CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 luglio 2017, n. 34362
Tributi – Reati fiscali – Omesso versamento di ritenute – Sopravvenuta depenalizzazione della violazione – D.Lgs. n. 158 del 2015 – Ius superveniens più favorevole – Annullamento decreto penale di condanna – Sussiste
Ritenuto in fatto
1. Il sig. L.S. ricorre per l’annullamento dell’ordinanza del 28/04/2016 del Tribunale di Fermo che ha rigettato l’istanza di revoca del decreto penale di condanna alla pena di 15.000,00 euro di multa emesso nei suoi confronti il 10/04/2015 dal G.i.p. di quello stesso tribunale per il reato di cui all’art. 10-bis, d.lgs. n. 74 del 2000, commesso il 20/09/2012.
1.1. Con unico motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., l’inosservanza o comunque l’erronea applicazione degli artt. 673, cod. proc. pen., e 2, comma 2, cod. pen.. Deduce che il d.lgs. n. 158 del 2015, nel modificare uno degli elementi costitutivi del reato (l’entità delle ritenute non versate all’Erario, elevata a 150.000,00 euro), ne ha determinato l’abrogazione relativamente agli omessi versamenti di somme inferiori alla nuova soglia.
Sicché, conclude, deve essere applicato il secondo comma dell’art. 2, cod. pen., e non il quarto, come erroneamente ritenuto dal Tribunale.
Considerato in diritto
2. Il ricorso è fondato.
3. Con decreto penale di condanna n. 92/2015 del 10/04/2015 (esecutivo il 26/05/2015) del G.i.p. del Tribunale di Fermo, il ricorrente è stato irrevocabilmente condannato alla pena di 15.000,00 euro di multa per il reato di cui all’art. 10-bis, d.lgs. n. 74 del 2000 perché, quale legale rappresentante della società «M. S.r.l.», non aveva versato, nei termini di legge, le ritenute fiscali operate sugli emolumenti erogati nel corso dell’anno di imposta 2011 per un ammontare complessivo di 115.697,82 euro.
3.1. All’epoca l’omissione era penalmente sanzionata se gli importi delle ritenute non versate superavano l’ammontare di 50.000,00 euro.
Successivamente, il d.lgs. n. 158 del 2015 (entrato in vigore il 22/01/2015) ha elevato a 150.000,00 euro tale importo.
3.2. il Tribunale di Fermo, cui il ricorrente si era rivolto per chiedere la revoca del decreto penale di condanna ai sensi dell’art. 673, comma 1, cod. proc. pen., ha respinto la domanda richiamando giurisprudenza di questa Corte secondo cui in casi del genere, ove il fatto originariamente contestato risulti inferiore, nel “quantum”, alla nuova soglia di punibilità, in caso di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, deve essere prediletta la formula «perché il fatto non sussiste», in luogo di quella «perché il fatto non è previsto dalle legge come reato». Sicché, secondo il Tribunale, non possono applicarsi gli artt. 2, comma secondo, cod. pen., e 673, comma primo, cod. proc. pen., bensì il comma quarto dell’art. 2, cod. pen.
3.3. In effetti, secondo l’indirizzo prevalente della giurisprudenza di legittimità, richiamata anche dal Tribunale di Fermo a sostegno della propria decisione, in caso di sentenza di assoluzione dell’imputato per il reato di cui all’art. 10-bis d.lgs. n. 74 del 2000, per mancato raggiungimento della soglia di punibilità individuata dalla norma va deliberata la formula “perchè il fatto non sussiste” e non quella “perchè il fatto non è previsto come reato”, versandosi in una ipotesi di mancanza di un elemento costitutivo, di natura oggettiva, del reato contestato (Sez. 3, n. 18/11/2015, Marchese, Rv. 266273; nello stesso senso, Sez. 3, n. 35611 del 16/06/2016, Monni, Rv. 268007). Un indirizzo minoritario ha invece sostenuto che il proscioglimento va disposto “perchè il fatto non è previsto come reato”, non invece con la formula “perchè il fatto non sussiste” che presuppone l’esclusione del verificarsi di un fatto storico suscettibile, tuttavia, di essere ipoteticamente attratto in una fattispecie incriminatrice (Sez. 3, n. 28934 del 09/02/2016, Gramigni, Rv. 267344).
