CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 gennaio 2018, n. 607
Avviso di accertamento – Recupero ad imposizione IVA delle detrazioni dichiarate in relazione a fatture relative ad operazioni soggettivamente inesistenti – Prova della conoscenza della frode – Dimostrabilità
Fatti di causa
1. L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione contro la s.r.l. E.-C. avverso la sentenza del 21 ottobre 2009, con la quale la Commissione Tributaria Regionale di Milano ha rigettato il suo appello avverso la sentenza resa in primo grado dalla Commissione Tributaria Provinciale di Milano nel febbraio del 2008, con cui era stato accolto il ricorso introdotto dalla società avverso l’avviso di accertamento n. R.1R03DD01070/2006, con il quale l’Agenzia delle Entrate-Ufficio Locale di Milano 3 aveva accertato una maggiore imposta a titolo di IVA per l’anno 2004 in € 112.071,00 in relazione ad operazioni di fatturazione soggettivamente inesistenti, nonché una maggiore imposta a titolo di IRES di € 174.397,00 ed a titolo di IRAP per € 24.656,00 in relazione a rilevati costi non di competenza iscritti nella gestione 2004 e pertinenti a quella del 2003 e a costi non documentati, e con la conseguente comminatoria di sanzioni per € 261.595,00.
2. Al ricorso per cassazione dell’Agenzia delle Entrate, affidato a sei motivi, ha resistito la società con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Ai fini dello scrutinio dei motivi di ricorso e prima di riferirli, è opportuno precisare che nell’esposizione del fatto la parte ricorrente ha ampiamente riferito sia le ragioni dell’avviso di accertamento, sia quelle poste a base del ricorso introduttivo della lite dalla resistente, sia le difese dell’Agenzia, sia il tenore della motivazione della sentenza di primo grado, sia quello del proprio appello.
Sicché, è stata fornita un’esauriente informazione sullo svolgimento del processo nelle fasi di merito, con la conseguenza che la Corte è messa in grado di valutare i motivi del ricorso nel loro argomentare apprezzandoli in relazione alle palesate emergenze di quanto è stato riferito su quello svolgimento.
2. Mette conto, inoltre, di riferire qual è stata la motivazione della sentenza qui impugnata, attesa la sua estrema concisione.
Essa ha avuto il seguente tenore:
«La commissione di I° grado ha ritenuto di accogliere il ricorso introduttivo in quanto dagli atti processuali, si riscontra la legittimità delle operazioni poste in essere tra la società ricorrente e la società G. S.r.l. In particolare richiama la sentenza del Tribunale di Milano numero 5720/07, depositata il 18/05/2007, con la quale il contribuente è stato assolto dalle imputazioni a lui ascritte perché il fatto non sussiste. Rileva altresì che non è il contribuente ma l’Ufficio ad accertare i fatti e le circostanze che giustificano la pretesa tributaria. Con l’appello prodotto a questa Commissione l’ufficio chiede la conferma della legittimità del proprio operato. Al riguardo si osserva che alla luce della sopra richiamata sentenza la quale ha confermato la regolarità, sia pure sotto il profilo penale, il Collegio ritiene che non può condividersi quanto sostenuto dall’Ufficio in quanto in concreto non viene fornita alcuna prova circa la legittimità e fondatezza del proprio operato. In particolare ad avviso del Collegio non può essere considerato elemento di prova quanto affermato dall’Ufficio e cioè che dall’esame comparato delle fatture d’acquisto con quella di vendita è emerso che alcune di esse “sembrano” prive delle corrispondenti fatture di vendita in quanto la parola “il sembrare” non può essere considerata la prova di quanto sostenuto. Pertanto in considerazione di quanto sopra ritiene il collegio di dover confermare l’impugnata sentenza a spese compensate.».
3. Con il primo motivo di ricorso principale, concluso da idoneo quesito di diritto, si prospetta “error in procedendo ex art. 360 n. 4 c.p.c. per violazione degli artt. 1 e 7 del D.Igs. 31.12.1992, n. 546, in combinato disposto con l’art. 654 c.p.p. e 116 c.p.c.”.
