CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 gennaio 2018, n. 608
Accertamento – Ricavi maggiori di quelli dichiarati – Ricorso – Rettifica induttiva – Fattispecie
Fatti di causa
La Commissione tributaria provinciale di Avellino ha accolto il ricorso proposto da S.F., destinatario della notificazione, quale autore della violazione, dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della M.S. s.r.l. con il quale, per l’anno 1999, sono stati riscontrati ricavi maggiori di quelli dichiarati, con le conseguenti correzioni ai fini Iva e Irap, ed è stata inoltre operata la rettifica induttiva del reddito ai soli fini Irpeg, in applicazione della percentuale di redditività media del settore.
La Commissione tributaria regionale della Campania (Ctr), adita dall’Amministrazione finanziaria soccombente, con identiche sentenze di pari data accoglieva gli appelli proposti dal professionista e dalla società limitatamente all’Iva e all’Irpeg.
Contro la sentenza l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
S.F. reagisce con controricorso contenente ricorso incidentale affidato a due motivi.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo del ricorso principale denuncia, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4 c.p.c., omissione di pronuncia sulla eccezione pregiudiziale con la quale l’Amministrazione finanziaria aveva dedotto la nullità della sentenza di primo grado per violazione dell’art. 112 c.p.c., «in quanto i giudici di primo grado avrebbero dovuto esclusivamente statuire, in merito, alle eccezioni di parte se il reddito di impresa accertato ai fini Irpeg fosse pari a lire 31.109.000 per effetto dei maggiori ricavi accertati in lire 50.363.000 […] ovvero a lire 71.236.000 ottenute applicando la redditività del 10% ai ricavi rilevati dall’organo ispettivo».
2.1. La ricorrente sostiene:
– che l’Amministrazione avrebbe operato due riprese fra loro indipendenti: una, scaturita da un accertamento analitico, con la quale ha rettificato, ai fini Iva e Irap, i ricavi dichiarati, aumentandoli da lire 661.363.000 a lire 712.358.517; l’altra induttiva, con la quale ha rideterminato il reddito in lire 71.236.000, applicando ai ricavi la percentuale di redditività del settore pari al 10%;
– che la contribuente aveva impugnato solo la determinazione induttiva, operata ai fini Irpeg, e non pure la determinazione analitica; tuttavia, il primo giudice le avrebbe annullato entrambe;
– che la Ctr, sulla relativa censura proposta dall’Amministrazione con i motivi d’appello, non ha assunto alcuna decisione, incorrendo nel vizio di omissione di pronuncia di cui al motivo in esame.
2.2. Il motivo presenta più profili di inammissibilità.
Il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, nel giudizio tributario, si configura qualora il giudice fondi la decisione su motivi non dedotti o dedotti sotto profili diversi da quelli che costituiscono la ratio decidendi (Cass. n. 8387/1996; n. 19337/2011; n. 9020/2017).
I motivi del ricorso si configurano come causae petendi della domanda di annullamento e sono a loro volta correlati alla motivazione e al dispositivo dell’atto impugnato.
Ciò posto il motivo incorre in un difetto di autosufficienza: la ricorrente trascrive per intero il ricorso e la sentenza di primo grado, mentre non trascrive l’atto impugnato e ciò, avuto riguardo alla natura della censura mossa contro la decisione, impedisce l’esatta comprensione della vicenda.
Inoltre la ricorrente trascrive il ricorso di primo grado, ma non precisa i termini della produzione del documento nelle fasi di merito, incorrendo nella violazione dell’art. 366, comma primo, n. 6, c.p.c.
Occorre poi considerare che la sentenza d’appello si è sostituita totalmente a quella di primo grado (Cass. n. 1583/1970).
Essa quindi andava denunciata perché la Ctr, non rilevando il vizio di ultra petizione della decisione dei primi giudici, e tuttavia confermandola nel merito, è autonomamente incorsa in quel medesimo vizio.
La violazione dell’art. 112 c.p.c. andava quindi dedotta sotto questo diverso profilo.
3. Il secondo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5, c.p.c. omessa motivazione sulla stessa questione.
In disparte il fatto che si tratta pur sempre della omissione di pronuncia oggetto già oggetto di censura con il motivo precedente, il motivo in esame incorre nelle stesse ragioni di inammissibilità.
4. Il terzo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 2364 cc e dell’art. 2 d.P.R. n. 322 del 1998.
4.1. Nella dichiarazione per l’anno 1999 presentata dalla società fu riportata una perdita di esercizio per un certo importo, mentre nel bilancio per la stessa annualità, approvato dopo la presentazione della dichiarazione per l’anno 1999, è riportata una perdita maggiore di quella dichiarata, tale da assorbire interamente i maggiori ricavi induttivamente accertati dall’Ufficio.
Di là dalla pluralità dei richiami normativi, la sola censura mossa ai giudici tributari è di avere riconosciuto la rilevanza fiscale della maggiore perdita nonostante la originaria dichiarazione non fosse stata corretta tramite apposita dichiarazione integrativa.
Il motivo incorre in una preliminare ragione di inammissibilità, posto che si discute di documenti senza fornire l’indicazione specifica della loro produzione, con conseguente violazione dell’art. 366, comma primo, n. 6, c.p.c.
