CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 gennaio 2018, n. 853
Cameriere ai piani e facchini – Procedura di “terziarizzazione” – Mobilità – Presunta nullità e/o illegittimità della procedura – Difetto di autosufficienza
Svolgimento del processo
W.B. e gli altri nove colleghi indicati in epigrafe, impugnavano il licenziamento loro intimato dall’Hotel P.S. s.r.l., con decorrenza 30.11.11, esponendo: a) che erano cameriere ai piani e “facchini” inseriti nel reparto Housekeeping, che la società convenuta aveva deciso di ‘Terziarizzare’ salvo mantenere alle proprie dipendenze tutte le ‘governanti’ dello stesso reparto, avviando a tale scopo, con lettera 29.10.10, la procedura prevista dal c.c.n.I. Federalberghi; b) che senza neppure terminare la suddetta procedura, la società aveva avviato la procedura di mobilità prevista dalla L. n.223/91, con lettera datata 22/12/10, la cui prima fase – “sindacale” – si era conclusa il 16.2.11 con un verbale di mancato accordo, come comunicato dal datore all’Agenzia Regionale Lavoro con lettera 18.2.11, di richiesta della convocazione delle parti per la fase “amministrativa” della procedura; c) che, tuttavia, questa fase non si era svolta, avendo la società e le oo.ss. raggiunto un accordo in data 28.2.11, che prevedeva l’esubero di 83 “cameriere ai piani” e “f.”, cui era data la possibilità di essere assunti dalla società appaltatrice; d) che con lettera 8.4.11, la società comunicava il licenziamento a 83 cameriere ai piani e facchini, tra cui i 10 ricorrenti, che lo impugnavano con lettera 25.5.11.
Ciò premesso in fatto, i ricorrenti deducevano la nullità e/o illegittimità della procedura per: 1) insussistenza dei presupposti della procedura e violazione dell’art. 24, comma 1, in relazione agli artt. 4 e 5 della legge 223/91; nullità della procedura di “terziarizzazione” e, conseguentemente, della procedura e dei licenziamenti, anche per illiceità della causa e frode alla legge, ex art. 1343-1344 c.c.; 2) violazione della procedura e segnatamente dell’art. 4, commi 5, 6, 7, 9 e 12, nonché dell’art. 5, comma 3, della L. n. 223/91, chiedendo la reintegra nel loro posto di lavoro ed il risarcimento del danno.
Il Tribunale respingeva le domande. Avverso tale sentenza proponevano appello i lavoratori. Resisteva la società.
Con sentenza depositata il 6.10.15, la Corte d’appello di Milano respingeva il gravame.
Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso i lavoratori, affidato a tre motivi. Resiste la società con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e\o falsa applicazione degli artt. 24, comma 1, e 1bis e 2 della L. n. 223\91. Deducono che il licenziamento collettivo presuppone una causale non connessa con la persona del lavoratore, quanto piuttosto una modifica dell’organizzazione produttiva comportante una soppressione di uffici, reparti, lavorazioni oppure soltanto la necessità di ridurre la forza lavoro. Lamentano che nella specie venne applicata la procedura di cui alla L. n. 223\91 pur in presenza di semplici licenziamenti individuali, camuffati come collettivi.
Il motivo è in parte inammissibile per difetto di autosufficienza e per il resto infondato.
Ed invero i ricorrenti si limitano ad accennare a supposte causali illecite della riduzione di personale de qua (assenteismo, difficoltà di reperire personale nei turni serali) di cui ad un non meglio chiarito “Incontro 1° dicembre 2010”, peraltro neppure prodotto in contrasto con l’art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c., senza inoltre chiarire il contenuto, ben più rilevante, dell’accordo raggiunto con le oo.ss. il 28.2.11, che prevedeva l’esubero di 83 “cameriere ai piani” e “facchini”, deducendo infine che la vicenda si concluse con l’affidamento ad una cooperativa esterna (la ‘E.’) dei lavori di housekeeping svolti prima dai ricorrenti.