3.4. Sennonché, a prescindere dalla formula assolutoria e dal fatto che i principi appena indicati sono maturati in contesti di annullamento di sentenze di condanna, quel che conta è accertare, in sede esecutiva, se, ai sensi dell’art. 673, comma primo, cod. proc. pen., la modifica di un elemento costitutivo del reato ha determinato l’abrogazione parziale dell’art. 10-bis, d.lgs. n. 74 del 2000 limitatamente alle condotte di omesso versamento di ritenute per importi inferiori a quello successivamente introdotto poste in essere prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 158 del 2015.
3.5. Secondo la dottrina prevalente ricorre un’ipotesi di “abolitio criminis” parziale tutte le volte in cui tra due fattispecie incriminatrici vi sia un rapporto strutturale di specialità tale per cui la norma sopravvenuta esclude la rilevanza penale delle sottofattispecie in essa non più ricomprese. In questo caso, per esempio, la modifica di un elemento costitutivo del reato (la c.d. soglia di punibilità) rende la nuova fattispecie speciale rispetto alla precedente poiché ne restringe l’ambito applicativo. Viene dunque esclusa la penale rilevanza di una o più sottofattispecie astratte (nel caso in esame gli omessi versamenti di importi compresi tra 50.000,00 euro e la nuova soglia di punibilità).
3.6. Nello stesso senso è attestata la giurisprudenza di questa Corte.
3.7. La sentenza Sez. U, n. 25887 del 26/03/2003, G., ha affermato che «perché non vi sia una totale abolizione del reato previsto dalla disposizione formalmente sostituita (oppure abrogata con la contestuale introduzione di una nuova disposizione collegata alla prima) occorre che la fattispecie prevista dalla legge successiva fosse punibile anche in base alla legge precedente, rientrasse cioè nell’ambito della previsione di questa, il che accade normalmente quando tra le due norme esiste un rapporto di specialità, tanto nel caso in cui sia speciale la norma successiva quanto in quello in cui speciale sia la prima. Però se è la norma successiva ad essere speciale ci si trova in presenza di un’abolizione parziale, perché l’area della punibilità riferibile alla prima viene ad essere circoscritta, rimanendone espunti tutti quei fatti che pur rientrando nella norma generale venuta meno sono privi degli elementi specializzanti. Si tratta di fatti che per la legge posteriore non costituiscono reato e quindi restano assoggettati alla regola del secondo comma dell’art. 2 c.p., anche se tra la disposizione sostituita e quella sostitutiva può ravvisarsi una parziale continuità.
Perciò per questi fatti non opera il limite stabilito dall’ultima parte del terzo comma dell’art. 2 c.p. e quando è stata pronunciata una condanna irrevocabile il giudice dell’esecuzione deve provvedere a revocarla a norma dell’art. 673 c.p.p.
Risponde al senso comune, oltre che al disposto dell’art. 2 c.p., la regola che mantiene la punibilità di un fatto se questo, astrattamente considerato, rientra nell’ambito normativo di due disposizioni che si sono succedute nel tempo.
