Incarico professionale – Residuo del compenso – Clausola arbitrale – Oggetto sociale
Svolgimento del processo
Con ricorso per decreto ingiuntivo del 18 marzo 1991 L.R. domandava al Tribunale di Brescia l’intimazione della B. s.r.l. (poi divenuta B. s.p.a.) al pagamento della somma di Lire 22.746.698 a titolo di residuo del compenso per incarico professionale come da contratto del 16 gennaio 1990. Emesso il decreto ingiuntivo n. 1318/1991 e proposta opposizione dalla B. s.p.a., la causa veniva decisa dal Tribunale di Brescia con sentenza del 21 marzo 2005, che dichiarava la nullità del contratto del 16 gennaio 1990 (non essendo stato lo stesso firmato dal Consiglio di Amministrazione della società B., né da esso deliberato, quanto, piuttosto, concluso da amministratore versante in eccesso di rappresentanza e al di fuori dell’oggetto sociale) e perciò revocava il decreto opposto. Proposto gravame da L.R., come anche, in via incidentale, dalla B. s.p.a., l’impugnazione principale veniva accolta dalla Corte d’Appello di Brescia con sentenza del 18 ottobre 2011, la quale confermava il decreto ingiuntivo opposto. La sentenza dapprima superava l’eccezione di arbitrato, in quanto la clausola compromissoria, ivi trascritta, contemplava una deroga alla competenza dell’autorità giudiziaria soltanto per le controversie circa l’interpretazione del contratto. La Corte di merito affermava che il contratto di assistenza professionale del 16 gennaio 1990 era stato firmato da A. B., il quale, in quanto consigliere delegato, aveva, in base alla documentazione prodotta, i poteri necessari per rappresentare la società B., senza che occorresse alcuna delibera del Consiglio di amministrazione. La Corte di Brescia evidenziava altresì che il contratto di assistenza professionale che incaricava il R. rientrasse nell’oggetto sociale, essendo lo stesso professionista, peraltro, già da anni consulente commerciale e fiscale della società B.. I giudici d’appello negavano poi, quanto all’appello incidentale, il conflitto di interessi affliggente il contratto, per essere il R. componente del Consiglio d’Amministrazione della società B., in quanto il rappresentante A. B. aveva agito contrattualmente per garantire alla società un’assistenza costante sotto il profilo fiscale e commerciale. La Corte di Brescia escludeva altresì la configurabilità di un contratto con se stesso, essendo il R. privo di poteri rappresentativi della società, come di un motivo illecito ex art. 1345 c.c.
La B. s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, mentre L.R. resiste con controricorso ed ha presentato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo del ricorso della B. s.p.a. denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 e 1367 c.c. e l’omessa motivazione. Viene contestata la lettura della clausola compromissoria prescelta dalla Corte di Brescia, secondo la quale detta clausola si riferiva soltanto alle controversie “circa l’interpretazione del presente contratto”, mentre la lite in esame concerneva la contestazione della sua validità ed efficacia. La società ricorrente evidenzia, allora, come l’azione introdotta dal R. in sede monitoria e le conseguenti eccezzioni mosse nel giudizio di opposizione avessero ad oggetto unicamente l’adempimento del contratto. Il motivo di ricorso censura pure il senso che la Corte di Brescia ha inteso dare all’espressione contenuta nella clausola compromissoria quanto alle controversie “circa l’interpretazione del presente contratto”, sostenendo che essa comprendesse tutte le vicende negoziali e quindi anche le cause relative all’adempimento. Si consiglia anche di propendere per un’interpretazione meno restrittiva della clausola, agli effetti dell’art. 1367 c.c.
Il secondo motivo di ricorso denuncia ancora la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 e 1367 c.c. e l’omessa motivazione. Vengono riprese considerazioni già svolte nel primo motivo per concludere che la domanda era improponibile siccome devoluta in arbitrato.
I.1. Il primo ed il secondo motivo di ricorso, che possono essere esamini nati congiuntamente giacché sovrapponibili nei loro contenuti, sono del tutto privi di fondamento.
Va premesso che, in tema di interpretazione di una clausola arbitrale, l’accertamento della volontà degli stipulanti in relazione al contenuto del negozio si traduce in un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito. Ne consegue che detto accertamento è censurabile in sede di legittimità solo nel caso in cui la motivazione sia così inadeguata da non consentire la ricostruzione dell’ “iter” logico seguito da quel giudice per giungere ad attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto oppure nel caso di violazione di norme ermeneutiche (Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 4919 del 27/03/2012; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5549 del 19/03/2004).
