CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 ottobre 2017, n. 24015
Licenziamento disciplinare – Assenza ingiustificata – Trsferimento di sede – Rifiuto ingiustificato del lavoratore – Assistenza soggetti portatori di handicap grave – Diritto di scegliere la sede di lavoro più vicina al domicilio dell’assistito – Necessità del consenso
Fatto e motivi
1. La Corte di Appello di Napoli, con la sentenza n. 11 in data 8.1.2015, ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Napoli aveva rigettato il ricorso proposto da G. M. C., volto all’accertamento della illegittimità e/o inefficacia del licenziamento in data 28.10.2011, intimato dalla società S. S. srl per assenza ingiustificata dal servizio a decorrere dal 7.10.2011, e alla pronuncia dei provvedimenti reintegratori, economici e reali.
2. La Corte territoriale ha ritenuto che: la prova testimoniale aveva dimostrato che il provvedimento relativo al trasferimento dalla mensa del carcere Poggioreale a quella del carcere di Portici era stato comunicato a mezzo di lettera raccomandata e, il 17.9.2011, oralmente; lo stesso C. nell’atto di querela aveva riferito che il trasferimento gli era stato comunicato telefonicamente prima del 17.9.2011; il telegramma contenente la comunicazione del trasferimento inviato il 28.9.2011 era stato regolarmente consegnato al lavoratore; il rifiuto del C. di svolgere la prestazione lavorativa presso la mensa di Portici era ingiustificato perché la nuova sede di lavoro si trovava a pochi chilometri di distanza dalla originaria sede di lavoro e dalla abitazione del lavoro del medesimo, le mansioni erano equivalenti a quelle già affidate presso il carcere di Poggioreale, l’orario di lavoro assegnato non era incompatibile con le esigenze del lavoratore di assicurare l’assistenza la familiare disabile; la sanzione risolutiva era proporzionata alla condotta addebitata perché costituiva violazione dei doveri fondamentali che incombono sul lavoratore, il quale avrebbe potuto contestare la legittimità del trasferimento nelle more dell’adempimento della prestazione lavorativa presso la nuova sede di lavoro.
3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione G. M. C. affidato a tre motivi, al quale ha resistito con tempestivo controricorso la Sogart. Service srl.
4. La controricorrente in data 20.4.2016 ha depositato comparsa di costituzione di nuovo difensore, all’esito del decesso dell’Avvocato Riccardo Cirillo, originario difensore. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.
Sintesi dei motivi
5. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 13 della L. n. 300 del 1970 e/o dell’art. 33 c. 5 della L. n. 104 del 1992, e delle disposizioni della contrattazione collettiva, per avere la Corte territoriale ritenuto che il provvedimento di trasferimento fosse stato comunicato ad esso ricorrente attraverso la consegna del telegramma in data 28.9.2011. Asserisce che il telegramma non costituirebbe prova idonea a provare l’avvenuta comunicazione del provvedimento di trasferimento.
6. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c., omesso esame di un fatto decisivo del giudizio oggetto di discussione delle parti e violazione della L. n. 604 del 1966, degli artt. 2118, 2119, e 2087 c.c. e dei contratti e degli accordi nazionali di lavoro. In sostanza il ricorrente lamenta che la Corte territoriale ha ritenuto irrilevante la questione relativa alla qualificazione del trasferimento ai sensi e per gli effetti dell’art. 33 c. 5 della L. n. 104 del 1992, oggetto di esplicita censura formulata nei confronti della relativa statuizione contenuta nella sentenza di primo grado. Condizionando il motivo di ricorso alla eventualità che siffatta questione sia ritenuta rilevante, deduce che la mensa presso il Carcere di Poggioreeale e quella presso il carcere di Portici costituiscono, ai sensi dell’art. 2103 c.c. due autonome e distinte unità produttive poste in Comuni diversi.
7. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c.,
violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966 e successive modifiche , degli artt. 2118, 2119, 2087 e 1460 c. 2 c.c. e dell’art. 33 c. 5 della L. n. 104 del 1992. Deduce che era incontestato che esso ricorrente: fruiva dei benefici di cui alla L. n. 104 del 1992 per assistere il padre convivente affetto da handicap grave, non aveva prestato il consenso al trasferimento presso la mensa di Portici. Sostiene che il licenziamento è illegittimo in quanto il rifiuto di esso ricorrente di prestare servizio presso la sede di nuova destinazione conseguiva alla illegittimità del trasferimento disposto in violazione dell’art. 33 c. 5 della L. n. 104 del 1992.
Esame dei motivi
8. Il primo motivo è inammissibile.
9. Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte, al quale va data continuità “qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali rationes decidendi, neppure sotto il profilo del vizio di motivazione.” ( Cass. SS.UU 7931/2013; Cass. 19183/2016).
10. Ebbene, il ricorrente non ha formulato alcuna censura nei confronti della affermazione della Corte territoriale, affermazione idonea da sé sola a fondare la statuizione di rigetto dell’eccezione di mancata comunicazione del provvedimento di trasferimento, secondo cui dalla prova testimoniale era emerso che detto provvedimento era stato comunicato al C. sia con lettera raccomandata sia oralmente e che di siffatta comunicazione il ricorrente aveva dato atto in occasione della presentazione di una querela, rappresentando di esserne stato informato telefonicamente prima del 17.9.2011.
11. In ogni caso, va rilevato che l’affermazione della Corte territoriale sulla ritenuta idoneità del telegramma a far sorgere nel lavoratore la conoscenza del provvedimento di trasferimento è conforme ai principi ripetutamente affermati da questa Corte, secondo cui un telegramma (cosi come una lettera raccomandata), anche in mancanza di avviso di ricevimento, costituisce prova certa della spedizione, attestata dall’ufficio postale attraverso la relativa ricevuta, dalla quale consegue la presunzione, fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione anzidetta e dell’ordinaria regolarità del servizio postale e telegrafico, di arrivo al destinatario e di conoscenza dell’atto (Cass. 12954/2007, 86492006, 758/2006, 22133/2004).
12. Va rilevato che la Corte territoriale con accertamento di fatto che non può essere oggetto di riesame in sede di legittimità (Cass.SSU 24148/ 2013, 8054/2014; Cass. 1541/2016, 15208/2014, 24148/2013, 21485/2011, 9043/2011, 20731/2007) ha rilevato che il telegramma in data 28.9.2011 era stato consegnato al lavoratore.
13. Il secondo ed il terzo motivo da esaminarsi congiuntamente, sono ammissibili diversamente da quanto opina la resistente, che nel controricorso ha invocato le disposizioni contenute nei novellati artt. 360, 360 bis , 366 e 348 ter c. 5 c.p.c.
14. I motivi in esame risultano conformi alle prescrizioni contenute nell’art. 366 c.p.c.: il ricorrente non si è limitato alla mera indicazione delle norme di legge che assume violate, ma ha svolto specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, con le quali si confrontato in maniera critica e puntuale, debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza ( Cass. SSUU. 17931/2011; Cass. 24298/2016, 5337/2007).
15. I motivi non sono inammissibili ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., disposizione che, nella lettura datane nella recente sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 7155 del 2017, condivisa da questo Collegio, esonera la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”. Inconsistenza non sussistente nella fattispecie in esame per quanto si osserva di seguito.
16. I motivi sono ammissibili ai sensi dell’art. 348 ter c. 5 c.p.c. in quanto le censure formulate denunciano vizio di violazione e di falsa applicazione di norme di diritto (terzo motivo) e non investono l’adesione del giudice di appello al giudizio di fatto contenuto nella sentenza di primo grado, che (secondo motivo) si assume mancato quanto alla qualificazione, giuridica, del trasferimento ai sensi dell’art. 2103 c.c. e dell’art. 33 c. 5 della L. n. 104 del 1992.
17. Nel merito le censure sono fondate.
18. La L. 5 febbraio 1992, n. 104 (legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate) ha introdotto, all’art. 33, agevolazioni per i lavoratori che assistono soggetti portatori di handicap.