Quando avviene ciò infatti, e nei limiti in cui avviene, di regola non opera, e non avrebbe ragione di operare, l’effetto abolitivo retroattivo della disposizione successiva. Si è obiettato che l’applicazione della legge successiva speciale a fatti commessi prima si risolve in ogni caso in un’applicazione retroattiva di questa, in quanto dà rilevanza a elementi specializzanti che in precedenza non l’avevano, ma l’obiezione non coglie nel segno, non solo perché, come è stato rilevato, condurrebbe a conclusioni assurde e inaccettabili (e nell’interpretazione l’argumentum ab absurdo non è da sottovalutare), ma anche e soprattutto perché in un caso del genere si è puniti per un fatto previsto come reato anche dalla legge precedente, sicché la punibilità non è determinata da un’applicazione retroattiva della legge successiva. Questa, a ben vedere, quando risulta speciale rispetto alla precedente, si limita a ritagliare una porzione della vecchia, ad individuare una sotto fattispecie, di cui conserva la punibilità impedendo che rispetto ad essa l’abrogazione abbia un effetto retroattivo abolitivo. Insomma, mantenere la punibilità di un fatto commesso nel vigore di una norma generale quando essa è stata sostituita con una norma speciale non significa fare un’applicazione retroattiva di questa ma piuttosto escluderne l’efficacia abolitrice per la porzione della fattispecie prevista dalla norma generale che viene a coincidere con quella della norma speciale successiva. C’è da chiedersi, anche con riferimento all’art. 3 Cost, quale razionalità potrebbe avere una regola, diversa da quella indicata, in base alla quale verrebbe esclusa la punibilità di un fatto costituente reato, commesso prima dell’entrata in vigore di una nuova legge che ne conferma il carattere di illecito penale».
3.8. Anche la sentenza Sez. U, n. 24468 del 26/02/2009, Rizzoli, Rv. 243585, ha ribadito lo stesso principio: «in materia di successione di leggi penali, in caso di modifica della norma incriminatrice, per accertare se ricorra o meno ”abolitio criminis” è sufficiente procedere al confronto strutturale tra le fattispecie legali astratte che si succedono nel tempo, senza la necessità di ricercare conferme della eventuale continuità tra le stesse facendo ricorso ai criteri valutativi dei beni tutelati e delle modalità di offesa, atteso che tale confronto permette in maniera autonoma di verificare se l’intervento legislativo posteriore assuma carattere demolitorio di un elemento costitutivo del fatto tipico, alterando così radicalmente la figura di reato, ovvero, non incidendo sulla struttura della stessa, consenta la sopravvivenza di un eventuale spazio comune alle suddette fattispecie». Si legge nella motivazione: «Il fenomeno di diritto intertemporale nel settore penale può avere ad oggetto; a) la fattispecie legale astratta, vale a dire la parte della norma incriminatrice che descrive la condotta penalmente rilevante e sintetizza sostanzialmente il precetto; b) la disciplina della fattispecie legale astratta, cioè le conseguenze della violazione del precetto sul piano sanzionatorio o anche aspetti che in vario modo incidono su tale piano (si pensi alle circostanze del reato previste da norme penali diverse da quella incriminatrice) o che comunque apportino modifiche in melius alla disciplina della fattispecie criminosa (si pensi alla prescrizione); c) la fattispecie legale astratta e contemporaneamente la sua disciplina. Nel primo caso, viene ridefinito il perimetro del penalmente rilevante, nel senso che la modifica normativa, intesa in senso lato, può incidere sul testo di una norma incriminatrice già esistente, ampliandone o restringendone – di regola – il campo di operatività, può abrogare la detta norma, facendo perdere rilevanza penale ai fatti in essa previsti, può creare – all’opposto – una nuova figura di reato prima non contemplata. In tali ipotesi, viene in considerazione la disciplina prevista dai primi due commi dell’art. 2 c.p.. In caso di “successione di norme meramente modificative della disciplina della fattispecie”, non viene in discussione la rilevanza penale del fatto che l’ordinamento continua a configurare come reato, ma la regolamentazione di tale fatto, che, confrontata con quella del tempo in cui fu commesso, può essere più favorevole o meno favorevole