CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 dicembre 2017, n. 29865
Tributi – Imposte sui redditi – Reddito d’impresa – Determinazione – Sconti praticati alla clientela – Inerenza – Esclusione – Indeducibilità
Rilevato in fatto
1. A seguito di processo verbale di constatazione redatto da funzionari dell’Ufficio di Moncalieri dell’Agenzia delle Entrate, veniva emesso nei confronti della A. T. S.p.A. avviso di accertamento relativo ad IRES, IRAP ed IVA in relazione all’anno di imposta 2004, con il quale l’Ufficio disconosceva taluni costi sostenuti dalla società nonché sconti dalla stessa praticati alla clientela, ritenuti non deducibili ai sensi dell’art. 109 T.U.I.R.
2. Avverso detto atto impositivo la società contribuente proponeva ricorso dinanzi alla C.T.P. di Torino, che lo accoglieva, con compensazione delle spese di lite.
3. Proposto appello principale dall’Ufficio ed incidentale dalla società contribuente, la C.T.R. del Piemonte, con sentenza del 27 aprile 2010, in parziale riforma della decisione impugnata, dichiarava dovute le sanzioni con riferimento ai costi per consulenza software, confermando nel resto l’avviso di accertamento impugnato, sul rilievo che sia i costi relativi alla definizione di un contenzioso con un cliente, sia gli sconti praticati alla clientela erano deducibili ai sensi dell’art. 109 T.U.I.R.. Le spese di entrambi i gradi di giudizio venivano compensate tra le parti.
4. Avverso detta pronuncia l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, sulla base di due motivi.
La società contribuente resiste con controricorso e propone ricorso incidentale, con tre motivi.
L’Agenzia delle entrate ha depositato controricorso al ricorso incidentale.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo del ricorso principale l’Agenzia delle entrate – denunciando violazione dell’art. 109, comma 1, t.u.i.r. – sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dalla C.T.R., l’Ufficio aveva correttamente rettificato il reddito d’impresa della società, la quale aveva imputato all’esercizio 2004 costi – relativi ad un contenzioso con un cliente, definito con accordo intervenuto nel febbraio 2005 – della cui certezza ed oggettiva determinabilità aveva avuto contezza soltanto nell’anno successivo, seppur prima dell’approvazione del bilancio, in violazione del principio di competenza sancito dal citato art. 109 t.u.i.r.
La censura, pur ammissibile, non ricorrendo nella specie i presupposti di applicabilità dell’art. 360-bis cod. proc. civ., è infondata.
Invero, non essendo controverso che i costi in questione sono divenuti certi e determinati nel loro ammontare prima della delibera di approvazione del bilancio, la decisione sul punto assunta dalla C.T.R. si pone in linea con l’orientamento espresso da questa Corte secondo cui in tema di imposte sui redditi d’impresa, i costi sostenuti dopo la chiusura dell’esercizio contabile di riferimento, ma incidenti sul ricavo netto determinato dalle operazioni dell’anno già definito, costituiscono elementi di rettifica del bilancio dell’anno precedente, sicché concorrono a formare il reddito d’impresa ed incidono legittimamente in flessione sullo stesso tutte le volte in cui siano divenuti noti, in quanto certi e precisi nell’ammontare, prima della delibera di approvazione del risultato d’esercizio (Cass. n. 10903 del 2015; Cass. n. 3484 del 2014).
2. Con il secondo motivo – denunciando violazione dell’art. 109, comma 5, t.u.i.r. – l’Agenzia delle entrate censura la sentenza impugnata per avere la C.T.R. erroneamente ritenuto che la spesa per sconti potesse essere considerata inerente e, quindi, deducibile ai sensi dell’art. 109, comma 5, t.u.i.r., sulla base della libertà insindacabile dell’imprenditore di effettuare concessioni ai propri clienti, purché l’operazione effettuata non fosse antieconomica. Preliminarmente deve essere delibata l’eccezione di inammissibilità formulata dalla controricorrente, la quale sostiene che l’Ufficio aveva introdotto la questione dell’inerenza dei costi solo nel corso del giudizio, dato che nell’avviso di accertamento si contestava solo la mancanza di accordi scritti che regolassero la concessione dei costi e che, in taluni casi, i costi fossero concessi nonostante il mancato raggiungimento degli obiettivi, cui erano condizionati.