All’esito dell’illustrazione, che nel suo esordio si correla alla questione delle operazioni soggettivamente inesistenti e nella quale si richiamano i contenuti che nell’esposizione sommaria del fatto aveva avuto l’appello dell’Amministrazione, nonché la giurisprudenza di questa Corte, di cui a Cass. nn. 9958 e del 2008 e 5720 del 2007 circa la regola di giudizio che doveva essere applicata, si enuncia il seguente quesito di diritto:
«Premesso che l’Agenzia emanava avviso di accertamento per recuperare ad imposizione IVA le detrazioni dichiarate in relazione a fatture relative ad operazioni soggettivamente inesistenti e premesso altresì che in appello l’Agenzia lamentava che si sarebbe dovuto ritenere la Società consapevole della frode a causa delle concrete anomale modalità di acquisito dei beni e di pagamento della merce e che si sarebbe dovuto ritenere provata la frode in virtù della natura di “cartiera” della sua società fornitrice interposta, mentre la Società negava gli assunti dell’Agenzia per effetto del giudicato penale prodotto in giudizio, sicché l’inesistenza soggettiva delle operazioni fatturate, sotto il profilo della consapevolezza della frode da parte della Contribuente e sotto il profilo dell’esistenza stessa della frode, ha costituito insieme di fatti controversi e decisivi, dica codesta Suprema Corte se si applichi o no la norma giuridica, ricavata dagli artt. 1 e 7 del D.Igs. 31.12.1992, n. 546 in combinato disposto con l’art. 654 c.p.p. e con l’art. 116 c.p.c., secondo cui, “fermo restando che nel processo tributario la sentenza penale irrevocabile di assoluzione “perché il fatto non sussiste”, non spiega automaticamente effetti, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, il giudice tributario di merito deve prendere in considerazione il quadro indiziario complessivo, al fine di accertare se le operazioni commerciali oggetto della fatturazione siano state effettivamente poste in essere, sotto il profilo oggettivo che soggettivo, qualora l’amministrazione fornisca elementi di prova atti ad affermare la falsità di fatture, in quanto emesse per operazioni inesistenti, ed il contribuente offra, anche attraverso la produzione di un giudicato penale, validi indizi in senso contrario o, quantomeno, nel senso della effettiva realizzazione delle operazioni commerciali” alla presente fattispecie, cioè al caso in cui il giudice di secondo grado ha respinto l’appello dell’Agenzia per effetto del giudicato penale, applicando così la diversa e inesistente regola per cui, quando sussista giudicato penale di assoluzione dal reato tributario per insussistenza del fatto nei confronti del legale rappresentante della società contribuente, sarebbe provata sia l’inesistenza della frode sia la inconsapevolezza, da parte della società contribuente, della frode perpetrata attraverso l’emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti.».
Va rilevato che il motivo si correla alla sopra riportata motivazione nella parte che precede la penultima proposizione, quella che esordisce con l’espressione “In particolare…”.
4. Con il secondo motivo si denuncia “violazione, ex art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 2697 e 2729 c.c., dell’art. 654 c.p.p. e degli artt. 19, 21 e 54 del d.P.R. 26.10.72, n. 633”.
Vi si censura, evocando i principi di diritto di cui a Cass. n. 1014 del 2008, n. 21953 del 2007, n. 1569 del 2007, n. 17037 del 2002 e n. 4054 del 2007, sempre la stessa parte della motivazione della sentenza impugnata e sempre con riguardo al problema della falsa fatturazione soggettiva.