Si ritiene di aggiungere che la ricorrente è comunque in errore quando ritiene che la mancanza della dichiarazione integrativa impediva, per ciò solo, di prendere in considerazione il diverso dato fatto valere dalla contribuente sulla base del bilancio. Secondo la giurisprudenza di questa Suprema corte «In caso di errori od omissioni nella dichiarazione dei redditi, la dichiarazione integrativa può essere presentata non oltre i termini di cui all’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 se diretta ad evitare un danno per la P.A. (art. 2, comma 8, del d.P.R. n. 322 del 1998), mentre, se intesa, ai sensi del successivo comma 8 bis, ad emendare errori od omissioni in danno del contribuente, incontra il termine per la presentazione della dichiarazione per il periodo d’imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante, fermo restando che il contribuente può chiedere il rimborso entro quarantotto mesi dal versamento ed, in ogni caso, opporsi, in sede contenziosa, alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria (Cass. n. 13378/2016).
(Ai fini della decisione non ha alcuna rilevanza prendere in considerazione i riflessi delle modifiche legislative recentemente intervenute in questa materia ex art. 5 del dl. 22 ottobre 2016, n. 193, convertito con modificazione nella Legge 10 dicembre 2016, n. 225, con il quale sono stati riscritti il comma 8 e il comma 8-bis dell’art. 2 del D.P.R. n. 322 del 1998).
***
1. Il primo motivo del ricorso incidentale, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c., denuncia la violazione dell’art. 329 e 334 c.p.c., per avere la Ctr attribuito alla mancata costituzione della contribuente nel giudizio di appello il significato di acquiescenza rispetto alla sentenza di primo grado e ciò ancorché la sentenza della Commissione provinciale avesse interamente il ricorso. L’acquiescenza non era quindi configurabile.
1.1. La sentenza impugnata innanzitutto si è così espressa: «Questo collegio che, in pari data ha deciso sull’appello prodotto dall’Ufficio avverso la sentenza riguardante il ricorso prodotto dalla società M.S., avente ad oggetto lo stesso avviso di accertamento. Si riporta integralmente la predetta decisione: “Questo collegio [n.d.r.: ritiene] che l’appello dell’Ufficio, in parte appare fondato e va accolto parzialmente almeno per quanto riguarda i recuperi IVA e IRAP relativi ai maggiori imponibili e valore della produzione per £ 50.363.000, sui quali la controparte ha prestato acquiescenza”».
Il motivo di ricorso si appunta, per sostenere la censura nel senso che si sarebbe attribuita alla contumacia in appello il valore di “acquiescenza”, sulla sola frase successiva, che è del seguente tenore e fa parte della coeva decisione evocata: «D’altronde la mancata costituzione della società ricorrente in questo grado di giudizio deve far ritenere che abbia prestato acquiescenza, non avendo alcun elemento valido per contestare i motivi dell’appello».
Senonché la motivazione continua di seguito in questi termini: «Questo collegio, pur ritenendo la sentenza impugnata ampiamente motivata in tutti i rilievi sollevati, deve rilevare che l’Ufficio ha concluso il ricorso di appello nel modo seguente: “….seppure sì volesse riconoscere in questa sede la perdita di £ 307.951081 che assorbirebbe i maggiori ricavi comunque accertati, i recuperi dell’IVA e dell’IRAP relativi ai maggiori imponibile e valore della produzione, assunti entrambi parti a £. 50.363.000 sulla base del citato processo verbale, sono in ogni caso assolutamente legittimi ed intangibili anche perché la controparte ha prestato acquiescenza”. Pertanto non avendo alcuna prova contraria per rigettare tale conclusione, ritiene di accogliere l’appello soltanto per questa parte e, quindi, confermare i recuperi IVA ed IRAP così come innanzi specificato».
Ebbene la critica di cui al motivo si appunta solo sulla frase indicata, mentre si disinteressa del resto della motivazione, il cui tenore evidenzia che, richiamando la motivazione della di primo grado sentenza impugnata il Collegio di secondo grado l’ha ritenuta ampiamente motivata e, dunque, l’ha condivisa. Tale affermazione è da sola sufficiente a reggere la motivazione della sentenza di appello, sicché, anche in disparte il rilievo ulteriore di una “acquiescenza” verificatasi in primo grado, che pure traspare, risulta palese che la frase censurata da parte ricorrente non ha assunto alcuna rilevanza decisiva, sicché è inutile domandarsi se essa era sbagliata. Il motivo è, dunque, inammissibile sia perché non si fa carico dell’intera motivazione, sia perché pone una questione priva di decisività.
2. Il secondo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5 c.p.c., omessa motivazione su punto decisivo della controversia.
La Ctr ha confermato la sentenza di primo grado là dove questa aveva annullato l’avviso di accertamento con riferimento ai maggiori ricavi induttivamente accertati, mentre l’ha riformata con riguardo all’ Iva e Irap.
Secondo la ricorrente, così facendo la Ctr ha omesso di considerare il fatto decisivo che i recuperi Iva e Irap trovavano anch’essi giustificazione nei maggiori ricavi oggetto di accertamento induttivo. Se la Ctr avesse considerato tale circostanza, avrebbe certamente assunto una decisione diversa.
2.1. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza. La parte trascritta dell’avviso di accertamento non consente di comprendere se la rettifica induttiva del reddito fosse stata estesa all’Iva e Irap. Vi è da aggiungere che la ricostruzione in fatto operata dall’Amministrazione circoscrive la portata della rettifica induttiva solo all’Irpeg.
In conclusione vanno rigettati sia il ricorso principale e sia il ricorso incidentale.
Spese compensate.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale; dichiara interamente compensate le spese del presente giudizio.
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