CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 dicembre 2016, n. 26045
Tributi – Benefici fiscali – Riconoscimento dell’agevolazione daziaria
Fatto
In esito a revisioni degli accertamenti relative a bollette d’importazione di banane emesse dall’Agenzia delle Dogane di Genova negli anni 2004 e 2005, l’ufficio ha notificato alla contribuente in data 5 maggio 2010 un avviso di rettifica col quale ha revocato il riconoscimento dell’agevolazione daziaria derivante dall’impiego del titolo AGRIM del quale la P. era titolare. Ciò in quanto, secondo l’Agenzia, la P. era stata mero soggetto interposto nelle operazioni tra C.I.L. e s.p.a. C.I., al fine di consentire a quest’ultima il conseguimento dei benefici fiscali derivanti dall’applicazione del dazio agevolato.
La contribuente ha impugnato l’avviso senza successo in primo grado. La Commissione tributaria regionale ha poi respinto l’appello della società, giudicando adeguatamente motivato l’atto impositivo, respingendo l’eccezione di decadenza triennale, poiché per i medesimi fatti pendeva procedimento penale, escludendo l’incompetenza territoriale dell’ufficio di Roma e, nel merito, riconoscendo la manovra elusiva prospettata dall’amministrazione.
Avverso questa sentenza propone ricorso la s.p.a. P. per ottenerne la cassazione, che affida a cinque motivi, che illustra con memoria, cui l’Agenzia delle Dogane replica con controricorso.
Diritto
1.- Col primo motivo, proposto ex art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., la contribuente si duole della violazione dell’art. 7 L. 212/00 e 11, comma 5-bis, del d.lgs. 374/00, là dove il giudice d’appello ha reputato adeguatamente motivato l’avviso di rettifica, benché non vi fosse allegato il processo verbale di constatazione sul quale pure esso si basava. Il motivo è inammissibile, perché si scontra con l’accertamento di fatto contenuto in sentenza, non aggredito con vizio di motivazione, secondo cui «…l’avviso impugnato…contiene tutti gli elementi idonei a rendere possibile una compiuta difesa della società contribuente, che del resto nel caso di specie ha dimostrato di conoscere esattamente le ragioni di fatto e di diritto che hanno determinato l’emissione dell’avviso…».
Conviene osservare al riguardo che, nel regime introdotto dall’art. 7 l. 27 luglio 2000 n. 212, l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche per relationem, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato, oppure che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale (fra varie, Cass. n. 6914/11; n. 13110/12; ord. n. 9032/13). A tanto si aggiunge la considerazione che un’intepretazione meramente formalistica dell’art. 7 si porrebbe in contrasto con il criterio ermeneutico che impone di dare alle norme procedurali una lettura che, nell’interesse generale, faccia bensì salva la funzione d garanzia loro propria, limitando al massimo le cause d’invalidità o d’inammissibilità chiaramente irragionevoli (in termini, fra varie, Cass. n. 15327/14; n. 407/15; n. 24254/15).
2. – Col secondo motivo, proposto ex art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., la società lamenta la violazione degli artt. 11 del d.lgs. 374/90, 84, 2° e 3° co., del d.P.R. 43/73, 217, 221, 4° co., reg. CEE 2913/92, là dove il giudice d’appello ha escluso la maturazione della decadenza dal termine triennale per la revisione dell’accertamento.
La censura è fondata nei limiti che seguono.
L’art. 221, nn. 3 e 4, del codice doganale comunitario (nella versione successiva alle modifiche apportate dal regolamento CE n. 2700/2000) stabilisce (paragrafo n. 3) che «la comunicazione al debitore non può più essere effettuata tre anni dopo la data in cui è sorta l’obbligazione doganale. Detto termine è sospeso a partire dal momento in cui è presentato un ricorso a norma dell’articolo 243 e per la durata del relativo procedimento», aggiungendo (paragrafo n. 4) che «qualora l’obbligazione doganale sorga a seguito di un atto che era nel momento in cui è stato commesso perseguibile penalmente, la comunicazione al debitore può essere effettuata, alle condizioni previste dalle disposizioni vigenti, dopo la scadenza del termine di cui al paragrafo 3».