Il motivo conclude l’illustrazione della censura sintetizzandola con la formulazione del seguente quesito di diritto:
«Premesso che l’Agenzia emanava avviso di accertamento per recuperare ad imposizione IVA le detrazioni dichiarate in relazione a fatture relative ad operazioni soggettivamente inesistenti e premesso altresì che in appello l’Agenzia lamentava che si sarebbe dovuto ritenere la Società consapevole della frode a causa delle concrete anomale modalità di acquisito dei beni e di pagamento della merce e che si sarebbe dovuto ritenere provata la frode in virtù della natura di “cartiera” della sua società fornitrice interposta, mentre la Società negava gli assunti dell’Agenzia per effetto del giudicato penale prodotto in giudizio, sicché l’inesistenza soggettiva delle operazioni fatturate, sotto il profilo della consapevolezza della frode da parte della Contribuente e sotto il profilo dell’esistenza stessa della frode, ha costituito insieme di fatti controversi e decisivi, dica codesta Suprema Corte se si applichi o no la norma giuridica, ricavata dagli artt. 2697 e 2729 c.c., dell’art. 654 c.p.p. e degli articoli 19, 21 e 54 del DPR 26.10.1972 n. 633, secondo cui, “fermo restando che non è vincolante una sentenza penale di assoluzione dal delitto di utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, in considerazione della specificità del giudizio tributario in cui possono assumere rilevanza anche le presunzioni risultante da svariati gravi, precisi e concordanti elementi che dimostrano l’utilizzo da parte del contribuente di fatture per operazioni inesistenti, la cui regolarità documentale è del tutto irrilevante giuridicamente al fine d’appurare l’inesistenza soggettiva, il giudice tributario di merito deve prendere in considerazione tra gli elementi addotti dall’Agenzia, in assolvimento del suo onere probatorio, nel quadro indiziario complessivo, ove l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di importi documentati da fatture relative ad operazioni di cui sostenga l’inesistenza in quanto poste in essere con un soggetto emittente che è carente di struttura idonea a fornire la prestazione fatturata e perché è costituito ai soli fini della creazione di falsi documenti contabili” alla presente fattispecie, cioè al caso in cui il giudice di secondo grado ha respinto l’appello dell’Agenzia per effetto del mero giudicato penale, applicando così la diversa e inesistente regola per cui, quando sussista giudicato penale di assoluzione dal reato tributario per insussistenza del fatto nei confronti del legale rappresentante della società contribuente, è onere dell’Amministrazione provare la frode perpetrata attraverso l’emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti e la sua conoscenza da parte del contribuente, ancorché l’Amministrazione abbia fornito elementi indiziari in tal senso.».
5. Con il terzo motivo si prospetta “insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 n. 5 c.p.c.” e ciò sempre in riferimento alla ricordata parte della motivazione della sentenza impugnata.
All’esito della illustrazione del motivo si domanda a questa Corte di chiarire quanto segue:
«premesso che l’Agenzia emanava avviso di accertamento per recuperare ad imposizione IVA le detrazioni dichiarate in relazione a fatture relative ad operazioni soggettivamente inesistenti e premesso altresì che in appello l’Agenzia lamentava che si sarebbe dovuto ritenere la Società consapevole della frode a causa delle concrete anomale modalità di acquisto dei beni e di pagamento della merce e che si sarebbe dovuto ritenere provata la frode in virtù della natura di “cartiera” della sua società fornitrice interposta, mentre la Società negava gli assunti dell’Agenzia per effetto del giudicato penale prodotto in giudizio, sicché l’inesistenza soggettiva delle operazioni fatturate, sotto il profilo della consapevolezza della frode da parte della Contribuente e sotto il profilo dell’esistenza stessa della frode, ha costituito insieme di fatti controversi e decisivi, dica codesta Suprema Corte se il giudice d’appello abbia basato su motivazione insufficiente o no la decisione di accogliere sul punto l’appello della Società [scilicet: di rigettare sul punto l’appello dell’Agenzia], senza descrivere il processo logico-giuridico cognitivo attraverso il quale il medesimo giudice si è formato il giudizio finale espresso illegittimità e d’infondatezza dell’atto impositivo e, in particolare, senza indicare quali mezzi di prova acquisiti nel processo penale né quali fatti ivi accertati sono stati oggetto del suo giudizio né illustrare la valutazione delle risultanze di prova scaturitene e la qualificazione datane nel secondo la disciplina tributaria e non penalistica, nonché l'(in)idoneità dei fatti di prova forniti dall’Amministrazione, specificamente allegati dedotti quali elementi probatori da valutarsi complessivamente con l’argomento di prova costituito dal giudicato penale di assoluzione.».