19. Va rilevato, pur omettendone per brevità il testuale richiamo, che dalla lettura di tutte le agevolazioni disciplinate dal dettato originario dell’art. 33, si evince che il legislatore del 1992 ha espressamente connotato della “gravità” la situazione del familiare del lavoratore, minorenne o maggiorenne, necessitato dell’accudimento sotteso alle agevolazioni introdotte in tutti i commi del menzionato articolo 33, fatta eccezione proprio del comma 5 ove il legislatore ha piuttosto fatto riferimento alla correlazione, tra lavoratore e familiare, fondata sull’assistenza con continuità e sulla convivenza.
20. L’art. 33 c. 5 , nel testo applicabile “ratione temporis” alla vicenda dedotta in giudizio dispone che “Il lavoratore di cui al comma 3 ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede”.
21. I requisiti indicati dal comma 3, pur contestualmente novellato dalla cit. L. n. 183, art. 24, comma 1, lett. a), che accomunano ora la disciplina dei permessi retribuiti a quella del trasferimento, risultano i seguenti: “A condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno, il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa…”. La fruizione di tali agevolazioni presuppone che la condizione di disabilità sia accertata mediante le Commissioni mediche previste dalla L. n. 104 del 1992, art. 4 (cfr., ex plurimis, Cass. 8436/2003).
22. Sul piano sistematico, come già affermato da questa Corte ( Cass. SSUU 16102/2009; Cass. 25379/2016, 22421/2015, 9201/2012), la configurazione giuridica delle posizioni soggettive riconosciute dalla norma, e i limiti del relativo esercizio all’interno del rapporto di lavoro, devono essere individuati alla luce dei numerosi interventi della Corte costituzionale che – collocando le agevolazioni in esame all’interno di un’ampia sfera di applicazione della L. n. 104 del 1992, diretta ad assicurare, in termini quanto più possibile soddisfacente, la tutela dei soggetti con disabilità – destinata a incidere sul settore sanitario e assistenziale, sulla formazione professionale, sulle condizioni di lavoro, sull’integrazione scolastica – ha precisato la discrezionalità del legislatore nell’individuare le diverse misure operative finalizzate a garantire la condizione del portatore di handicap mediante l’interrelazione e l’integrazione dei valori espressi dal disegno costituzionale ( Corte Cost. n. 406 del 1992, 325 del 1996); ha più volte evidenziato la centralità del ruolo della famiglia nell’assistenza del disabile (da ultimo, Corte Cost. 329/2011 e, in precedenza, Corte Cost. 233/2005) e, in particolare, nel soddisfacimento dell’esigenza di socializzazione quale fondamentale fattore di sviluppo della personalità e idoneo strumento di tutela della salute del disabile intesa nella sua accezione più ampia (si vedano, fra le altre, sent. nn. 158 del 2007, n. 350 del 2003, e n. 19 del 2009).
23. Le misure previste dall’art. 33, comma 5, devono, dunque, intendersi come razionalmente inserite in un ampio complesso normativo – riconducibile al principio sancito dall’art. 3 Cost., comma 2 – che deve trovare attuazione mediante meccanismi di solidarietà che, da un lato, non si identificano esclusivamente con l’assistenza familiare e, dall’altro, devono coesistere e bilanciarsi con altri valori costituzionali.
24. Va, inoltre, osservato che questa Corte ( Cass. 9201/2012, 25379/2016, 22421/2015) ha affermato il principio secondo cui “la disposizione dell’art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992, laddove vieta dì trasferire, senza consenso, il lavoratore che assiste con continuità un familiare disabile convivente, deve essere interpretata in termini costituzionalmente orientati – alla luce dell’art. 3, secondo comma, Cost., e della Carta di Nizza che, al capo 3 – rubricato Uguaglianza – riconosce e rispetta i diritti dei disabili di beneficiare di misure intese a garantire l’autonomia, l’inserimento sociale e la partecipazione alla vita della comunità (art. 26) e al capo 4 – rubricato Solidarietà – tratta della protezione della salute, per la quale si afferma che nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche ed attività dell’Unione è garantito un alto livello di protezione della salute umana.
