CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 dicembre 2016, n. 53125
Tributi – Reati tributari – Occultamento o distruzione di scritture contabili e documenti obbligatori – Imputazione – Irreperibilità dell’imputata – Proscioglimento – Esclusione
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza emessa in data 26/11/2015 (depositata in pari data), il GUP/Tribunale di Fermo dichiarava non luogo a procedere a carico dell’imputata C. M. L. per il reato di cui all’art. 10, d.Igs. n. 74 del 2000, per aver occultato la totalità delle scritture contabili e dei documenti obbligatori non consentendo la ricostruzione dei redditi e del volume degli affari, in relazione a fatti contestati come accertati nel 2013 secondo le modalità esecutive e spazio – temporali meglio descritte nell’imputazione.
2. Ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di ANCONA, deducendo un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Deduce, con tale motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. e), cod. proc. pen. sotto il profilo della mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
In sintesi, la censura investe il provvedimento impugnato in quanto, sostiene il P.G. ricorrente, il GUP avrebbe prosciolto l’imputata dal reato di occultamento o distruzione di documenti contabili in presenza di un dubbio in ordine alla sussistenza del dolo normativamente richiesto per la punibilità del reato; in particolare, attesa l’irreperibilità dell’imputata, non era dato sapere se la condotta fosse stata dolosamente sorretta dalla volontà di sottrarre la documentazione ovvero dovuta a comportamento negligente o ignoranza o a qualche altro motivo, donde l’assenza di elementi idonei in tal senso imponeva per il GUP la constatazione circa l’impossibilità di sussumere il fatto nella fattispecie astratta; diversamente, osserva il PG ricorrente, essendo stata la situazione di stallo probatorio correlata all’attuale irreperibilità dell’imputata, il rinvio a giudizio si rendeva tutt’altro che inutile, non potendosi escludere la cessazione dello stato di irreperibilità dell’imputata medesima, tanto più alla luce del nuovo istituto della sospensione del processo per assenza dell’imputato ex art. 420-quater, c.p.p.
Considerato in diritto
3. Il ricorso è fondato.
4. Ed invero, è senz’altro corretta la lettura proposta della regola di giudizio espressa dall’art. 425 c.p.p. da parte del P.G. ricorrente.
A tale riguardo è sufficiente rammentare brevemente che l’originaria formulazione della norma prevedeva che potesse essere adottata sentenza di non luogo a procedere solo nelle situazioni di evidenza probatoria per le formule di proscioglimento in fatto. Si trattava di regola di giudizio eccessivamente restrittiva, che inibiva al giudice un reale controllo sulla plausibilità dell’accusa; e che non era coerente con quella ben più ampia prevista per l’archiviazione.
La L. n. 479 del 1999 ha ampliato significativamente la regola di giudizio: tra l’altro, può essere emessa sentenza di non luogo procedere anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio. Il lessico del nuovo art. 425 c.p.p., comma 3, rende evidente che il legislatore ha voluto rendere omogenee le regole di giudizio sottese all’archiviazione ed alla sentenza di non luogo a procedere. Dunque, la sentenza di non luogo a procedere può essere adottata quando si è in presenza di una situazione probatoria pacifica (esistenza della prova dell’innocenza; mancanza della prova della colpevolezza); quando il quadro probatorio è insufficiente o contraddittorio; infine quando non vi sono elementi sufficienti a sostenere l’accusa in giudizio. Tale ultima situazione individua un tertium genus rispetto alle due precedenti; ed implica una penetrante sintesi prognostica e valutativa che attiene alla potenzialità espansiva degli elementi di prova disponibili. Si tratta quindi di una norma di chiusura, che impone una ampia lettura critica circa la plausibilità dell’ipotesi accusatoria. Tale valutazione prognostica circa l’esito del giudizio dovrà rapportarsi anche alle più ampie risorse della formazione della prova nei dibattimento; e particolarmente alle potenzialità dell’accertamento giudiziale condotto con le regole del contraddittorio.
Su tale nuova regola di giudizio è intervenuta ripetutamente questa Corte, rimarcando che la insufficienza o contraddittorietà delle acquisizioni probatorie va parametrata sull’inutilità del dibattimento (v., ex multis: Sez. 6, n. 45275 del 16/11/2001 – dep. 19/12/2001, Acampora ed altri, Rv. 221303). Anche le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che l’obiettivo arricchimento qualitativo e quantitativo dell’orizzonte prospettico del giudice non gli attribuisce il potere di giudicare in termini di anticipata verifica dell’innocenza/colpevolezza, poiché la sua valutazione critica è sempre diretta a determinare, all’esito di una delibazione di tipo prognostico, la sostenibilità dell’accusa in giudizio e l’utilità della fase dibattimentale (Sez. U, n. 39915 del 30/10/2002 – dep. 26/11/2002, Vottari, Rv. 222602).
5. Sulla base di tali dati normativi, il giudizio espresso dal Giudice dell’udienza preliminare è affetto da una radicale contraddizione interna che lo vulnera alla radice. Infatti, si afferma – in sostanza – che l’inutilità del dibattimento sarebbe giustificata dalla attuale situazione di irreperibilità dell’imputata, ciò che non consentirebbe di sciogliere il dubbio sulla sussistenza dell’elemento psicologo del reato, ossia sul dolo normativamente richiesto dall’art. 10, d. Igs. n. 74 del 2000. È agevole cogliere che in tale argomentazione si annida un grave errore. L’esistenza di una situazione di dubbio sull’elemento psicologico del reato, desunta peraltro da un elemento esterno (lo status di attuale irreperibilità dell’imputata) non legittima infatti il proscioglimento. I poteri di “ius dicere” del Giudice dell’udienza preliminare sono infatti incompatibili con l’utilizzazione, all’esito di tale udienza, del criterio sancito dall’art. 425, terzo comma, cod. proc. pen., ove il dubbio non riguardi la prova del fatto in sé, perché ove il detto giudice non ravvisi un’innocenza, una non imputabilità, od una non punibilità dell’imputato che siano certe e manifeste in assoluto (ovvero la presenza di cause estintive del reato o per le quali l’azione penale non poteva essere iniziata o proseguita o la non previsione legislativa del fatto come reato), ogni dubbio, anche se refluente sull’acquisibilità della prova (il che equivarrebbe a giudizi prognostici relativi e, quindi, non certi), deve essere affrontato e risolto dal giudice del dibattimento.
6. L’impugnata sentenza dev’essere pertanto annullata senza rinvio, con trasmissione degli atti al tribunale di Fermo, altro giudice, per nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al tribunale di Fermo.
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