CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 novembre 2017, n. 26751
Ritardo del soccorso al lavoratore – Addebito alla società – Risarcimento del danno biologico – Nesso di causalità fra il ritardo ed entità del danno
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 206/06 il Tribunale di Ascoli Piceno condannava Poste Italiane S.p.A. a pagare in favore di L.A. la somma di € 15.000,00 a titolo di risarcimento del danno da lesione della dignità personale derivato dall’episodio del 3.1.01, in cui un superiore dell’A. aveva volutamente cercato di impedire (e, così, aveva ritardato) la chiamata d’una ambulanza per soccorrere l’A. medesimo, colpito da infarto del miocardio.
Rigettava, invece, la domanda di.
2. Con sentenza pubblicata il 26.4.11 la Corte d’appello di Ancona, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, condannava la società a pagare al lavoratore la somma di € 175.000,00 a titolo di danno biologico, oltre accessori.
3. Per la cassazione della sentenza ricorre Poste Italiane S.p.A. affidandosi a quattro motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
4. L.A. resiste con controricorso.
Ragioni della decisione
1.1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2048, 2049, 2055, 2057, 2087 e 2697 cod. civ. e vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale ravvisato il danno biologico malgrado la mancanza di prova del nesso di causalità fra il ritardo del soccorso (addebitato alla società) e l’entità del danno cardiaco riportato dal lavoratore.
Il motivo è infondato.
Con motivazione immune da vizi logico-giuridici e sulla base di apposita c.t.u., la sentenza impugnata ha accertato che il gradiente di danno biologico conseguente al ritardo delle terapie dovute all’infartuato è stato pari al 50%.
A sua volta tale ritardo vi è stato sia nel chiamare l’ambulanza dall’ufficio in cui lavorava l’odierno controricorrente (ritardo ascrivibile al suo superiore, che si è fisicamente opposto a che venisse chiamato il Pronto Soccorso, sempre secondo quel che si legge nella sentenza impugnata), sia – in seguito – da parte della struttura sanitaria.
Le obiezioni a riguardo mosse dalla ricorrente, che nega la prova del nesso di causalità fra tale ritardo e il grado di invalidità riportato da L.A. dopo l’infarto, scivolano sul piano del merito, intangibile in sede di legittimità.
1.2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2048, 2049, 2055, 2057, 2087 e 2697 cod. civ. e vizio di motivazione, nella parte in cui la sentenza impugnata non ha considerato che, quando un evento dannoso è riferibile a più azioni od omissioni, ognuna di esse deve avere efficienza causale.
Il motivo è infondato.
La Corte di merito non ha affatto negato la necessità di tale efficienza causale, ma si è limitata a rilevare che, una volta provato che il ritardo (in parte ascrivibile ad un dipendente della società, vale a dire al superiore dell’odierno controricorrente e, per esso, alla società medesima ex art. 2049 cod. civ., in parte addebitabile alla struttura sanitaria) ha concorso causalmente a determinare il danno ingiusto, al relativo risarcimento sono tenuti in solido ex art. 2055 cod. civ. tutti i soggetti responsabili (vale a dire la società ricorrente e la struttura sanitaria).
1.3. Con il terzo motivo ci si duole di violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2055 cod. civ. e di vizio di motivazione, nella parte in cui la sentenza impugnata ha omesso di spiegare l’applicazione dell’art. 2055 cod. civ., così come non ha chiarito quale sarebbe stato il comportamento della società ricorrente che avrebbe concorso a determinare l’evento dannoso, ossia l’infarto del miocardio.
Il motivo è infondato.
La sentenza impugnata è ben chiara nel puntualizzare che la condotta della ricorrente (tramite il superiore dell’A.) ha avuto efficacia causale rispetto non già all’infarto del miocardio, ma all’entità del danno derivante dal ritardo nei soccorsi. Ed ex art. 2055 cod. civ. chiunque concorra a determinare il danno ingiusto è tenuto, in solido con eventuali coautori – giova ribadire – al risarcimento integrale del danno (danno da ritardo nei soccorsi, nel caso di specie).
1.4. Il quarto motivo denuncia vizio di motivazione riguardo al danno morale e alla sua quantificazione, nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 1218, 1226, 2059, 2697, 2727, 2729 e 2087 cod. civ. e 115, 116 e , 421 cod. proc. civ., per avere la sentenza impugnata ravvisato tale danno come in re ipsa, a prescindere dalla prova d’una reale conseguenza pregiudizievole della condotta addebitata al superiore del controricorrente.
Il motivo è infondato.
Come questa S.C. ha già avuto modo di statuire (cfr., per tutte, Cass. S.U. n. 26972/08), il danno morale, pur non essendo mai in re ipsa per il solo fatto della lesione d’un diritto, nondimeno può essere provato in via presuntiva e di massime di comune esperienza, come correttamente aveva già fatto la sentenza di prime cure (sul punto confermata dalla Corte territoriale).
3.1. In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare in favore del controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
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