CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 gennaio 2017, n. 616
Collaborazione autonoma – Natura di lavoro subordinato – Rapporto a tempo indeterminato – Riammissione in servizio – Pagamento retribuzioni maturate
Svolgimento del processo
1. – La Corte di Appello di Bari, con sentenza del 16 marzo 2011, ha confermato la pronuncia di primo grado del 4 dicembre 2006 che aveva dichiarato che tra S.M. e la G. Spa era intercorso un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con decorrenza dal 20 settembre 1992 e condannato la società all’immediata riammissione in servizio della lavoratrice nonché al pagamento delle retribuzioni maturate a partire dalla messa in mora dell’8 ottobre 1998, oltre accessori e spese.
La Corte territoriale ha ritenuto accertato che, dopo un primo contratto di lavoro subordinato a termine di mesi tre, il rapporto di lavoro era proseguito tra le parti oltre il termine previsto per ulteriori mesi due, nella forma della collaborazione autonoma ma con natura di lavoro subordinato, per cui, in applicazione dell’art. 2 della I. n. 230 del 1962, ha considerato a tempo indeterminato il contratto sin dalla prima data di assunzione.
2. – Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso G. Spa con quattro motivi. Ha resistito con controricorso S.M..
Motivi della decisione
3. – Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.
4. – Con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 2094 e 2222 c.c. e dell’art. 2, co. 2, I. n. 230 del 1962, assumendo che le parti, dopo la scadenza del primo contratto a termine, avevano volontariamente stipulato un nuovo e diverso contratto ex art. 2222 c.c. e, pertanto, la definizione del diverso assetto del rapporto giuridico dimostrava inequivocabilmente la volontà di non proseguire alle medesime condizioni il rapporto inizialmente stipulato.
Con il secondo motivo si denuncia insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio sostenendo che l’esistenza della natura subordinata del rapporto nel periodo successivo alla scadenza del contratto a termine affermata dalla Corte territoriale non trova riscontro nell’istruttoria espletata.
Entrambi i motivi non possono trovare accoglimento in quanto, nonostante la veste formale del secondo che denuncia violazioni di legge, nella sostanza essi lamentano un errato apprezzamento da parte dei giudici di merito della vicenda storica che ha dato origine alla controversia, con una richiesta di riesame che è precluso in questa sede di legittimità, ove la motivazione espressa dal giudice cui è esclusivamente riservata la valutazione della quaestio facti sia adeguata e non contraddittoria, come reputa il Collegio sia accaduto nella specie.
5. – Con il terzo motivo si denuncia violazione di norme di diritto in quanto la Corte pugliese ha confermato la sentenza di condanna della G. Spa al risarcimento del danno dalla costituzione in mora del datore di lavoro sino al ripristino del rapporto di lavoro nonostante l’entrata in vigore dell’art. 32 della I. n. 183 del 2010, prima della pronuncia della sentenza medesima.
Con il quarto motivo si chiede quindi l’applicazione dell’art. 32, commi 5 e 7, I. n. 183/2010, applicabile anche ai giudizi in corso, con remissione alla Corte di Appello per la quantificazione dell’indennità risarcitoria prevista da detta norma.
Le censure sono fondate in quanto la Corte territoriale ha trascurato di considerare che, dopo l’entrata in vigore della I. n. 183 del 2010, la pronuncia emessa non poteva limitarsi a confermare la condanna della società al pagamento delle retribuzioni maturate a partire dalla messa in mora fino alla riammissione in servizio della dipendente, dovendosi procedere alla quantificazione dell’indennità di cui all’art. 32, commi 5 e 7, della legge citata, (v. tra tante Cass. n. 6735 del 2014), anche perché il capo della condanna risarcitoria in primo grado era stato impugnato in appello (cfr. Cass. n. 6101 del 2014 e n. 85 del 2015).
Pertanto la sentenza impugnata deve essere cassata sul punto, con rinvio al giudice indicato in dispositivo che provvederà alla forfetizzazione del pregiudizio subito dal lavoratore per i danni causati dalla nullità del termine nel periodo cosiddetto “intermedio” che decorre dalla scadenza del termine sino alla sentenza di conversione (Cass. n. 19295 del 2014; Cass. n. 151 del 2015)”
6. – Conclusivamente, respinti i primi due motivi, devono essere accolti gli altri, affinché, cassata la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte, il giudice del rinvio possa procedere, in ordine alle conseguenze patrimoniali della conversione, all’applicazione dell’art. 32 della I. n. 183 del 2010, oltre alla regolamentazione delle spese.
P.Q.M.
Rigetta i primi due motivi di ricorso, accoglie il terzo ed il quarto motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per la regolazione delle spese, alla Corte di Appello di Bari in diversa composizione.
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