L’eccezione va disattesa, atteso che i rilievi mossi con l’avviso di accertamento postulano la contestazione dell’inerenza dei costi, questione poi sviluppata dall’Ufficio nel corso del giudizio.
Il motivo è fondato.
In base all’art. 109 (già 75), comma 5, t.u.i.r., le spese e gli altri componenti negativi, di norma, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi od altri proventi che concorrono a formare il reddito. La giurisprudenza di questa Sezione ha, da tempo, chiarito che un costo è deducibile dal reddito d’impresa solo se e in quanto sia funzionale alla produzione del reddito stesso. Si è, al riguardo, rilevato che il concetto di inerenza è nozione di origine economica, legata all’idea del reddito come entità calcolata al netto dei costi sostenuti per la sua produzione, che, nel campo fiscale, si traduce in un risparmio di imposta.
Tanto premesso, va osservato che la C.T.R. ha posto a fondamento della decisione le seguenti argomentazioni: «vengono contestati gli sconti praticati da alcuni clienti, sconti incondizionati e sconti condizionati al raggiungimento di determinati obiettivi. Non viene contestata la anti-economicità delle operazioni, le cessioni sono regolarmente fatturate. Si ritiene che si tratti di liberalità non deducibili. In un caso e nell’altro si ritiene che l’Ufficio non possa contestare le scelte economiche dell’imprenditore che sono legate a fattori di mercato, di prospettive future». Orbene, tale motivazione non appare conforme ai principi di diritto sopra richiamati, avendo la C.T.R., con motivazione meramente assertiva, correlato l’inerenza della spesa per sconti a scelte discrezionali dell’imprenditore, con il solo limite dell’antieconomicità, senza tuttavia adeguatamente valutare se, nella specie, la spesa sostenuta fosse effettivamente funzionale al corretto esercizio dell’attività economica dell’imprenditore.
3. Con il primo motivo del ricorso incidentale la società contribuente, deducendo violazione e di legge e vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per avere la C.T.R., in accoglimento sul punto dell’appello dell’Ufficio, ritenuto che dovesse essere confermato l’avviso di accertamento riguardo alle sanzioni per il rilievo inerente i costi per consulenza software, sul quale vi era stata acquiescenza della società, poiché non ricorreva nella specie un’ipotesi di oggettiva incertezza normativa. Sostiene la contribuente che, con riferimento a tale rilievo, aveva formulato richiesta di disapplicazione delle sanzioni anche sotto il diverso profilo della mancanza di colpevolezza imputabile.
Il motivo è fondato.
Emerge, invero, dagli atti processuali indicati in ricorso che la società contribuente aveva richiesto la disapplicazione delle sanzioni (anche) in ragione dell’assenza di condotta colpevole, sostenendo trattarsi di errore di fatto che non aveva comportato alcuna reale sottrazione di gettito. Su tale specifico rilievo il giudice di appello ha omesso di motivare.
4. Dall’accoglimento del primo motivo del ricorso incidentale discende l’assorbimento del secondo motivo, con il quale la società contribuente censura la statuizione di compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
5. Con il terzo motivo del ricorso incidentale si deduce l’omessa pronuncia della C.T.R. riguardo al motivo di appello, ritenuto implicitamente assorbito dalla sentenza impugnata, inerente l’omessa valutazione delle osservazioni ex art. 12, comma 7, I. n. 212/2000.
La censura è infondata, posto che in tema di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, è valido l’avviso di accertamento che non menzioni le osservazioni presentate dal contribuente ai sensi dell’art. 12, comma 7, I. n. 212/2000, atteso che la nullità consegue solo alle irregolarità per cui essa sia espressamente prevista dalla legge, oppure, in difetto di previsione, allorché ricorra una lesione di specifici diritti o garanzie tali da impedire la produzione di effetti da parte dell’atto cui ineriscono (Cass. n. 3583 del 2016).
6. In conclusione, deve essere accolto il secondo motivo del ricorso principale e rigettato il primo; va poi accolto il primo motivo del ricorso incidentale, dichiarato assorbito il secondo e rigettato il terzo. La sentenza impugnata va dunque cassata, con rinvio alla C.T.R. del Piemonte in diversa composizione, la quale provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo del ricorso principale e rigetta il primo; accoglie il primo motivo del ricorso incidentale, dichiara assorbito il secondo e rigetta il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla C.T.R. del Piemonte in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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