all’agente, con conseguente applicazione delle disposizioni contenute rispettivamente nel quarto comma e nel primo comma dell’art. 2 c.p.. Se il fenomeno della successione di leggi penali ha per oggetto non solo la fattispecie legale astratta ma anche la sua disciplina è meno agevole stabilire il confine tra abolitio criminis e successione di norme modificative della disciplina: si pensi al caso dell’abrogazione di una norma incriminatrice e contestuale introduzione di altra, speciale rispetto a quella abrogata e con previsione di un diverso trattamento sanzionatorio. L’abolitio criminis, quale effetto del fenomeno di diritto intertemporale, consegue alla corrispondente modifica normativa della fattispecie legale astratta. Soltanto nell’ipotesi della trasformazione dell’illecito penale in illecito amministrativo (c.d. depenalizzazione) l’abolizione del reato si realizza, per lo più, sostituendo la nuova sanzione (amministrativa) a quella precedente (penale) e incidendo, quindi, certamente sulla norma incriminatrice ma non anche sulla struttura della fattispecie. È attraverso la fattispecie legale astratta che il legislatore individua i fatti ritenuti meritevoli del presidio penale o, specularmente, rinuncia a punire determinati fatti, non più considerati, in base a scelte politico-criminali, in linea col “giudizio di disvalore astratto espresso dalla legge precedente”. Incisivamente si è detto che “la funzione della fattispecie legale è duplice: non solo strumento di selezione dei fatti penalmente rilevanti, ma anche strumento di de-selezione dei fatti stessi”. L’interprete, quindi, per accertare l’abolitio criminis, deve procedere al confronto strutturale tra le fattispecie legali astratte che si succedono nel tempo, quella precedente e quella successiva all’intervento del legislatore, al fine di verificare la sussistenza di uno spazio comune alle dette fattispecie, senza la necessità di ricercare conferme della continuità, facendo ricorso ai criteri valutativi dei beni tutelati e delle modalità di offesa, inidonei ad assicurare approdi interpretativi sicuri (cfr. Cass. S.U. 26/3/2003 n. 25887/03).
Se l’intervento legislativo posteriore altera la fisionomia della fattispecie, nel senso che sopprime un elemento strutturale della stessa e, quindi, la figura di reato in essa descritta, ci si trova – di norma – di fronte ad una ipotesi di abolitio criminis, il fatto cioè, già penalmente rilevante, diventa penalmente irrilevante per effetto dell’abrogazione di quell’elemento, quale conseguenza del mutato giudizio di disvalore insito nella scelta di politica criminale; in questo caso, non può non trovare applicazione la disciplina prevista dal secondo comma dell’art. 2 c. p.. La ratio della retroattività della legge abolitrice del reato va individuata nell’esigenza di giustizia e di ragionevolezza, non potendosi tollerare di continuare a punire chi in passato ha commesso un fatto che l’ordinamento non ritiene più meritevole o bisognoso di pena. Il principio di retroattività della legge abolitrice, anche se non inderogabile a differenza di quello della irretroattività della legge sfavorevole, finisce per acquisire rilievo costituzionale sotto il profilo dell’art. 3 della Carta Fondamentale (principio di uguaglianza) e si impone anche in forza del modello di “diritto penale del fatto” accolto nel nostro ordinamento».
3.9.Utilizza il criterio della disomogeneità strutturale tra fattispecie, Sez. U. n. 35 del 13/12/2000, Sagone, Rv. 217374, che, nello stabilire che tra la contravvenzione di omessa presentazione delle dichiarazioni ai fini delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, già prevista dall’art. 1, comma 1, d.l. 10 luglio 1982, n. 429, convertito con I. 7 agosto 1982, n. 516, ed il delitto di omessa dichiarazione, introdotto dall’art. 5 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, non sussiste alcuna continuità di illecito, fa espresso riferimento alla disomogeneità strutturale fra le due fattispecie facendo leva, al riguardo, sulla natura delittuosa del nuovo reato, sulla necessità del dolo specifico, sulla esistenza di una soglia di punibilità.
3.10. Da ultimo, Sez. U, n. 2451 del 27/09/2007, M., richiamando espressamente Sez. U, G., ha ribadito che occorre prendere come riferimento il rapporto strutturale tra fattispecie astratte.