6. Con il quarto motivo, sempre corredato da quesito di diritto, si prospetta “violazione, ex art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 19, 21, 51 e 54 del d.P.R. 26.10.72, n. 633, in relazione agli artt. 2 e 8 del d.Lgs. 10.3.2000 n. 74, e in combinato disposto con l’art. 2697 c.c. nonché col principio di supremazia e di effettività del diritto comunitario”, assumendo (con trasposizione nel quesito), sempre con riferimento alla pretesa correlata alle fatturazioni soggettivamente inesistenti e sempre considerando la motivazione della sentenza impugnata quanto alla parte di cui si è detto, che essa, contro i principi discendenti dal diritto comunitario, avrebbe deciso la controversia applicando una regola secondo la quale il diritto alla detrazione IVA dev’essere riconosciuto al soggetto passivo quando la sua conoscenza effettiva della natura fraudolenta dell’operazione economica non sia provata dall’Amministrazione, anziché quella per cui è quel soggetto che, in applicazione dei principi della tutela dell’affidamento e della certezza del diritto, ha l’onere di provare di avere incolpevolmente ignorato la falsità ideologica della fattura rilasciata a fronte dell’operazione.”.
7. Con il quinto motivo si denuncia “omessa motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c. circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”.
Il motivo si riferisce questa volta alla contestazione concernente l’illegittimità del recupero di costi non di competenza dell’esercizio del 2004 ed inerenti all’esercizio precedente.
La critica è questa volta diretta contro la motivazione della sentenza impugnata nella sua interezza e, quindi, anche con la considerazione della proposizione che inizia con l’espressione “In particolare..”.
La critica viene svolta formulando all’esito il seguente momento di sintesi:
«premesso che l’Agenzia emanava atto impositivo con cui recuperava i costi non di competenza indebitamente dedotti e premesso altresì che la (il)legittimità del recupero di costi non di competenza (in)debitamente dedotti, previa verifica del contenuto della dichiarazione fiscale della Contribuente, ha costituito fatto controverso e decisivo nel giudizio di merito, dica codesta Suprema Corte se il giudice d’appello abbia basato su motivazione omessa o no la decisione di confermare l’annullamento integrale dell’avviso di accertamento, già statuito nella sentenza di primo grado che aveva espressamente motivato sulla questione controversa, nella presente fattispecie, cioè nel caso in cui la CTR si è limitata ad esprimere il suo giudizio statico finale, anziché procedere alla redazione di una sentenza contenente una succinta esposizione dei motivi in fatto e in diritto, ovverosia contenente l’indicazione specifica sia dei fatti di causa sia dei fatti addotti per la loro prova (la dichiarazione dei redditi Unico 2005), la descrizione sia dei comportamenti intellettivi di valutazione delle prove sia dei comportamenti intellettivi riqualificazione dei fatti di causa, sia il ragionamento logico-giuridico condotto in base agli accertamenti dei fatti di causa e alla loro qualificazione per giungere al giudizio finale espresso sulla deducibilità dei costi non di competenza».
