CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 14 agosto 2017, n. 20106
CIPAG – Contributi omessi – Iscrizione a ruolo – Prescrizione – Regime previgente – Decorrenza dalla trasmissione alla Cassa della comunicazione del reddito professionale e del volume affari ai fini IVA – Infedeltà o incompletezza della dichiarazione – Irrilevanza
Fatti di causa
Il giudice del lavoro del Tribunale di Trieste, accogliendo i ricorsi in opposizione alle cartelle esattoriali proposti dai geometri N.L. e G.L. nei confronti della Cassa di Previdenza ed Assistenza dei Geometri, dichiarò l’inammissibilità dell’iscrizione a ruolo dei crediti per contributi e sanzioni relative al periodo 1988 – 1994, l’intervenuta prescrizione del credito per gli anni 1988 – 1993, la non assoggettabilità a contribuzione dei redditi da partecipazione sociale per l’anno 1994 e l’insussistenza, per mancanza di prova, del credito contributivo preteso per il 2001.
Con sentenza del 24.2 – 15.3.2011, la Corte d’appello di Trieste, nel rigettare il gravame della predetta Cassa di previdenza, ha spiegato che la prescrizione dei crediti contributivi nel regime precedente la delibera del 25.9.1998, modificativa del regolamento della Cassa, decorreva dalla trasmissione a quest’ultima della dichiarazione da parte del debitore del proprio reddito personale – anche se incompleta o infedele – e che il termine di prescrizione applicabile nella fattispecie era quello quinquennale di cui all’art. 3, commi 9 e 10, della legge n. 335 del 1995; inoltre, la comunicazione del 2.11.1994, proveniente dal Ministero, non costituiva atto interruttivo riferibile alla Cassa di Previdenza e, in ogni caso, tale questione era nuova; infine, era da escludere dal contributo previdenziale l’ammontare di redditi non riconducibili direttamente alla professione di geometra, mentre nulla la Cassa aveva dedotto con riferimento alla natura del credito preteso per il 2001.
Per la cassazione della sentenza ricorre la Cassa di Previdenza ed Assistenza dei Geometri con dieci motivi, illustrati da memoria.
Rimangono intimati la L. ed il L., nonché la società Equitalia Nomis s.p.a.
Ragioni della decisione
1. Col primo motivo la ricorrente denunzia la violazione per falsa o omessa applicazione dell’art. 19, comma 2, I. n. 773 del 1982, nonché dell’art. 45 del Regolamento sulla contribuzione alla Cassa, approvato con D.M. 28.11.1995, e dell’art. 2935 cod. civ. La ricorrente lamenta il fatto che, ad onta della infedeltà della denuncia dei debiti contributivi, effettuata solo per una parte dell’imponibile, la Corte territoriale ha ritenuto che la prescrizione era comunque maturata anche con riferimento agli imponibili non denunziati, spiegando che ML decorso della prescrizione era impedito solo nel caso di omissione della denuncia. Quindi, secondo la ricorrente, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito, la dichiarazione di dati reddituali parziali nelle comunicazioni previste dall’art. 17 della legge n. 773/1982 (cosiddetti modelli 17) relative agli anni dal 1988 al 1993 escludeva il decorso del termine di prescrizione dei crediti contributivi relativi agli imponibili non denunciati.
2. Col secondo motivo la ricorrente deduce error in procedendo, nullità della sentenza per mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato e dei principi di legge in materia di pronuncia secondo diritto, violazione degli artt. 112, 113, 416 e 437 c.p.c., violazione ed omessa applicazione dell’art. 19, comma 1, I. n. 773 del 1992. La ricorrente sostiene che il primo atto interruttivo della prescrizione era riconducibile alla missiva del 19.1.1999 inviata dalla Cassa ad entrambi gli iscritti e alla stessa avevano fatto seguito altri atti di interruzione, per cui dal 1999 non poteva essere decorsa nemmeno la prescrizione quinquennale. In ogni caso il termine di prescrizione da applicare nella fattispecie era quello decennale, ai sensi dell’art. 19, comma 1, della legge n. 335/1995, per cui non poteva esservi stata prescrizione fino a tutto il 19.1.1989. Né poteva essere considerata come nuova la questione posta con riferimento alla dedotta durata decennale della prescrizione, perché sin dal primo grado era stata contestata l’eccezione di prescrizione sollevata dalle controparti; inoltre, l’erronea indicazione – in quella prima fase del giudizio – della durata quinquennale della prescrizione non avrebbe potuto esimere la Corte d’appello dal pronunziarsi in ordine alla individuazione della prescrizione applicabile ai sensi di legge.