La norma contempla dunque due diverse ipotesi, a seconda che il mancato pagamento abbia o no causa da un reato.
2.1. – Nel caso in cui non risulti che il mancato pagamento abbia avuto causa da reato, il termine decorre dal momento in cui l’importo dei diritti doganali originariamente richiesto sia stato contabilizzato o, in difetto, sia divenuto esigibile; nell’ipotesi, invece, in cui il mancato pagamento abbia avuto causa da reato, il termine decorre alle condizioni previste dalle disposizioni vigenti.
Sul punto, la Corte di giustizia ha chiarito che «…l’importo dei dazi può essere comunicato dopo la scadenza del termine triennale qualora l’autorità doganale non abbia inizialmente potuto determinare l’importo esatto dei dazi legalmente dovuti a causa di un atto perseguibile a norma di legge, anche nell ’ipotesi in cui tale debitore non sia l’autore dell’atto in questione» (Corte di giustizia 16 luglio 2009, C-124/08 e C-125/08, Gilbert Snauwaert e altri, punti 30 e 32, che, peraltro, fa riferimento alla dizione del paragrafo 4 antecedente alle modifiche apportate dal regolamento numero 2700/2000), successivamente ribadendo che la comunicazione al debitore può essere effettuata, «alle condizioni previste dalle disposizioni vigenti», dopo la scadenza del termine triennale di cui al paragrafo 3, qualora l’obbligazione sorga a seguito di un atto perseguibile penalmente (Corte di giustizia 17 giugno 2010 in causa C-75/09, Agra srl).
La fissazione di una tale regola, che incide giustappunto sull’accertamento dei diritti doganali (ossia, seguendo il linguaggio della Corte, sulla determinazione dell’importo esatto dei dazi legalmente dovuti), si sovrappone alle regole nazionali, prevalendo su di esse.
2.2. – Il che comporta che la regola comunitaria si applica non soltanto al termine di prescrizione per la riscossione dei diritti doganali, ma anche a quello di decadenza per la revisione dell’accertamento, stabilito dall’art. 11 del d.lgs. 374/90, in ovvia coerenza, del resto, con la loro ratio, che è quella di impedire che il decorso del tempo giovi a chi ha occultato il credito e di impedire altresì che giovi al debitore l’ostacolo all’azione amministrativa determinato dal procedimento di indagine penale (in termini, sia pure con riguardo alle omologhe norme stabilite dal regolamento CEE del Consiglio numero 1697 del 1979, vedi Cass. n. 9253/13).
2.3. – Si deve dunque ritenere che la causa di “sospensione” operi sino alla data di irrevocabilità del provvedimento che definisce il procedimento penale instaurato a seguito dell’«atto perseguibile penalmente», la soluzione è nel sistema delle leggi nazionali e, segnatamente, nella regola fissata dall’articolo 84, 3° comma, del testo unico delle leggi doganali.
Spetta difatti ad ogni Stato membro determinare il regime della prescrizione e della decadenza delle obbligazioni doganali che è stato possibile accertare in relazione all’atto perseguibile penalmente, non prevedendo il diritto dell’Unione regole comuni in materia (Corte giust. in causa Agra s.r.l., punto 35, che richiama ulteriore giurisprudenza conforme).
2.5. – Il caso del compimento dell’atto perseguibile penalmente è quello che ricorre nella fattispecie, in cui la stessa società dà conto dell’esistenza di comunicazioni di notizia di reato.