8. Con il sesto motivo si deduce “insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 n. 5 c.p.c.”.
Il motivo si riferisce alla contestazione concernente l’indeducibilità dei costi non documentati ed attinge anche qui l’intera motivazione, ivi compresa la ricordata proposizione, concludendosi con il seguente motivo di sintesi:
«premesso che l’Agenzia emanava atto impositivo con cui recuperava i costi non documentati indebitamente dedotti e premesso altresì che l’omessa documentazione di costi dedotti dalla Contribuente ha costituito fatto controverso decisivo nel giudizio di merito, dica codesta Suprema Corte se il giudice d’appello abbia basato su motivazione insufficiente o no la decisione di respingere l’appello dell’Agenzia sul punto, senza descrivere il processo logico-giuridico e cognitivo attraverso il quale il medesimo giudice si è formato il giudizio finale espresso di deducibilità e, in particolare, senza indicare quali mezzi di prova sono stati oggetto del suo giudizio né illustrare la valutazione delle risultanze di prova scaturitene e la qualificazione datane nonché l’inidoneità dei fatti di prova forniti dall’Amministrazione, ma limitandosi unicamente a riferire di una parola – “sembrare” – usata dall’agenzia in un atto non identificato è assunta ingiustificatamente dalla CTR a elemento esclusivo comprovante la documentazione dei costi dedotti.»
9. Il Collegio rileva in primo luogo che, con riferimento ai primi quattro motivi, che, come s’è detto attengono alla motivazione della sentenza impugnata con riguardo al profilo inerente alla fatturazione soggettivamente inesistente, è preliminare l’esame del terzo motivo, il quale, pur essendo dedotto ai sensi del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. nel testo applicabile al ricorso, che è quello a suo tempo introdotto dal d.lgs. n. 40 del 2006, risulta, in realtà, non tanto evidenziare un’insufficiente motivazione su un fatto controverso, quanto una sostanziale esistenza nella sentenza impugnata di un vizio di violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ., cioè di mancanza di un’effettiva motivazione.
Norma che è applicabile anche al processo tributario (si veda già Cass. n. 13990 del 2003 e, da ultimo, Cass. (ord.) n. 9745 del 2017). L’apprezzamento del terzo motivo nel senso appena indicato si giustifica alla stregua del criterio di valutazione indicato da Cass., Sez. Un. n. 17931 del 2013, secondo cui: <<Il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi.».
Il principio è applicabile in via generale e, quindi, riguarda anche un motivo che, come il terzo, denuncia, come appare manifesto dalla stessa formulazione della conclusione che dovrebbe evidenziare il momento finale, non già l’insufficienza della motivazione su uno specifico fatto controverso, quanto la totale carenza nella motivazione adottata dalla corte regionale dei requisiti minimi per consentire di percepire le ragioni del suo convincimento sulla fondatezza dell’addebito relativo alla fatturazione soggettivamene inesistente, cioè su uno dei tre profili dell’accertamento impugnato dalla resistente.
Invero, l’articolazione della illustrazione del motivo non evidenzia una ragione di insufficienza su uno specifico fatto storico costituente fatto costitutivo dell’accertamento, ma una sostanziale mancanza di una motivazione percepibile come tale sulla complessiva questione relativa all’addebito della fatturazione soggettivamente inesistente per come devoluta all’esame del giudice d’appello.
9.1. Ciò è tanto vero che si assume come oggetto di critica espressamene nella illustrazione la ricordata scarna motivazione.
Lo fa manifesto, altresì, quanto si argomenta nella pagine 46 e 47, che non si risolve nella imputazione alla sentenza di non avere motivato su uno specifico fatto controverso, bensì nell’evidenziare che cosa avrebbe dovuto attingere e come si sarebbe dovuta articolare una corretta motivazione, sicché la critica si concreta in una vera e propria sostanziale doglianza di mancanza di motivazione come requisito della sentenza.
Ciò è tanto più vero: a) se si considera che il motivo è enunciato sulla base di un’esposizione sommaria nella quale si è dato conto delle ragioni dell’appello, che apparivano articolate e diffuse sì da interessare le pagine 14-23 del ricorso, in cui si è riprodotto ciò che si era argomentato alle pagine 4-10 del ricorso in appello; b) se si considera quanto esposto nei primi due motivi del ricorso, nei quali le censure rivolte alla sentenza, per essere articolate, risultano necessariamente preceduta da un’attività che è costretta ad ipotizzare un senso alle sua scarne affermazioni al di là di quanto da esse risulta.