3. Col terzo motivo la ricorrente deduce la violazione per falsa o omessa applicazione dell’art. 3, commi 9 e 10, della legge n. 335 del 1995 e dell’art. 19, comma 1, della legge n. 773 del 1982. Si assume che la Corte d’appello, nel ritenere, con riferimento ai contributi dovuti per gli anni 1988 e 1989, costituenti oggetto della procedura, l’applicabilità del termine quinquennale, ha ingiustificatamente omesso di applicare il combinato disposto degli artt. 19, comma 1, I. n. 773 del 1982 e 3, comma 10, I. n. 335 del 1995, in forza dei quali il termine di prescrizione è rimasto decennale.
4. Col quarto motivo, dedotto per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, la ricorrente lamenta una insufficiente indagine sulle risultanze degli atti di causa ed in particolare sul contenuto della nota ministeriale del 2.11.1994 – in ordine all’esistenza fin dal maggio del 1994 di una procedura già avviata per iniziativa dell’ente – ai fini della verifica della permanente applicabilità del termine decennale ai contributi relativi al biennio 1988-1989.
5. Col quinto motivo vengono segnalati i vizi di error in procedendo per omessa pronuncia, di mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato e di violazione dell’art. 112 c.p.c., assumendosi che la Corte d’appello aveva ignorato il fatto che col ricorso era stato dedotto un ulteriore impedimento legale alla sostituzione del termine quinquennale a quello decennale ex art. 19, comma 1, I. n. 773/82 – che interessava anche annualità successive a quelle sopra indicate – vale a dire l’art. 252 delle disposizioni preliminari al codice civile, applicando il quale si perviene alla conclusione che il termine quinquennale sostituisce quello decennale solo per i crediti contributivi per i quali, alla data di entrata in vigore della legge n. 335 del 1995, del decennio già previsto dall’art. 19, comma 1, I. n. 335/95 residuava ancora un lasso di tempo di oltre cinque anni.
6. Col sesto motivo, proposto per violazione dovuta a falsa od omessa applicazione dell’art. 252 disp. att. cod. civ., dell’art. 19, comma 1, I. n. 773/82 e dell’art. 3, commi 9 e 10, I. n. 335/95, si sostiene che il nuovo termine più breve di prescrizione si estende anche ai diritti sorti anteriormente alla data di entrata in vigore della legge sopravvenuta, salvo che a quella stessa data il termine residuo, calcolato sulla base della disciplina previgente, non risulti più breve del termine nuovo, poiché in tal caso rimarrebbe operativo il termine previgente. In concreto ciò significa, secondo la ricorrente, che il termine quinquennale sostituisce quello decennale solo per i crediti contributivi per i quali, alla data di entrata in vigore della legge n. 335/95 (17 agosto 1995), del decennio già previsto dall’art. 19, comma 1, I. n. 335/95 dovesse residuare ancora un lasso di tempo di oltre cinque anni. O, se si preferisce, il nuovo termine si applica solo per i crediti per i quali, in assenza di atti interruttivi tra il relativo dies a quo e la suddetta data del 17 agosto 1995 intercorressero meno di cinque anni. In definitiva, in base al presente assunto difensivo, per effetto della norma di cui all’art. 252 disp att. cod. civ. rimaneva impedita l’entrata in vigore del termine quinquennale e, di conseguenza, quantomeno per i contributi che dovevano essere pagati negli anni 1988 – 1989 – 1990, contrariamente a quanto affermato dai giudici di merito, era rimasto applicabile il termine decennale di cui all’art. 19, comma 1, della legge n. 773 del 1982.
7. Col settimo motivo, formulato per vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., la ricorrente, nel reiterare la contestazione della decisione nella parte in cui individua il dies a quo del decorso della prescrizione nel momento della trasmissione del modello 17, seppur contenente dichiarazioni infedeli, si duole del fatto che la Corte d’appello non ha indicato in concreto in quale data precisa per ogni annualità contributiva si dovrebbe collocare il predetto termine iniziale per il computo della prescrizione stessa, termine tanto più importante in considerazione del discrimine temporale del 17 agosto 1995, data di entrata in vigore della legge n. 335 del 1995 che disciplina, a seconda dei periodi di riferimento, i diversi termini di prescrizione quinquennale o decennale.
8. Osserva la Corte che per ragioni di connessione i primi sette motivi possono essere esaminati congiuntamente. Tali motivi sono infondati.
