CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 novembre 2017, n. 27067
Tributi – Procedura di amministrazione controllata – Ritenute sui redditi da lavoro dipendente – Omesso versamento – Legittimità – Esclusione delle sanzioni – Ritorno in bonis – Avviso di irregolarità – Pagamento delle ritenute e delle sanzioni in misura ridotta – Rimborso delle sanzioni – Esclusione
Ritenuto che
Con comunicazione inviata in data 25 settembre 2006, la Direzione Centrale Servizi ai Contribuenti rilevava il mancato pagamento delle ritenute sui redditi da lavoro dipendente da parte della società N. S.p.a., per il mese di dicembre 2003. La società, ammessa alla procedura di amministrazione controllata, presentava domanda di sgravio. L’Ufficio rettificava gli importi delle imposte richiesti, ma non riteneva di poter escludere l’applicabilità delle sanzioni, in quanto l’omesso versamento si era concretizzato dopo il ritorno in bonis della società. La N. S.p.a. provvedeva al pagamento di quanto richiesto in misura ridotta, ai sensi dell’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 462 del 1997, all’esito della comunicazione di irregolarità di cui all’art. 36 bis del d.P.R. 600 del 1973, all’art. 54 bis del d.P.R. n. 633 del 1972 (con riduzione ad il 1/3 della sanzione), presentando successivamente istanza di rimborso delle sanzioni pagate. La società contribuente proponeva ricorso avverso il silenzio rifiuto espresso su tale istanza dall’Amministrazione, che veniva accolto dalla CTP di Reggio Emilia, la quale sosteneva la legittimità dell’omesso versamento delle ritenute sui redditi da lavoro dipendente in costanza della procedura concorsuale. La sentenza veniva appellata dall’Agenzia delle entrate innanzi alla CTR dell’Emilia Romagna, che respingeva il gravame, atteso che la comunicazione di irregolarità non costituiva atto impositivo, con conseguente possibilità per il contribuente di provvedere al pagamento delle somme dovute e chiedere, quindi, il rimborso, mentre nessuna violazione era stata commessa dalla società, in quanto il termine per provvedere al pagamento scadeva dopo che la stessa era stata ammessa alla procedura di amministrazione controllata, in costanza della quale, ai sensi dell’art. 168 L.F. era vietato il pagamento dei debitori. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per la cassazione della sentenza, svolgendo un solo motivo.
Ha resistito con controricorso la società contribuente.
Considerato che
1. Con l’unico motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata denunciando violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2, comma 2, del d.lgs. 462 del 1997, dell’art. 13 del d.lgs. 471 del 1997, dell’art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 54 bis del d.P.R. 633 del 1972, nonché dell’art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ..
L’Agenzia delle entrate si duole del fatto che la CTR, in applicazione dell’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 462 del 1997 e della ratio ad essa sottesa, avrebbe dovuto dichiarare inammissibile la domanda di rimborso delle somme corrisposte dal contribuente a titolo di sanzione, perché pagate in misura ridotta con conseguente definizione bonaria. Secondo l’Agenzia delle entrate la scelta di adesione alla richiesta bonaria dell’Amministrazione finanziaria ha avuto l’effetto di definire alternativamente, ed in via amministrativa, la contestazione, precludendo ogni contestazione giudiziale sul punto.
2. Il motivo è fondato.
La controversia in esame concerne la valutazione della possibilità di chiedere il rimborso delle somme pagate a titolo di sanzioni irrogate per il mancato versamento di ritenute operate dal sostituto di imposta, in caso di definizione delle stesse in misura ridotta ai sensi dell’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 462 del 1997 all’esito della c.d. comunicazione di irregolarità di cui all’art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, e all’art. 54 bis del d.P.R. n. 633 del 1972.
3. In verità, non è circostanza contestata che il mancato versamento delle ritenute relative al mese di dicembre 2003 era maturato in costanza dell’ammissione alla procedura concorsuale (12.1.2004) della società contribuente.
Invero, l’art. 168 del r.d. 14 marzo 1942 n. 267, in materia di concordato preventivo, richiamato dal successivo art. 188, comma 2, relativo all’amministrazione controllata, stabilisce che dalla data di presentazione del ricorso ai creditori della società ammessa alla procedura è impedito l’esercizio o la prosecuzioni di azioni esecutive sul patrimonio del debitore, e quest’ultimo non può eseguire per i debiti pregressi alcun pagamento fino al termine della procedura, con la conseguenza che dal mancato pagamento di essi non possono conseguire effetti di tipo sanzionatorio, ancorchè previsti dalle norme di diritto pubblico; pertanto, non può ritenersi illegittimo il comportamento dell’imprenditore che abbia omesso il pagamento di somme dovute a titolo di tributi dovuti nell’esercizio dell’impresa, successivamente sottoposta ad amministrazione controllata, non potendo egli eseguire pagamenti al di fuori del concorso di tutti i creditori, con la conseguenza che egli resta indenne dalle sanzioni inflittegli in via amministrativa (Cass. n. 18078 del 2008 in tema di IVA).
Ciò premesso, l’Agenzia delle entrate deduce, ma non è circostanza contestata, che oggetto della controversia non è la moratoria dei pagamenti in costanza della procedura concorsuale, ma il mancato adempimento successivamente al ritorno in bonis della società (in data 17.1.2006) e richiesto attraverso l’avviso bonario.
Dopo la cessazione della procedura concorsuale ed il ritorno in bonis della società, la stessa non ebbe ad adempiere alla prestazione, provvedendo al pagamento solo al momento dell’invio della comunicazione di irregolarità.
4. Orbene, la società contribuente, provvedendo al pagamento delle somme dovute ai sensi dell’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 462 del 1997 ha definito la sua posizione debitoria nei confronti del fisco in via agevolata, determinando nella sostanza la formazione di un titolo giuridico nuovo in forza del quale, volontariamente, ha scelto di versare le somme risultanti dalla liquidazione effettuata dall’Amministrazione finanziaria, regolarizzando la propria posizione con il pagamento di una sanzione ridotta, oltre all’imposta ed agli interessi, così costituendo una modalità di componimento delle opposte pretese e, quindi, un accordo transattivo comportante l’azzeramento di una eventuale successiva richiesta di rimborso.
Questa Corte ha affermato il principio, a cui si intende dare continuità, secondo cui il contribuente che abbia chiesto la definizione agevolata di una sanzione, non può richiedere il rimborso delle sanzioni pagate in virtù della definizione agevolata, perché in tal modo si verificherebbe una inammissibile revoca della richiesta di definizione agevolata, per una causa sopravvenuta non espressamente prevista dalla legge (Cass. n. 21413 del 2012; Cass. n. 11735 del 2011).
La definizione agevolata della sanzione preclude al contribuente la possibilità di avanzare pretese di rimborso dal momento che estingue irrevocabilmente l’obbligazione tributaria riferita alle sanzioni, altrimenti verrebbe svilita la stessa “ratio” dell’istituto, rendendo peraltro privo di una reale giustificazione il vantaggio che il legislatore tributario ha scelto di assicurare al contribuente che decide di definire la sanzione.
5.Sulla base dei rilievi espressi, il ricorso va conclusivamente accolto e la sentenza impugnata cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, decidendo nel merito, va rigettato il ricorso introduttivo proposto dalla società contribuente. Le spese di lite di ogni fase e grado, tenuto conto della mancanza di un indirizzo consolidato della giurisprudenza di legittimità sulle questioni trattate rispetto all’epoca della introduzione della lite, vanno interamente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, va rigettato il ricorso introduttivo della società contribuente. Compensa integralmente le spese di lite di ogni fase e grado.
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