9.2. Tanto premesso, la motivazione della sentenza impugnata risulta inintellegibile, sì da suonare come motivazione meramente apparente, là dove, dopo avere registrato che il giudice di primo grado «ha ritenuto di accogliere il ricorso introduttivo in quanto dagli atti processuali, si riscontra la legittimità delle operazioni poste in essere tra la società ricorrente e la società G. S.r.l.», si è limitata a rilevare, senza nulla di specifico riferire sul ragionamento seguito da quel giudice, che esso aveva “richiamato” la sentenza penale di assoluzione del “contribuente” (scilicet del suo legale rappresentante) «dalle imputazioni a lui ascritte perché il fatto non sussiste» e «altresì che non è il contribuente ma l’Ufficio ad accertare i fatti e le circostanze che giustificano la pretesa tributaria», per poi, dato atto che l’appellante Agenzia aveva chiesto la conferma della legittimità del proprio operato, osservare «che alla luce della sopra richiamata sentenza la quale ha confermato la regolarità, sia pure sotto il profilo penale, il Collegio ritiene che non può condividersi quanto sostenuto dall’Ufficio in quanto in concreto non viene fornita alcuna prova circa la legittimità e fondatezza del proprio operato.».
9.3. La mancanza di intelligibilità, cioè di percepibilità delle ragioni del decidere deriva:
a) dall’assoluta carenza di indicazione specifica sul significato del “richiamo” alla sentenza penale che si dice fatto dalla sentenza di primo grado, il che, al di là della totale mancanza di giustificazione motivazionale della condivisione, rende impossibile per il lettore della sentenza comprendere che cosa si è condiviso, perché rimane del tutto ignoto ciò che si è condiviso, se non per il profilo concernente la natura assolutoria della pronuncia penale;
b) dall’assoluta mancanza di spiegazione prima sul perché e, quindi, sul significato dell’affermazione del primo giudice che incombesse all’Ufficio e non al contribuente accertare i fatti e le circostanze che giustificano la pretesa tributaria;
c) dalla mancanza di qualsivoglia giustificazione e spiegazione della condivisione “alla luce” (rimasta non individuata) della sentenza penale dell’avviso da essa espresso circa la “regolarità, sia pure sotto il profilo penale”;
d) dalla conseguente mancanza di qualsivoglia giustificazione intellegibile del perché non si sarebbe potuto condividere quanto sostenuto dall’Ufficio, peraltro nemmeno individuato nei suoi contenuti, atteso che il silenzio sulle ragioni della condivisione della sentenza penale non può far “luce” su detta affermazione;
e) dalla totale mancanza di giustificazione, anche se si volesse ritenere – contro l’evidenza del senso delle parole usate – che l’affermazione non sia giustificata dalla non spiegata “luce” proveniente dalla sentenza penale e che sia stata fatta in via autonoma, sul significato e sulle ragioni in iure per le quali l’Ufficio doveva fornire la prova della legittimità e fondatezza del proprio operato.
Quest’ultimo rilievo rende comunque irrilevante, ai fini della configurazione del vizio di mancanza della motivazione sotto il profilo della sua inintelligibilità, la successiva affermazione finale che «In particolare ad avviso del Collegio non può essere considerato elemento di prova quanto affermato dall’Ufficio e cioè che dall’esame comparato delle fatture d’acquisto con quella di vendita è emerso che alcune di esse “sembrano” prive delle corrispondenti fatture di vendita in quanto la parola “il sembrare” non può essere considerata la prova di quanto sostenuto.».
Si tratta di un’affermazione che non viene assunta a oggetto di critica nel terzo motivo (come nei primi due), quasi che non si riferisca anche alla questione della falsa fatturazione soggettiva, mentre, come si è sopra riferito, viene considerata nel quinto e nel sesto motivo ed impugnata sempre sotto il profilo del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., sebbene nuovamente – come si dirà – con sostanziale censura riconducibile alla violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ.
