CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 febbraio 2017, n. 4126

Cessione ramo di azienda – Sanzioni disciplinari – Licenziamento – Linea di produzione – Grave inadempimento

Fatti di causa

1. La Corte di Appello di Napoli, con la sentenza n. 1693 del 2013, depositata il 10 maggio 2013, rigettava l’impugnazione proposta da A. L. avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Napoli n. 25364 del 12 ottobre 2011, nel giudizio promosso dalla stessa lavoratrice nei confronti della R. T. s.p.a. e della I. s.p.a., cessionaria di ramo di azienda.

2. La L. aveva adito il Tribunale impugnando il licenziamento irrogatole con lettera del 23 luglio 2007, a seguito di lettera di contestazione del 12 luglio 2007, chiedendo che lo stesso fosse dichiarato illegittimo, con annullamento delle sanzioni disciplinari, con conseguente reintegra nel posto di lavoro e risarcimento del danno.

La contestazione aveva riguardato due distinti episodi:

il primo era avvenuto il 27 giugno 2007, e consisteva nel fatto che gli addetti (O. e P.) alle linee adiacenti a quella di pertinenza della L., su richiesta della stessa, avevano provveduto ad effettuare il carico di materia prima ed ad eseguire la relativa saldatura;

il secondo episodio riguardava il fatto che la L. in data 2 luglio 2007 avesse chiesto l’aiuto dei colleghi per il ripristino della lavorazione su entrambe le linee assegnatele; il P., incaricato, aveva riattivato una delle macchine (MT/4) ferma per rottura filo (operazione non gravosa), nonché altra macchina (MT/6) ferma per la sostituzione di quattro filiere. In questo caso, le operazioni di allentamento e serraggio delle filiere richiedevano sforzo fisico ma non pure lo smontaggio e il rimontaggio che pure erano state realizzate dal P., su richiesta della lavoratrice.

Successivamente, per tre volte la lavoratrice aveva chiesto aiuto al capoturno per riattivare la linea di produzione MT/6 ferma per normali cause lavorative, rientranti nelle sue ordinarie capacità lavorative.

Con la lettera di licenziamento la società R. T. faceva riferimento alla lettera di contestazione e alle giustificazioni addotte dalla L. ritenute inadeguate poiché non era stato contestato alla lavoratrice la non funzionalità delle macchine, ma la scarsa volontà, la non collaborazione, lo scarso rendimento di essa dipendente e soprattutto le accuse mendaci rivolte all’azienda.

Nella lettera di licenziamento, inoltre, venivano menzionati i provvedimenti disciplinari di sospensione avvenuti in precedenza:

il 23 giugno 2006 sospensione per tre giorni, assente visita di controllo;

il 15 novembre 2006 sospensioni tre giorni, per scarso rendimento;

il 22 dicembre 2006 sospensioni tre giorni, per produzione fuori tolleranza;

23 gennaio 2007 sospensione tre giorni, per richiesta di uscita anticipata per motivi personali, trasformata in infortunio.

Veniva quindi contestata recidiva ex articolo 25, comma h), disciplina generale del contratto collettivo nazionale di lavoro.

3. Il Tribunale rigettava le domande.

4. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre la lavoratrice prospettando tre motivi di ricorso.

5. Resistono con autonomi controricorsi le due società.

6. La I., in particolare, ha esposto di essere cessionaria del ramo di azienda relativo allo stabilimento della R. in Caivano trasferito il 1° luglio 2008, e quindi circa dopo un anno dalla cessazione del rapporto di lavoro tra la L. e la R., per cui tra essa I. e la L. non vi è stato alcun rapporto di lavoro.

7. In prossimità dell’udienza pubblica tutte le parti hanno depositato memoria.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotto il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Deduce la ricorrente che la Corte d’Appello rigettava l’impugnazione ritenendo che il grave inadempimento di essa lavoratrice dovesse essere ravvisato nella lettera di giustificazione della medesima del 16 luglio 2007 (rilevandosi che non solo non erano stati negati gli interventi in proprio aiuto, ma era stato ammesso che le operazioni di saldatura del filo, effettuate dagli altri lavoratori, non esorbitavano dalle proprie competenze), senza tuttavia considerare il complessivo contenuto della stessa, da cui si evinceva che l’intera vicenda rappresentava un momento normale dell’attività aziendale impostata sulla reciproca collaborazione tra colleghi di lavoro, con il coordinamento del capoturno (ponendo in rilievo nella lettera di giustificazioni che si era verificata la necessità della propria presenza presso due macchinari contemporaneamente, in ragione della vetustà delle apparecchiature, con rottura quasi contemporanea del filo di entrambi I macchinari e di quattro filiere sulla MT/6).

