sufficiente un pagamento parziale. Di conseguenza era infondata la pretesa del contribuente di pagare le sanzioni solo sulla rata non versata.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso è fondato.
Va ricordato che è consolidato principio del nostro ordinamento che l’equità sostitutiva (che sostituisce l’equità alle norma) non è ammissibile nel giudizio tributario, perché tale possibilità deve essere espressamente prevista dalla legge (cfr. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 25707 del 21/12/2015, Rv. 638078; Sez. 5, Sentenza n. 4442 del 24/02/2010, Rv. 611651).
Ne consegue che il giudice di merito, nel decidere secondo equità la controversia in esame, ha consumato una violazione di legge che impone l’annullamento della sentenza impugnata.
2. La causa può comunque essere decisa nel merito, non necessitando ulteriori accertamenti di fatto.
Va premesso che la consolidata giurisprudenza di questa Corte ha messo in rilievo che le disposizioni in materia di condoni fiscali sono derogatorie di quelle generali dell’ordinamento tributario ed integrano sistemi compiuti di natura eccezionale. Ne consegue che anche ciascuna delle diverse ipotesi di definizione agevolata previste dalla legge 27 dicembre 2002, n. 289, costituisce una propria specifica disciplina, di stretta interpretazione, non suscettibile di essere integrata in via ermeneutica, né dalle norme generali dell’ordinamento tributario, né da quelle dettate per altre forme di definizione, persino se contemplate dalla medesima legge, dovendosi, quindi, escludere l’applicabilità dei principi elaborati con riguardo all’ipotesi di condono fiscale regolati dall’art. 62 bis della legge 30 dicembre 1991, n. 413, alla previsione di cui all’art. 9 bis della legge n. 289 del 2002, in quanto solo con riguardo a quest’ultima ipotesi (di condono cosiddetto demenziale) è necessaria, non venendo in discussione la sussistenza dei debiti tributari emergenti dalle dichiarazioni dello stesso contribuente, l’integrità e la tempestività di tutti i versamenti in sanatoria.
Se ne è dedotto che non è consentita la riduzione proporzionale delle sanzioni, commisurate all’ammontare di versamenti eseguiti in termini, ma è necessario il pagamento rateale integrale e tempestivo (cfr. Sez. 6-5, Ordinanza n. 25238 del 08/11/2013, Rv. 629201; v. anche Sez. 5, Sentenza n. 21364 del 30/11/2012, Rv. 624264).
Invero la ratio della disciplina sul condono consiste nella rinuncia del Fisco alla riscossione delle sanzioni (anch’esse, come il tributo a cui accedono, di debenza non controversa) in contropartita dell’integrale pagamento del tributo in tempi certi. Tale ratio risulterebbe frustrata da una interpretazione che legittimi, come propone il ricorrente, una riduzione delle sanzioni proporzionale all’ammontare dei versamenti effettivamente eseguiti in termini e che dunque, in definitiva, lasci al contribuente la facoltà di dimensionare il carico sanzionatorio su di lui gravante in base alle scelte che egli ritenga di adottare su tempi ed entità dei versamenti del tributo.
Per quanto detto, si impone l’accoglimento del ricorso dell’Agenzia. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito condanna il contribuente al pagamento della terza rata nonché delle sanzioni aggiuntive sulla intera somma di cui alla cartella di pagamento.
Condanna altresì l’intimato al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in € 2.000,00=, oltre spese prenotate a debito.
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