3.11. La “aboliti° criminis” parziale è fenomeno del tutto diverso dalla “abrogati sine abolitione”: nel primo caso, come visto, la norma speciale subentra a quella generale, restringendone l’ambito di applicazione; nel secondo caso oggetto di abrogazione è la norma speciale le cui sottoclassi di fattispecie potrebbero essere riassorbite nella norma incriminatrice generale.
3.12. La regola prevista dall’art. 2, comma 2, cod. pen., costituisce la declinazione codicistica del principio di necessaria offensività del reato di derivazione costituzionale. Il fatto che nessuno può essere punito per un fatto che secondo la legge posteriore non costituisce più reato equivale ad affermare e a riconoscere il fondamentale principio che la pena, nel nostro ordinamento, non viene inflitta per la mera disubbidienza al precetto, ma per la lesione o la messa in pericolo di un bene, di un valore, di un interesse, ritenuto meritevole di tutela mediante l’imposizione del precetto. Quando questo giudizio cambia, ne risente la disciplina penale delle condotte che di quel bene/valore/interesse erano ritenute lesive.
3.13. L’art. 8, comma 1, legge 11 marzo 2014, n. 23 – Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita – aveva delegato il governo a procedere alla revisione del sistema sanzionatorio penale tributario secondo criteri di predeterminazione e di proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti, prevedendo, per quanto qui rileva, la possibilità di ridurre le sanzioni per le fattispecie meno gravi o di applicare sanzioni amministrative anziché penali, tenuto anche conto di adeguate soglie di punibilità.
3.14. In dichiarata attuazione di tale criterio, il legislatore delegato ha introdotto una nuova (e maggiore) soglia di punibilità dei fatti di omesso versamento di ritenute certificate (art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000) e di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto (art. 10-ter, del decreto legislativo n. 74 del 2000), al di sotto della quale il ricorso a misure sanzionatorie di tipo amministrativo, peraltro già previste dalla legislazione vigente, è apparso proporzionato alle caratteristiche dell’illecito (così la Relazione illustrativa allo schema di decreto).
3.15. Il mutato giudizio di offensività della condotta omissiva si è tradotto nel restringimento dell’area della sua penale rilevanza, con assegnazione a quella amministrativa delle condotte che si collocano al di sotto della nuova soglia.
3.16. Si è così verificata un’ipotesi di abrogazione parziale del reato di cui all’art. 10-bis, d.lgs. n. 74 del 2000 in ordine a tutte le sottofattispecie relative agli omessi versamenti inferiori alla nuova soglia, per i quali il giudizio di offensività è radicalmente mutato.
3.17. Non v’è dubbio, del resto, che alla data odierna l’omesso versamento di somme inferiori a 150.000,00 euro non è (più) previsto dalla legge come reato, sicché ove dovesse contestarsi, oggi, l’omesso versamento di somme per importi inferiori alla nuova soglia la formula di proscioglimento sarebbe quella: «perché il fatto non è previsto dalla legge come reato», che il giudice può adottare senza nemmeno accertare la corrispondenza al vero del fatto così contestato.
3.18. Deve pertanto essere affermato il seguente principio di diritto: «la nuova fattispecie di reato di cui all’art. 10-bis, d.lgs. n. 74 del 2000, come modificata dall’art. 7, comma 1, lett. b, d.lgs. n. 158 del 2015, che ha elevato a 150.000,00 l’importo delle ritenute certificate non versate, ha determinato l’abolizione parziale del reato commesso in epoca antecedente che aveva ad oggetto somme pari o inferiori a detto importo».
3.19. Vertendosi in ipotesi di abrogazione parziale trovano applicazione gli art. 2, comma secondo, cod. pen., e 673, comma primo, cod. proc. pen.
3.20 L’ordinanza impugnata deve perciò essere annullata senza rinvio con conseguente revoca del decreto penale di condanna n. 92 del 2015 del 10/04/205 del G.i.p. del Tribunale di Fermo perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e revoca il decreto penale di condanna n. 92/2015 del 10/04/2015 del G.i.p. del Tribunale di Fermo perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.
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