In tale ipotesi, peraltro, V «originario» termine triennale, decorrente dalla contabilizzazione o dall’esigibilità dell’obbligazione doganale, è «prorogato» fino ai tre anni successivi alla data di irrevocabilità della decisione penale, soltanto nel caso in cui sia stata formulata una «ipotesi delittuosa», posta «alla base di una notitia criminis», nel corso dell’ «originario» termine triennale; altrimenti, il periodo intercorrente tra la data di contabilizzazione o di esigibilità del debito doganale e la data in cui è divenuta irrevocabile la decisione penale «sarebbe privo di riferimento temporale e dilatabile all ’infinito», compromettendo la certezza dei rapporti giuridici (vedi, tra molte, Cass. n. 9773/10, n. 19195, n. 20513, n. 21377 e n. 22014 del 2006, n. 14016/12, n. 20764, 20768 e 26018/13).
Sufficiente è quindi, ai fini della proroga, che le autorità che procedono al recupero dei dazi non riscossi ravvisino una fattispecie prevista come reato dal diritto penale nazionale e comunichino la relativa notizia entro il termine triennale dalla contabilizzazione o dall’esigibilità dell’obbligazione doganale.
Questa interpretazione, che è stata reputata costituzionalmente conforme dalla Consulta (come si legge in un passaggio della sentenza 25 luglio 2011, n. 247, che ne tiene conto come tertium comparationis), è destinata a rimanere ferma, soprattutto ove si consideri che, come ha rimarcato la stessa Corte di giustizia, sia pure ai fini dell’applicazione dell’eccezione prevista dall’art. 3 del Reg. n. 1697/79, la norma non esige che azioni giudiziarie repressive siano effettivamente avviate dalle autorità penali dello Stato membro, con la conseguenza che la qualificazione di un atto come «passibile di un’azione giudiziaria repressiva» – o, va aggiunto, come «perseguibile penalmente» – rientra nella competenza delle autorità doganali che devono stabilire l’importo esatto dei dazi di cui si tratta (Corte giust. 18 dicembre 2007 in causa C-62/06, Fazenda Publica).
2.6. – Di qui è stata tratta l’ulteriore statuizione della irrilevanza, ai fini della configurabilità dell’atto «passibile di azione giudiziaria» e, conseguentemente, dell’idoneità della comunicazione della relativa notizia di reato a prorogare l’originario termine triennale, dell’identità degli agenti di reato (espressamente, Cass. n. 9973/10 e n. 5898/13).
2.7. – Nel caso in esame, la sentenza impugnata non fa parola di comunicazioni di notizia di reato compiute dall’Ufficio.
Le parti, tuttavia, non dubitano che tali comunicazioni vi siano state, anche se secondo la contribuente la prima comunicazione utile risale al 12 giugno 2008, giacché quella precedente, datata 21 dicembre 2007, si riferirebbe ad operazioni diverse e ad altri soggetti.
Ma una tale contestazione non è utile ad escludere la rilevanza di questa prima comunicazione di notizia di reato. Ciò in quanto è la stessa società a riconoscere in ricorso che, in relazione alle importazioni relative all’ultimo semestre dell’anno 2005, «…la Dogana avrebbe potuto comunque operare la rettifica nei tre anni, in quanto l’Amministrazione era in possesso (con la notizia criminis, dalla stessa richiamata, del 21 dicembre 2007), degli elementi per effettuare le revisioni» (pag. 12): è irrilevante la prospettazione della comunicazione in questione, in parte diversa, offerta in memoria, che può illustrare e non modificare le deduzioni del ricorso.
Ne deriva che, in relazione alle sole bollette d’importazione del 2004, in relazione alle quali alla data del 21 dicembre 2007 era decorso il termine triennale, si era ormai maturata la decadenza allorquando l’amministrazione ha proceduto alle revisioni degli accertamenti funzionali all’avviso di rettifica.
3. – In relazione alle restanti importazioni, tuttavia, si evidenzia la fondatezza del terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., col quale la contribuente si duole della violazione degli art. 201 e 215 del reg. CE 2913/92 e degli art. 25 e 97 Cost., là dove il giudice d’appello ha escluso l’incompetenza per territorio dell’ufficio di Roma dell’Agenzia delle Dogane, benché diversa fosse la dogana dove si sono svolte le operazioni d’importazione.
