CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 gennaio 2018, n. 750
Licenziamento per giusta causa – Reintegra – Reparto destinato all’esternalizzazione – Successivo licenziamento nell’ambito di una procedura ex L. n. 223/1991 – Disegno fraudolento – Motivo inammissibile
Svolgimento del processo
A.R.S. proponeva appello avverso la sentenza n. 4122/12 del Tribunale di Milano che respinse le sue domande di accertamento del demansionamento posto in essere dal luglio 2010 dall’appellata P.S. s.r.l. e di impugnazione del licenziamento intimatogli in data 31 marzo 2011, con le conseguenti domande di reintegrazione nel posto di lavoro e di risarcimento del danno, ex art. 18 St. Lav., nel testo allora vigente.
Premesso di essere stato assunto dalla società, proprietaria dell’omonimo Hotel, il 24 luglio 1981 come “commissioniere”, poi addetto alla portineria e successivamente assistente di portineria sino al gennaio 2002, quando era stato assegnato alla mansione di addetto al bagagliaio; di essere stato licenziato per giusta causa con lettera 8 febbraio 2006 e to dalla Corte adita con sentenza n. 776/10, per essere di fatto adibito dalla società alle mansioni di facchino/facchino ai piani dal luglio 2010 e successivamente licenziato nell’ambito di una procedura ex lege n. 223/91; si doleva il lavoratore della mancata pronuncia in ordine alla domanda di demansionamento e sul relativo risarcimento del danno; sul mancato riconoscimento della violazione della procedura di cui alla citata L. n. 223/91 ed in ordine al suo demansionamento finalizzato al suo inserimento nel programma di esternalizzazione del reparto Housekeeping, ritenuta corretta avendo egli accettato, in data 28.7.10, le mansioni di facchino ai piani.
Si costituiva l’appellata resistendo al gravame.
Con sentenza depositata il 21.5.15, la Corte d’appello di Milano lo rigettava, ritenendo legittimo il patto (del 2010) con cui il lavoratore accettò lo svolgimento di mansioni inferiori, sia pure per evitare il licenziamento.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il S., affidato a due motivi.
Resiste la s.r.l. P.S. con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1.-Con il primo motivo il ricorrente denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma 1, n.5 c.p.c.), ed in particolare che la società, nell’assegnare il lavoratore, a seguito di reintegra, al reparto “housekeeping” (in luogo di quelle di addetto alla portineria), non aveva considerato che la società aveva omesso di informarlo che detto reparto era in via di esternalizzazione.
Il motivo presenta un evidente profilo di inammissibilità laddove diretto a censurare accertamenti di fatto compiuti dalla sentenza impugnata, ex art. 360, comma 1, n. 5 novellato.
Per il resto è infondato posto che, come accertato dalla corte meneghina e come pacifico in causa, il S. accettò, in data 28.7.10, l’adibizione alle mansioni di “housekeeping”, non sussistendo peraltro, come accertato dalla corte di merito, alcuna altra possibilità di occupazione, e dunque al fine di evitare un licenziamento (pag. 5 sentenza impugnata), ed alcun obbligo della società di avvertire il dipendente che tale reparto sarebbe stato oggetto di esternalizzazione, del resto avvenuta circa un anno dopo.
Sulla legittimità del patto di demansionamento, al fine di evitare il licenziamento o comunque la cessazione del rapporto di lavoro,cfr. da ultimo Cass. n. 4509/16, Cass. n. 23698/15, sicché in difetto di ulteriori deduzioni e censure il motivo deve essere rigettato.
2.- Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la “violazione di norme di diritto”.
Lamenta, in modo del tutto irrituale a fronte dell’art. 360 c.p.c., che l’azienda aveva posto in essere un disegno fraudolento volto a far accettare al lavoratore, al momento della reintegra, una posizione lavorativa diversa ed inferiore, per di più destinata all’esternalizzazione, provocando un vizio del consenso del lavoratore.
Il motivo è inammissibile, oltre che per la sua formulazione, in quanto già dichiarato tale (per novità) dalla corte di merito, senza che, sul punto, vi sia una adeguata contestazione.
3.- Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €.200,00 per esborsi, €.3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e c.p.a. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115\02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
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