CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 14 luglio 2017, n. 17526
Licenziamento per scarso rendimento – Onere della prova – Reintegrazione – Risarcimento danni ex art. 18 legge n. 300/1970
Fatti di causa
Con sentenza pubblicata il 3.2.15 la Corte d’appello di Potenza, in parziale riforma della sentenza n. 198/14 di reintegra nel posto di lavoro emessa dal Tribunale di Melfi a favore di I.S., licenziata il 21.11.07 per scarso rendimento da M.A.C. M.A.C. S.p.A., quantificava il risarcimento dei danni ex art. 18 legge n. 300 del 1970 in misura pari alle retribuzioni globali di fatto spettanti dalla data dell’illegittimo licenziamento fino a quella dell’effettiva reintegra (risarcimento che, invece, il primo giudice aveva limitato a 18 mensilità).
Per la cassazione della sentenza ricorre M.A.C. M.A.C. S.p.A. affidandosi a due motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c.
I.S. resiste con controricorso (erroneamente qualificato come memoria ex art. 378 cod. proc. civ.) e con difensore munito soltanto della procura ad litem rilasciata con il ricorso di primo grado.
Ragioni della decisione
1.1. Preliminarmente va dichiarata l’inammissibilità del controricorso (impropriamente denominato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.) per difetto, in capo al difensore dell’intimata, della procura speciale prescritta ai sensi del combinato disposto degli artt. 370 e 365 cod. proc. civ., tale non essendo quella rilasciata a margine del ricorso di primo grado e richiamata nel controricorso a firma dell’avv. A.P.
2.1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 cod. proc. civ. e 2727, 2729 e 2697 cod. civ., per non avere, la sentenza ritenuto assolto l’onere della prova riguardante lo scarso rendimento addebitato all’odierna intimata, pur essendo pacifico (oltre che confermato in via testimoniale e documentale) che l’intimata produceva appena il 10% dei pezzi prodotti dai suoi colleghi (anche non normodotati, a dire della società) adibiti alle stesse mansioni di saldatura a punti mediante assemblaggio su macchine manuali, mansioni che l’ASL 1 di Venosa aveva, il 12.10.07, confermato essere ergonomicamente compatibili con le ridotte capacità lavorative di I.S.; erroneamente, invece, la sentenza – prosegue il ricorso – si era basata su un precedente accertamento della stessa ASL del 6.6.07, superato da quello successivo del 12.10.07.
2.2. Il motivo va disatteso perché, ad onta dei richiami normativi in esso contenuti, sostanzialmente sollecita una rivisitazione nel merito della vicenda e delle risultanze processuali affinché se ne fornisca un diverso apprezzamento e si accerti una pretesa compatibilità delle mansioni assegnate ad I.S. (lavoratrice monoculare con impianto di protesi all’occhio destro quale conseguenza d’un infortunio sul lavoro patito nel 1994) con le sue ridotte capacità lavorative, compatibilità che, invece, i giudici di merito hanno motivatamente escluso alla luce delle risultanze istruttorie.
Quella invocata in ricorso è operazione non consentita in sede di legittimità, ancor più ove si consideri che in tal modo il ricorso finisce con il riprodurre (peraltro in maniera irrituale: cfr. Cass. S.U. n. 8053/14) sostanziali censure ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. (nel nuovo testo applicabile, ai sensi dell’art. 54, co. 3° d.l. n. 83/12, convertito in legge n. 134/12, alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, cioè alle sentenze pubblicate dal 12.9.12 e, quindi, anche alla pronuncia in questa sede impugnata).
Tali censure non possono nemmeno intendersi come deduzione di omesso esame di fatti decisivi, trattandosi di doglianza a monte non consentita dall’art. 348-ter, commi 4 e 5, cod. proc. civ., essendosi in presenza di doppia pronuncia conforme di merito basata sulle medesime ragioni di fatto in punto di illegittimità del licenziamento per inesigibilità delle mansioni affidate alla lavoratrice.
3.1. Con il secondo motivo ci si duole di violazione degli artt. 18 legge n. 300 del 1970 e 1218 cod. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha quantificato il risarcimento in misura pari alle retribuzioni globali di fatto spettanti dalla data del licenziamento fino a quella dell’effettiva reintegra, senza considerare che l’assenza di colpa della società – che nell’assegnare le mansioni alla lavoratrice si era basata sul responso di loro compatibilità con le ridotte capacità lavorative emesso dall’ASL 1 di Venosa il 12.10.07 – avrebbe dovuto indurre la Corte territoriale a ridimensionare l’entità del risarcimento, se non ad escluderlo del tutto.
3.2. Il motivo è infondato.
La colpa della ricorrente nell’avere adibiti l’intimata a mansioni incompatibili con le sue ridotte capacità lavorative è stata verificata in punto di fatto, con accertamento non sindacabile in sede di legittimità, dalla Corte territoriale in base alla certificazione proveniente dall’Ambulatorio di Medicina del Lavoro dell’Ospedale S. Carlo di Potenza e al responso del Collegio Medico dell’ASL attivato dalla società medesima ex art. 5 legge n. 300 del 1970.
Né risponde al vero (sempre secondo l’accertamento effettuato dai giudici di merito) che le mansioni di saldatura a punti mediante assemblaggio su macchine manuali (che richiedono una più elevata soglia di attenzione ed acutezza visiva) siano praticamente identiche a quelle su macchine automatiche (solo queste ultime erano state ritenute compatibili dal Collegio Medico).
Infine, sempre la sentenza impugnata ha accertato in punto di fatto che anche il confronto con il rendimento degli altri addetti alle stesse mansioni è stato falsato dall’essere stato eseguito rispetto a lavoratori tutti normodotati operanti nel medesimo reparto, il che ha fatto ulteriormente risaltare il minor rendimento di chi, come l’odierna intimata, già non era in condizioni di svolgere le mansioni che la società ricorrente le aveva illegittimamente assegnato noncurante delle sue ridotte capacità lavorative.
4.1. In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.
Non è dovuta pronuncia sulle spese, non avendo l’intimata svolto rituale attività difensiva per le ragioni chiarite nel paragrafo che precede sub 1.1.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater d.P.R. n. 115/2002, come modificato dall’art. 1 co. 17 legge 24.12.2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del co. 1 bis dello stesso articolo 13.
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