Tale ipotesi potrebbe configurare una cessione del servizio a società esterna, consentita dall’ordinamento in assenza di una effettiva prova circa il suo carattere elusivo o discriminatorio, e tuttavia nella specie la società ha invece provveduto al licenziamento dei dipendenti nel rispetto, in mancanza di prova contraria, della procedura di cui alla L. n. 223\91, ove è insindacabile la sussistenza dei presupposti fattuali del licenziamento, non necessitando il licenziamento collettivo di una crisi aziendale e neppure di un ridimensionamento strutturale, essendo legittimo anche in caso di sola riduzione della forza lavoro (tanto da comportare la trasformazione del controllo di legittimità da un sindacato ex post basato sull’effettivo ridimensionamento dell’impresa, rimanendo piuttosto insindacabili le scelte imprenditoriali, ad un controllo ex ante sulla correttezza della procedura devoluto innanzitutto alle oo.ss. ed ai soggetti pubblici ivi indicati, ex plurimis, Cass. n. 4177/15).
I ricorrenti, che peraltro deducono promiscuamente sia l’esistenza di una esternalizzazione, sia di un appalto di servizi, sia del licenziamento collettivo, non chiariscono quali siano i vizi della procedura di legge ed in particolare dei criteri di scelta adottati, non consentendo a questa Corte di valutare la legittimità dei recessi in questione.
Una volta effettuati legittimamente i licenziamenti, nulla impedisce all’imprenditore di affidare (parte, come evidenziano i ricorrenti a pag. 14 dell’attuale ricorso, de) il servizio cui erano addetti i lavoratori licenziati ad altra impresa, decidendo in sostanza di non voler più gestire personalmente un certo servizio o reparto, ma di affidarlo ad una impresa terza.
2. – Con secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 1343-1344 c.c., oltre alla violazione del c.c.n.I. Federalberghi in materia di appalto di servizi, oltre a carenza motivazionale della sentenza impugnata.
Lamentano ancora che “sotto le mentite spoglie di una ‘esternalizzazioné si celano 89 licenziamenti individuali”, peraltro basati su motivi illeciti, come dedotto sub 1), e dunque un contratto in frode alla legge.
Il motivo, che risulta in parte infondato per le considerazioni svolte sub 1 (i ricorrenti si dolgono in sostanza della illegittimità dei licenziamenti), è sostanzialmente inammissibile per difetto di autosufficienza, non avendo i ricorrenti chiarito i termini del dedotto appalto, né prodotto il relativo contratto (da cui risulterebbe l’illiceità dell’operazione) in violazione dell’art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c.; per non avere prodotto il c.c.n.I. invocato; ancora per lamentare, senza adeguato supporto deduttivo e senza indicare con sufficiente grado di specificità le prove fornite a sostegno dell’assunto, l’intento illecito e discriminatorio dei licenziamenti in questione. I ricorrenti, infine, non chiariscono quale sarebbe il negozio in frode alla legge (la procedura di licenziamento collettivo; l’accordo a conclusione di esso raggiunto con le oo.ss.; l’affidamento del reparto housekeeping ad impresa esterna, etc.). Va poi da sé che la prova della dedotta frode grava su chi la invoca, nella specie i lavoratori, che al riguardo si sono limitati, anche nella fase dei merito, a dedurre i fatti storici della vicenda, sia pur alludendo a (provandi) profili di illiceità.
3. – Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, oltre alla violazione dell’art. 4 L. n. 223/91.
Lamentano che seppure la procedura di cui all’art. 4 cit. si era ‘apparentemente’ svolta in modo regolare, le oo.ss. sindacali che avevano stipulato con l’azienda l’accordo del 28.2.11 non erano mai state autorizzate dai ricorrenti a ciò, mostrandosi essi anzi esplicitamente contrari.
Il motivo è infondato in quanto le oo.ss. coinvolte nella procedura di cui alla L. n. 223/91, ed in particolare al suo art. 4, sono autorizzate dalla legge alla partecipazione alle trattative ed all’eventuale stipula di un accordo a conclusione della stessa, senza che possa invocarsi il consenso o meno dei lavoratori, tanto meno la loro contrarietà al licenziamento.
4. – Il ricorso deve essere pertanto rigettato. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi, €.6.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115\02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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