Alcuna violazione di norme ermeneutiche ed alcuna incoerenza logica è attribuibile alla Corte d’Appello di Brescia. La clausola compromissoria relativa alle sole controversie sull’interpretazione di un contratto (che sono quelle che implicano l’accertamento della volontà delle parti, in relazione al contenuto del negozio) non ricomprende evidentemente nel suo ambito di applicazione tutte le controversie comunque aventi “causa petendi” nel contratto medesimo, ovvero, nella specie, le domande di adempimento delle prestazioni contrattuali, in quanto attinenti, piuttosto, alla fase esecutiva del contratto, ovvero all’accertamento dell’inottemperanza delle parti rispetto alle obbligazioni assunte.
Si afferma, peraltro, che, poiché il deferimento di una controversia al giudizio degli arbitri comporta una deroga alla giurisdizione ordinaria, in caso di dubbio in ordine alla interpretazione della portata della clausola compromissoria, deve preferirsi un’interpretazione restrittiva di essa e affermativa della giurisdizione statuale, riconoscendosi non rientrare la domanda in contestazione nell’ambito della materia rimessa agli arbitri (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 22841 del 30/10/2007; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8575 del 26/04/2005).
II. Il terzo motivo del ricorso della B. s.p.a. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 2487, 2384 e 2384 – bis c.c.La ricorrente contesta che il contratto di assistenza professionale del 16 gennaio 1990 costituisse operazione di ordinaria amministrazione, stante il suo importo pari a Lire 50.000.000, ovvero atto rientrante nell’oggetto sociale.
Il motivo è infondato.
La Corte d’Appello di Brescia, nell’ambito dell’apprezzamento delle risultanze documentali spettanti al giudice del merito, e sindacabile in sede di legittimità soltanto nei limiti dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., ha accertato che il contratto di assistenza professionale del 16 gennaio 1990 era stato firmato da A. B., quale consigliere delegato, avente, perciò, i poteri necessari per rappresentare la società B., senza che occorresse alcuna delibera del Consiglio di amministrazione. La Corte di Brescia ha evidenziato altresì come il contratto di assistenza professionale, che incaricava il R., rientrasse nell’oggetto sociale, trattandosi di prestazioni di consulenza commerciale e fiscale che già da vari anni il professionista svolgeva per la società B..
Il ragionamento della Corte d’Appello non può essere censurato in questa sede.
Del resto, in tema di poteri di rappresentanza dell’amministratore di una società a responsabilità limitata, il conferimento di un incarico professionale di consulenza fiscale e commerciale, costituisce, di regola, atto di ordinaria amministrazione – ovvero comunque atto coerente con l’oggetto societario giacché esecutivo dell’attività imprenditoriale – , e perciò rientra nei poteri rappresentativi degli amministratori, ai sensi dell’art. 2384 c.c., nel testo, applicabile “ratione temporis”, anteriore al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6. Né la ricorrente fa specifico riferimento a limitazioni del potere rappresentativo del Presidente della società, consigliere delegato A. B., risultanti dall’atto costitutivo o dallo statuto ed opponibili ai terzi, alla stregua dell’ art. 2384 c.c.
III. Il quarto motivo del ricorso della B. s.p.a. denuncia la nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia, nonché il difetto di motivizione, sull’eccepita nullità per mancanza di causa del contratto di assistenza professionale del 16 gennaio 1990, in quanto con esso si riconosceva al R. un compenso pur in assenza di espletamento di qualsiasi prestazione, ovvero per la sola messa a disposizione della società.
Il motivo è infondato, in quanto la Corte d’Appello ha implicitamente disatteso l’eccezione di nullità del contratto per difetto di causa, affermando che lo stesso fosse volto a realizzare l’interesse della società ad avere un’assistenza continuativa e costante dal punto di vista fiscale e commerciale attraverso la consulenza del R.. Deve ravvisarsi in tale affermazione una statuizione implicita di rigetto della dedotta nullità, in quanto questa risulta incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia della Corte di Brescia.
Non è, del resto, essenziale, ai fini della configurabilità di un valido contratto di consulenza professionale, che lo stesso si riveli, ex post, consistente in un’effettiva reiterazione di incarichi e di pareri commessi al professionista dalla committente, per proprie esigenze organizzative o imprenditoriali, nell’arco temporale di durata del rapporto, potendo essere oggetto di remunerazione anche l’obbligo assunto dal professionista di mantenere nel tempo la messa a disposizione delle proprie competenze per le esigenze della medesima committente.
IV. Consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, vengono regolate secondo soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi € 2.700,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.