Invero, questa Corte ha già avuto modo di occuparsi della questione in esame affermando (Cass. sez. lav. n. 7000 del 14.3.2008) che “in tema di contributi previdenziali dovuti alla Cassa dei geometri liberi professionisti, nel regime precedente la delibera 25 novembre 1998 modificativa dell’art. 45 del regolamento della Cassa, la prescrizione dei contributi decorre dalla trasmissione alla cassa della dichiarazione del debitore dell’ammontare del proprio reddito professionale dichiarato ai fini IRPEF e del valore complessivo degli affari dichiarato ai fini IVA, senza che possa rilevare l’infedeltà della dichiarazione, che invece può dar luogo all’applicazione di apposite sanzioni.” (in senso conforme v. Cass. sez. lav. n. 29664 del 18.12.2008 che ha anche precisato che la prescrizione non decorre, invece, ove sia trascurato completamente il dovere di presentare la dichiarazione annuale)
Si è poi precisato più di recente (Cass. sez. lav. n. 4981 del 4.3.2014) che “in materia contributiva previdenziale, la legge 8 agosto 1995, n. 335, ha unificato la durata dei termini di prescrizione dei contributi previdenziali, ma non anche le regole in ordine alla decorrenza dei medesimi. Ne consegue che, con riferimento alla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei geometri, trova ancora applicazione l’art. 19 della legge 20 ottobre 1982, n.773, secondo cui la prescrizione decorre dalla data di trasmissione alla Cassa, da parte dell’obbligato, della comunicazione della dichiarazione dei redditi e del volume d’affari di cui all’art. 17 della medesima legge.”
9. Oltretutto, per quel che concerne l’idoneità degli atti interattivi della prescrizione in materia di contributi previdenziali questa Corte ha chiarito (Cass. sez. lav. n. 15398 dell’1.7.2009) che “in tema di prescrizione del diritto ai contributi di previdenza e di assistenza obbligatoria, l’art. 3, commi 9 e 10, della legge n. 335 del 1995, nel prevedere la riduzione del termine prescrizionale da dieci a cinque anni, stabilisce un regime transitorio secondo il quale continua ad applicarsi il termine decennale di prescrizione previgente nel caso di “atti interattivi già compiuti” o di “procedure finalizzate al recupero dell’evasione contributiva” iniziate durante la vigenza della precedente disciplina, dovendosi intendere con tale ultima locuzione l’avvenuto svolgimento, da parte dell’ente previdenziale, di una concreta attività d’indagine ed ispettiva finalizzata al recupero dell’omissione contributiva. Ne consegue che non è applicabile la disciplina transitoria ove l’INPS abbia inviato una richiesta di informazioni in ordine alla posizione dei dipendenti senza quantificare il credito e limitandosi a preannunciare successive azioni di recupero, trattandosi di atto inidoneo ad integrare l’attivazione di una procedura di recupero.”
Da ultimo, in tema di durata della prescrizione di cui trattasi, le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 15296 del 4.7.2014, hanno statuito che “in materia di previdenza e assistenza obbligatoria, per i contributi dovuti agli enti previdenziali dai lavoratori e datori di lavoro, relativi a periodi anteriori all’entrata in vigore della legge 8 agosto 1995, n. 335 (che ha ridotto il termine prescrizionale da dieci a cinque anni) e per i quali, a tale data, non sia ancora integralmente maturato il quinquennio dalla scadenza, il precedente termine decennale di prescrizione può operare solo nel caso in cui la denuncia prevista dall’art. 3, comma 9, della legge n. 335 del 1995 sia intervenuta nel corso del quinquennio dallo loro scadenza.”
10. Orbene, la motivazione dell’impugnata sentenza è in linea coi principi sopra richiamati e, in ogni caso, con indagine di fatto sottratta al sindacato di legittimità, in quanto congruamente argomentata ed esente da vizi di ordine logico-giuridico, la Corte territoriale ha ritenuto che nella fattispecie trovava applicazione il nuovo termine di prescrizione quinquennale previsto dall’art. 3, commi 9 e 10 della legge n. 335/95, in quanto non vi erano stati atti interruttivi o procedure iniziate nel rispetto della normativa preesistente, non potendo a tal fine aversi riguardo ad una comunicazione proveniente da soggetto diverso dal creditore, vale a dire quella del 2.11.1994 del Ministero delle Finanze e che, comunque, era inammissibile, in quanto nuova, la relativa questione posta a tal riguardo. Infatti, la doglianza espressa in merito all’atto asseritamente interruttivo, col quarto motivo, difetta del requisito dell’autosufficienza che presiede al giudizio di legittimità, in quanto la ricorrente non spiega affatto in quale fase del giudizio di primo grado e in quali precisi termini propose la questione dell’interruzione della prescrizione riconducibile alla nota ministeriale del 2.11.1994 e nemmeno chiarisce se in primo grado produsse tale documento e in quale momento dello stesso giudizio ciò avvenne.