L’indicata irrilevanza esclude che la mancanza di una critica espressa della ricordata affermazione renda il terzo motivo, per come qualificato, non correlato al tenore complessivo della sentenza. E ciò anche a prescindere dalla inidoneità di essa ad integrare una motivazione, della quale, di seguito, appunto si darà conto.
9.4. Le svolte considerazioni comportano l’accoglimento del terzo motivo, inteso come deducente sostanziamene la violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ., perché la motivazione enunciata dalla sentenza impugnata risulta del tutto apparente, sicché si configura un caso riconducibile alla specie della c.d. motivazione apparente (nel senso ribadito in generale da Cass., Sez. Un., n. 8053 e 8054 del 2014), non constando nei passaggi indicati di alcuna spiegazione in qualche modo intellegibile. Né nell’evocazione del decisum del primo giudice, né nella condivisione della “luce” proveniente dalla sentenza penale, né nella spiegazione dell’onere probatorio addebitato all’Amministrazione.
La sentenza impugnata va, pertanto cassata con assorbimento del primo e del secondo motivo.
9.5. Il giudice di rinvio provvederà a rendere sulla parte della controversia concernente le pretese false fatturazioni una motivazione intellegibile e nel farlo dovrà considerare le questioni discusse nel primo e nel secondo motivo.
In ordine alla rilevanza del giudicato penale terrà conto del consolidato principio di diritto, espresso anche dai precedenti invocati nel secondo motivo, secondo cui: «In materia di contenzioso tributario, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorché i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in tema di prova posti dall’art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sé inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Ne consegue che l’imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l’atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario.» (da ultimo, ex multis, Cass. (ord.) n. 16262 del 2017).
9.6. Inoltre, avuto riguardo alle risultanze degli atti, anche in relazione al tenore dell’appello, terrà conto dei principi di diritto evocati dalla ricorrente nel secondo motivo e, avuto riguardo alla più recente giurisprudenza di questa Corte, del principio di diritto, secondo cui: «In tema di contenzioso tributario, l’Amministrazione finanziaria, ove contesti l’inesistenza di operazioni assunte a presupposto della deducibilità dei relativi costi e di detraibilità della relativa imposta, ha l’onere di provare, anche mediante presunzioni semplici, che dette operazioni, in realtà, non sono state effettuate, mentre, in presenza di siffatta prova, spetta al contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili. (Fattispecie relativa ad un avviso di accertamento in rettifica di dichiarazione IVA con determinazione di un minor credito di imposta per operazioni inesistenti, per cui l’Ufficio aveva fornito la prova del carattere soggettivamente fittizio delle operazioni poste in essere dal contribuente) (Cass. n. 25775 del 2014; nonché di quello di cui a Cass. n. 25778 del 2014, secondo cui: «In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, allorché contesti il diritto del contribuente a portare in detrazione VIVA, assumendo l’esistenza di una fatturazione relativa ad operazioni oggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare, anche mediante presunzioni semplici, che le operazioni non sono state effettuate o, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, che il contribuente, al momento in cui ha acquistato il bene o il servizio, sapeva, o avrebbe dovuto sapere, secondo l’ordinaria diligenza, di partecipare ad una operazione fraudolenta posta in essere da altri soggetti. Ne consegue che, nel caso di cosiddetta “frode carosello”, l’Amministrazione finanziaria, che intenda negare il diritto alla detrazione dell’IVA assolta in rivalsa, deve provare sia la frode del cedente, sia la connivenza del cessionario, quest’ultima anche per presunzioni semplici (purché gravi, precise e concordanti), che possono derivare dalle stesse risultanze di fatto attinenti al ruolo di “cartiera” del cedente, incombendo sul contribuente, a fronte di siffatte dimostrazioni, la prova contraria.»; e più di recente si veda Cass. n. 10120 del 2017, secondo cui: «In tema di evasione dell’IVA a mezzo di frodi carosello, quando l’operazione soggettivamente inesistente è di tipo triangolare, poco complessa e caratterizzata dalla interposizione fittizia di un soggetto terzo tra il cedente comunitario ed il cessionario italiano, l’onere probatorio a carico della Amministrazione finanziaria, sulla consapevolezza da parte del cessionario che il corrispettivo della cessione sia versato al soggetto terzo non legittimato alla rivalsa né assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta, è soddisfatto dalla dimostrazione che l’interposto sia privo di dotazione personale e strumentale adeguata alla prestazione fatturata, mentre spetta al contribuente-cessionario fornire la prova contraria della buona fede con cui ha svolto le trattative ed acquistato la merce, ritenendo incolpevolmente che essa fosse realmente fornita dalla persona interposta.».