25. Va anche osservato che la lettura dell’art. 33 c. 5 della L. n. 104 del 1992 nei termini sopra ricostruiti è conforme alla Convenzione delle Nazioni Unite del 13 dicembre 2006 dei disabili, ratificata con legge n. 18 del 2009 dall’Italia (C. Cost. n. 275 del 2016) e dall’Unione Europea con decisione n. 2010/48/CE (Cass. 12911/2017, 25379/2016, 2210/2016).
26. L’efficacia della tutela della persona con disabilità si realizza, per quanto rileva nella fattispecie in esame, anche mediante la regolamentazione del contratto di lavoro in cui è parte il familiare della persona tutelata, in quanto il riconoscimento di diritti in capo al lavoratore è in funzione del diritto del congiunto con disabilità alle immutate condizioni di assistenza.
27. E’, nondimeno, innegabile che l’applicazione dell’art. 33, comma 5, cit., postula, di volta in volta, un bilanciamento di interessi, bilanciamento necessario, per vero , in via generale, per tutti i trasferimenti, atteso il disposto dell’art.2103 c.c., che, nel periodo finale del primo comma, statuisce che il lavoratore non può essere trasferito da una unità produttiva ad un’altra “se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive”.
28. L’onere probatorio rafforzato posto dall’art. 2103 c.c sul datore di lavoro con riferimento all’esigenza dell’impresa di variare la sede lavorativa (ex multis, Cass. 11984/2010) dimostra la preoccupazione del legislatore nei confronti dei provvedimenti destinati ad avere, nella generalità dei casi, ricadute sovente pregiudizievoli per il lavoratore sotto diversi versanti, incidenti non di rado oltre che sul piano economico anche su quello familiare per interrompere, per tempi non limitati, quei rapporti di affetti e di solidarietà quotidiana fondanti la comunità familiare.
29. A questi ultimi particolare attenzione è stata dedicata, come innanzi osservato, dal legislatore italiano che, con l’art. 33 c. 5 della legge n. 104 del 1992, nel contesto normativo sovranazionale sopra richiamato, ha inteso regolare più incisivamente i poteri del datore di lavoro nei casi nei quali il lavoratore sia parte di una comunità familiare nella quale vi siano persone con disabilità che richiedano un impegno più pregnante e gravoso da parte del familiare lavoratore, impegno che anche l’inamovibilità di quest’ultimo può garantire.
30. La ricostruzione del quadro normativo nazionale e sovranazionale e dei principi giurisprudenziali sopra richiamati induce a ritenere che nel necessario bilanciamento di interessi e di diritti del lavoratore e del datore di lavoro, aventi ciascuno copertura costituzionale, dovranno essere valorizzate le esigenze di assistenza e di cura del familiare disabile del lavoratore, occorrendo salvaguardare condizioni di vita accettabili per il contesto familiare in cui la persona con disabilità si trova inserita ed evitando riflessi pregiudizievoli dal trasferimento del congiunto ogni volta che le esigenze tecniche, organizzative e produttive non risultino effettive e comunque insuscettibili di essere diversamente soddisfatte (Cass. 25379/2016, 9201/2012).
31. In questa prospettiva applicativa, deve ritenersi che il trasferimento del lavoratore di cui al c. 5 dell’art. 33 L n. 104 del 1992 è configurabile anche nell’ipotesi in cui lo spostamento venga attuato nell’ambito della medesima unità produttiva, quando questa comprenda uffici dislocati in luoghi div’ersi. Il dato testuale contenuto nella norma, che fa riferimento alla sede di lavoro, non consente, infatti, di ritenere che questa corrisponda alla unità produttiva alla quale fa, invece, riferimento l’art. 2103 c.c. (Cass. 24775/2013).
32. Tanto precisato, e ritornando all’esame dei motivi di ricorso, deve ritenersi che la Corte territoriale, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità del trasferimento dell’odierno ricorrente dalla sede di Poggioreale a quella di Portici, e sulla legittimità del rifiuto di questi di rendere la prestazione nella nuova sede di lavoro ha disatteso i principi sopra richiamati.