Ne consegue che, a fronte della precisa statuizione della Corte territoriale in merito alla constatata insussistenza di atti interruttivi idonei a far configurare il protrarsi della previgente prescrizione decennale, l’affermazione dell’applicabilità nella fattispecie di quest’ultima resta solo una mera petizione di principio non sorretta dalla dimostrazione della tempestività dell’allegazione e della produzione di atti interuttivi idonei al fine dell’invocata applicabilità della prescrizione decennale del credito reclamato.
11. Con l’ottavo motivo, dedotto per vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., la ricorrente contesta la decisione nella parte in cui si sostiene che in relazione al 1994 era stata accertata l’esistenza di emolumenti derivanti da attività di amministratore di società di capitali che erano estranei alla professione e sottratti, in quanto tali, all’obbligo contributivo. In particolare si censura la decisione nella parte in cui si afferma che tale circostanza non era stata contestata dalla Cassa.
12. Col nono motivo, dedotto per violazione dovuta a falsa ed errata applicazione degli artt. 10 e 11 I. n. 773 del 1982, la ricorrente lamenta che la Corte d’appello ha fatto malgoverno dei criteri legali di determinazione degli imponibili per il calcolo dei contributi dovuti, quali definiti dalla predetta norma, secondo la quale il contributo soggettivo si calcola sul reddito professionale netto, mente il contributo integrativo si applica sul volume annuale d’affari ai fini dell’IVA e che detto volume è riferito esclusivamente ai corrispettivi relativi all’attività professionale. In sostanza si imputa alla Corte d’appello di aver presupposto la derivazione degli imponibili da un’attività di amministrazione di società, escludendo aprioristicamente la connessione la detta attività e la professione di geometra.
13. L’ottavo ed il nono motivo, che per ragioni di connessione vanno trattati congiuntamente sono infondati.
Si è, infatti, affermato (Cass. sez. lav. n. 4057 del 19.2.2008) che “il contributo professionale dovuto alla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza tra i geometri va determinato in relazione al reddito professionale del geometra, ossia a quello strettamente inerente all’esercizio della professione; ne consegue che sono esclusi dal contributo previdenziale altri redditi non direttamente riconducibili alla suddetta professione, quali gli emolumenti percepiti a titolo di compenso per la presidenza del consiglio di amministrazione di una società.” (in senso conf. v. Sez. lav. n. 11472 del 12.5.2010).
14. Col decimo motivo, proposto per vizio di motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c., la ricorrente contesta la decisione con cui la Corte territoriale ha disatteso le ragioni addotte a sostegno della pretesa concernente le somme richieste ai propri iscritti per l’anno 2001.
15. Il motivo è infondato in quanto la Corte d’appello, con indagine di merito sottratta ai rilievi di legittimità, essendo adeguatamente motivata ed esente da vizi di ordine logico-giuridico, ha spiegato che con riferimento all’anno 2001 gli appellati avevano rilevato che le richieste di pagamento contenute nel modello RAV non erano state precedute dall’invio di alcun’altra richiesta e che non era dato, perciò, comprendere a cosa le stesse si riferissero, dal momento che dai bollettini di versamento (documenti nn. 8-12) i contributi per tale anno risultavano regolarmente versati. La Corte ha poi aggiunto che nell’ambito del giudizio di accertamento negativo la Cassa non aveva dedotto nulla a tal riguardo e che anche nel giudizio di opposizione alle cartelle esattoriali la stessa si era limitata a riprodurre le indicazioni contenute nei predetti modelli RAV, senza indicare i motivi per i quali erano state applicate le sanzioni e su quale base imponibile alla luce della documentazione prodotta dai ricorrenti. La Corte ha precisato, altresì, che nemmeno nelle note conclusive la Cassa aveva aggiunto alcunché in ordine alla effettiva debenza delle somme richieste, per cui era rimasta sfornita di prova la fondatezza del credito vantato per l’anno di riferimento.
16. In definitiva il ricorso va rigettato.
Non va adottata alcuna statuizione in ordine alle spese del presente giudizio dal momento che N.L., G.L. e la società Equitalia Nomos s.p.a. sono rimasti solo intimati.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Nulla spese.
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