3.1 – In relazione a fattispecie in tutto similare, riguardante operazioni anche in quel caso svoltesi con la s.p.a. C.I., questa Corte ha già avuto occasione di ribadire (Cass., ord. n. 22176/15) che, in tema di dazi e diritti doganali, l’accentramento presso un unico ufficio doganale delle pratiche relative alla revisione degli accertamenti effettuati da uffici diversi è possibile, in base ad un’interpretazione estensiva dell’art. 6 del d.P.R. n. 43 del 1973, solo in presenza di un apposito e motivato provvedimento del capo dell’unità territoriale sovraordinata, trattandosi di deroga al criterio generale secondo cui per l’accertamento delle violazioni doganali è territorialmente competente l’autorità presso cui è sorta l’obbligazione tributaria.
3.2. – Né può trovare applicazione il 9° co. dell’art. 11 del d.lgs. 374/00 (nel testo novellato dalla l. 26 aprile 2012, n. 44, che, in sede di conversione del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, ha introdotto il comma 3 decies dell’art. 9 del decreto), secondo cui «l’ufficio doganale che effettua le verifiche generali o parziali con accesso presso l’operatore è competente alla revisione delle dichiarazioni doganali oggetto del controllo anche se accertate presso un altro ufficio doganale».
A questa norma non si può difatti riconoscere il rango di norma d’interpretazione autentica.
Anzitutto, in generale, l’articolo 1, 2° co., della l. 212 del 2000 limita a casi eccezionali, in materia tributaria, l’emanazione di norme di interpretazione autentica, richiedendo, inoltre, che la natura interpretativa della disposizione risulti da un’espressa qualificazione legislativa (in termini, Cass. n. 24192/13), là dove, nel nostro caso, tale qualificazione manca nella norma in questione.
Ad ogni modo, valutando il contenuto precettivo della norma, per indagarne la natura, va osservato che essa non risponde al modello di norma d’interpretazione autentica, ravvisabile soltanto al cospetto di una norma diretta a chiarire il senso di quelle preesistenti, ovvero ad escludere o ad enucleare uno dei sensi tra quelli ragionevolmente ascrivibili alle norme interpretate (vedi, al riguardo, Cass., sez.un., n. 9941/09, secondo cui la norma di interpretazione autentica esprime l’intento del legislatore di imporre un determinato significato a precedenti disposizioni di pari grado, così da far regolare dalla nuova norma fattispecie sorte anteriormente alla sua entrata in vigore).
La norma in questione, invece, si presenta come un’ordinaria norma integrativa di quella preesistente, ed è pertanto diretta, come di regola, a disporre -in materia di competenza dell’autorità doganale-esclusivamente per l’avvenire, ai sensi dell’art. 11 delle preleggi (conf., tra varie, Cass. n. 8699/13).
3.3. – In definitiva, mancando nel caso in esame sinanche l’allegazione dell’esistenza di un tale provvedimento ed essendo indubitabile che l’autorità presso cui l’obbligazione tributaria è sorta non fosse quella di Roma, bensì quella di Genova, la censura d’incompetenza è fondata.
4. – L’accoglimento del secondo e del terzo motivo determinano l’assorbimento dei restanti, che riguardano il merito della controversia e comportano la cassazione della sentenza impugnata. Non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, il giudizio va deciso nel merito, con l’accoglimento dell’impugnazione originariamente proposta.
5. – Il recente consolidamento della giurisprudenza di legittimità induce a compensare le spese concernenti i gradi di merito.
Quelle riguardanti il giudizio di legittimità seguono, invece, la soccombenza.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo ed il terzo, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’impugnazione originariamente proposta. Compensa le spese inerenti al merito e condanna l’Agenzia a rifondere quelle riguardanti il giudizio di legittimità, che liquida in euro 10.000,00 per compensi, oltre al 15% per spese forfettarie ed oltre agli accessori.