33. Essa, infatti, ha ritenuto illegittimo tale rifiuto sul duplice rilievo che la nuova sede di lavoro si trovava a pochissimi chilometri di distanza da quella originaria sede e dalla abitazione del C. e che il trasferimento avrebbe potuto essere oggetto di contestazioni nella continuità della prestazione di lavoro. Su tale premessa ha, poi, formulato il giudizio valoriale di gravità dell’inadempimento e di proporzionalità della sanzione espulsiva.
34. In tal modo la Corte territoriale ha omesso di svolgere qualsiasi accertamento in ordine alla compatibilità della nuova sede di lavoro con gli obblighi di assistenza del familiare pacificamente affetto da handicap, di indagare se il mutamento della sede di lavoro del lavoratore alterasse le condizioni di vita del contesto familiare in cui la persona con disabilità si trovava inserita e il livello di assistenza assicurabile dal Caracarino all’esito del mutamento della sede di lavoro. Essa, soprattutto, non ha verificato se sussistessero effettive ragioni organizzative e produttive, insuscettibili di essere in altro modo soddisfatte, legittimanti il trasferimento e che, in una situazione di contrapposizione di interessi tutti a copertura costituzionale, potessero valere, alla stregua di un corretto bilanciamento di interessi, a legittimare il trasferimento disposto dalla società e rendere nel concreto più difficoltoso il sostegno del familiare disabile.
35. In altri termini, la Corte territoriale avrebbe dovuto accertare se vi fossero e quale importanza rivestissero le esigenze produttive sottese al trasferimento, procedere alla valutazione della concreta possibilità del C. di assicurare, mutato il luogo di lavoro, la dovuta assistenza al familiare portatore di handicap al fine di operare il bilanciamento tra gli opposti interessi, indispensabili per la formulazione del giudizio di proporzionalità, ai sensi dell’art. 1460 c. 2 c.c. (Cass. 3469/2017, 3959/2016, 4474/2015, 11430/2006).
36. Si deve, conseguentemente, cassare la sentenza impugnata con rinvio, anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Napoli in diversa composizione che, sulla scorta delle allegazioni contenute nella memoria di costituzione nel giudizio di primo grado della società dovrà fare applicazione dei seguenti principio di diritto
37. “Ai sensi dell’art. 33 c. 5 della L. n. 104 del 1992, nel testo modificato dall’art. 24 c. 1 lett. b) della L. 24.11.2010 n. 183, il divieto di trasferimento del lavoratore che assiste con continuità un familiare disabile convivente opera ogni volta che muti definitivamente il luogo geografico di esecuzione della prestazione anche se lo spostamento venga attuato nell’ambito della medesima unità produttiva”.
38. “Ai sensi dell’art. 33 c. 5 della L. 5 febbraio 1992, n. 104 , come modificato dall’art. 24 c. 1 lett. b) della legge 24.11.2010 n. 183, il diritto del lavoratore a non essere trasferito ad altra sede lavorativa senza il suo consenso non può subire limitazioni risultando la inamovibilità giustificata dal dovere di cura e di assistenza da parte del lavoratore al familiare disabile, sempre che non risultino provate da parte del datore di lavoro specifiche esigenze tecniche, organizzative e produttive che, in un equilibrato bilanciamento tra interessi, risultino effettive e comunque insuscettibili di essere diversamente soddisfatte”.
39. “Il trasferimento del lavoratore legittima il rifiuto del dipendente che ha diritto alla tutela di cui all’art. 33 c. 5 della L. n. 104 del 1992 di assumere servizio nella sede diversa cui sia stato destinato ove il trasferimento sia idoneo a pregiudicare gli interessi di assistenza familiare del dipendente e ove il datore di lavoro non provi che il trasferimento è stato disposto per effettive ragioni tecniche, organizzative e produttive insuscettibili di essere diversamente soddisfatte”.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Napoli, in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.