1.1. Il motivo deve essere dichiarato inammissibile, innanzitutto perché carente in relazione a quanto prescritto dall’art. 366, cod. proc. clv., atteso che nella specie tutta l’esposizione del motivo risulta generica, mancando l’Individuazione di “fatti” controversi in senso tecnico, nonché l’evidenziazione del carattere decisivo degli stessi (intesa come idoneità del vizio denunciato, ove riconosciuto, a determinare senz’altro una diversa ricostruzione del fatto, non come Idoneità a determinare la mera possibilità o probabilità di una ricostruzione diversa, v. Cass., sentenze n. 22979 del 2004 e n. 3668 del 2013).

Occorre rilevare, poi, che nel caso in esame, la sentenza impugnata è stata pubblicata dopo l’11 settembre 2012.

Trova dunque applicazione il nuovo testo dell’art. 360 cod. proc. clv., primo comma, n. 5, come sostituito dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lettera b), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, il quale prevede che la sentenza può essere impugnata per cassazione “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. A norma dell’art. 54, comma 3, del medesimo decreto, tale disposizione si applica alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione (pubblicata sulla G.U. n. 187 dell’11 agosto 2012).

Con la sentenza del 7 aprile 2014 n. 8053, le Sezioni Unite hanno chiarito che la riformulazione dell’art. 360 cod. proc. civ., primo comma, n. 5, disposta dal decreto-legge n. 83 del 2012, convertito dalla legge n. 134 del 2012, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.

Dunque, per le fattispecie ricadenti, ratione temporis, nel regime risultante dalla modifica dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., ad opera del decreto-legge n. 83 del 2012, il vizio di motivazione si restringe a quello di violazione di legge. La legge in questo caso è l’art. 132 cod. proc. civ., che impone al giudice di indicare nella sentenza “la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”. Perché la violazione sussista, secondo le Sezioni Unite, si deve essere in presenza di un vizio “così radicale da comportare con riferimento a quanto previsto dall’art. 132 cod. proc. civ., n. 4, la nullità della sentenza per mancanza di motivazione”. Mancanza di motivazione si ha quando la motivazione manchi del tutto, oppure formalmente esista come parte del documento, ma le argomentazioni siano svolte in modo “talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum”.

Ciò non ricorre nel caso in esame, atteso che il giudice del merito non ha preso in considerazione solo una parte della lettera di giustificazioni, come riportata in ricorso, ma le giustificazioni offerte dalla lavoratrice in maniera completa, rilevando che la L. si era giustificata riferendo che durante le operazioni di sostituzione non era rimasta inattiva, ma la stessa non aveva negato la ripetitività degli episodi, e alla contestazione di “scarsa volontà e preordinata negligenza nell’espletamento delle mansioni … e un rendimento della prestazione lavorativa inferiore al minimo accettabile” si era limitata ad opporre (come dedotto nell’odierno motivo di ricorso) la vetustà dei macchinari. Ciò, ha ritenuto la Corte d’Appello, non escludeva né l’inadempimento, né la gravità dello stesso, poiché la vetusta dei macchinari riguardava la generalità dei reparti e dei lavoratori, però solo nei confronti della L. ciò comportava significative interruzioni della prestazione anche in riferimento a guasti normalmente risolvibili e determinati dalle normali competenze del singolo addetto.

2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotto il vizio di violazione di legge (art. 5 della legge n. 604 del 1966, art. 7 dello Statuto dei lavoratori, artt. 2106 cc e 1175 cod. civ.).

Assume la ricorrente che le precedenti sanzioni disciplinari avevano formato oggetto di specifica impugnazione giudiziale, per cui nessuna saldatura poteva esservi tra le stesse e la contestazione disciplinare. Nessun accertamento era stato fatto circa le forme procedimentali degli addebiti come stabilito dalla legge e dalla contrattazione collettiva che prevede il criterio della proporzionalità delle sanzioni.

2.1. Il motivo è inammissibile sia per la genericità dello stesso, privo, peraltro, di qualsiasi riferimento circostanziato alla dedotta impugnazione delle precedenti sanzioni, che non supera il vaglio di autosufficienza, sia per la mancanza di indicazioni circa la tempestiva sottoposizione di tali doglianze al giudice di merito.

3. Con il terzo motivo di ricorso è dedotto difetto di motivazione.

La censura riguarda le precedenti sanzioni disciplinari indicate nella lettera di licenziamento, del cui vaglio da parte della Corte d’Appello, la ricorrente si duole prospettando, peraltro in modo generico, una propria diversa valutazione.

3.1. Il motivo è inammissibile, in ragione dei principi già richiamati nella trattazione del primo motivo di ricorso, atteso che la Corte d’Appello, con articolata motivazione richiamava le sanzioni di cui alla lettera di licenziamento vagliandole specificamente, e riteneva che dalla valutazione complessiva delle condotte contestate emergeva la proporzionalità tra la gravità dei fatti e il licenziamento irrogato.

4. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

5. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

6. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 -bis, dello stesso art. 13.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida in euro tremila per compensi professionali, euro duecento per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 per cento e accessori di legge per ciascuno dei controricorrenti.

Al sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per II versamento da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 -bis, dello stesso art. 13.