10. Anche il quinto ed il sesto motivo debbono per il loro oggettivo tenore intendersi come denuncianti un vizio di violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ.: infatti, si risolvono nella deduzione che la motivazione resa sarebbe inintellegibile, piuttosto che nella denuncia di una motivazione rispettivamente omessa e insufficiente.
Avuto riguardo alla parte di motivazione oggetto di critica nel terzo motivo, le considerazioni svolte sopra – ammesso che detta parte sia riferibile ai due profili della controversia oggetto di tali motivi, cosa della quale potrebbe financo dubitarsi, atteso il riferimento della sentenza penale al problema delle false fatturazioni – giustificano che si debba senz’altro ritenere che i due motivi siano fondati. Lo sono anche considerando l’estensione della motivazione alla penultima proposizione che inizia con l’espressione “In particolare…”. S’è già detto che essa dipende dalla motivazione precedente, nel senso che vorrebbe esplicitarla, come fa manifesto appunto quell’espressione.
Ma, peraltro, esattamente la ricorrente deduce che la sentenza impugnata nemmeno ha detto dove sarebbero state usate le espressioni verbali imperniata sul verbo “sembrare” ed a che cosa esse si riferissero, il che di per sé non consente di percepire su che cosa sia stata espressa la relativa valutazione.
Inoltre, la sostanziale mancanza della motivazione risulta ulteriormente aggravata dalla totale pretermissione della considerazione delle considerazioni svolte nell’appello sulle questioni oggetto dei due motivi.
11. Conclusivamente sono accolti il terzo, il quinto ed il sesto motivo nei sensi di cui in motivazione e la sentenza impugnata, previo assorbimento degli altri motivi, è cassata con rinvio ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale di Milano, comunque in diversa composizione.
12. Il giudice di rinvio provvederà sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
Accoglie nei sensi di cui in motivazione il terzo, il quinto ed il sesto motivo di ricorso. Dichiara assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione e rinvia ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale di Milano, comunque in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 08 giugno 2021, n. 15860 - In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell'ambito di una frode carosello, ha l'onere…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 19115 del 14 giugno 2022 - In tema di operazioni soggettivamente inesistenti l'Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell'ambito…
- Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 50362 depositata il 12 dicembre 2019 - L'indicazione di elementi passivi fittizi nella dichiarazione, avvalendosi di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, anziché relative ad operazioni…
- Commissione Tributaria Regionale per la Basilicata sez. 1 sentenza n. 3 depositata il 4 gennaio 2022 - Possono considerarsi soggettivamente inesistenti quelle operazioni commerciali che pur essendo avvenute e per le quali il prezzo è stato regolarmente…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 16836 depositata il 7 agosto 2020 - In tema di operazioni soggettivamente inesistenti l'Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 19 maggio 2021, n. 13593 - In tema di operazioni soggettivamente inesistenti l'Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Le liberalità diverse dalle donazioni non sono sog
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 7442 depositata…
- Notifica nulla se il messo notificatore o l’
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 5818 deposi…
- Le clausole vessatorie sono valide solo se vi è ap
La Corte di Cassazione, sezione II, con l’ordinanza n. 32731 depositata il…
- Il dipendente dimissionario non ha diritto all’ind
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 6782 depositata…
- L’indennità sostitutiva della mensa, non avendo na
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 7181 depositata…