CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 gennaio 2018, n. 854
Licenziamento disciplinare – Richiesta del lavoratore di essere sentito a sua difesa – Rispetto del principio del contraddittorio e dell’iter disciplinare – Semplice e globale riesame della sentenza di merito – Ricorso inammissibile
Fatti di causa
La Corte d’Appello di Napoli con sentenza resa pubblica il 10/12/2015, in riforma della sentenza di primo grado, accoglieva la domanda proposta da A.A.G.L. nei confronti della A.A. s.p.a. intesa a conseguire la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare intimatogli in data 1/8/2008 per aver inserito nel sistema di rilevazione presenze, in qualità di addetto al Centro Raccolta Giustificativi, alcuni permessi di varia natura da lui fruiti in assenza della relativa autorizzazione.
A fondamento del decisum, la Corte distrettuale poneva la assorbente considerazione – ritenuta incontestata e facilmente evincibile dalla documentazione acquisita agli atti – secondo cui la società non aveva dato alcun seguito alla richiesta del lavoratore di essere sentito a sua difesa formulata nella lettera di giustificazioni, rimarcando al riguardo la essenzialità e piena funzionalità dell’obbligo datoriale di sentire il dipendente, al rispetto del principio del contraddittorio e di procedimentalizzazione dell’iter disciplinare.
Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione la società affidato a due motivi, illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c. tardivamente depositata il 9 ottobre 2017.
Resiste con controricorso l’intimato.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art.434 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma primo n.3 c.p.c. nonché dell’art. 112 c.p.c. ex art. 360 comma primo n.4 c.p.c..
Lamenta che la Corte distrettuale si sia pronunciata in ordine alla violazione dei dettami di cui all’art. 7 L. 300/70 nonostante la mancanza di uno specifico motivo di impugnazione.
2. La censura non è meritevole di accoglimento.
Occorre premettere, per un ordinato iter motivazionale, che muovendo da consolidati approdi dottrinari, questa Corte con risalente insegnamento, è pervenuta alla qualificazione dell’appello quale mezzo di gravame che introduce una fase del processo nella quale il giudizio può venire rinnovato non quale semplice e globale riesame della sentenza di primo grado, ma come un nuovo esame della causa nei limiti delle specifiche censure contenute nella domanda di appello; una revisio prioris istantiae, dunque, e non più un novum iudicium (in tal senso ex plurimis, vedi in motivazione, Cass. SU 29/1/2000 n.16, Cass. 28/05/2003 n. 8501, Cass. 2/12/2005 n. 26271 e, di recente, Cass. SU 8/2/2013 n.3033, Cass. 9/6/2016 n.11797).
3. L’esigenza di specificità del motivo di appello, trasfusa nei dettami di cui all’art. 342 c.p.c. (nella versione di testo anteriore alla novella di cui all’art. 54 comma 1 del d.l. 22/6/2012 n.83 convertito nella L. 7/8/2012 n.134), è stata, quindi, oggetto, in questa sede di legittimità, di una esegesi priva di peculiari contrasti, essendosi ritenuto che detto onere deve ritenersi assolto quando, anche in assenza di una formalistica enunciazione, le argomentazioni contrapposte dall’appellante a quelle esposte nella decisione gravata siano tali da inficiarne il fondamento logico giuridico (in tali sensi vedi Cass.18/9/2015 n.18307). E’ stato in particolare precisato che il requisito della specificità dei motivi, di cui all’art. 342 cod. proc. civ., deve ritenersi sussistente, secondo una verifica da effettuarsi in concreto quando l’atto di impugnazione consenta di individuare con certezza le ragioni del gravame e le statuizioni impugnate, sì da consentire al giudice di comprendere con certezza il contenuto delle censure ed alle controparti di svolgere senza alcun pregiudizio la propria attività difensiva, mentre non é richiesta né l’indicazione delle norme di diritto che si assumono violate, né una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’impugnazione (cfr. Cass. 23/10/2014 n.22502).
4. A seguito della modifica introdotta dall’art. 54 d.l. n. 83/2012, il nuovo testo dell’art. 342 c.p.c. – applicabile alla fattispecie qui scrutinata, perché introdotta con atto di appello depositato in data posteriore al trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della L. 134/2012 – esige che l’appello indichi le parti del provvedimento che si intende appellare, le modifiche richieste alla ricostruzione del fatto, la indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione di legge e la rilevanza di tali circostanze ai fini della decisione impugnata.
Detta disposizione è stata di recente interpretata da questa Corte, in dissonanza rispetto ad alcuni orientamenti emersi in sede dottrinaria, nel senso che il testo dell’art. 342 c.p.c. novellato, non esiga dall’appellante la formulazione di “alcun progetto alternativo di sentenza”, né la trascrizione integrale o parziale della sentenza appellata o alcun particolare formalismo, postulando, invece, la chiara ed inequivoca indicazione delle censure che intende muovere alla sentenza appellata, tanto in punto di ricostruzione dei fatti, quanto in punto di diritto, nonché degli argomenti che intende contrapporre a quelli adottati dal giudice di primo grado a sostegno della decisione (vedi in tali sensi, Cass. 3 0 sez. civ. 5/5/2017 n. 10916).
5. Con riferimento all’art. 434, primo comma, c.p.c. in coerenza con il paradigma generale contestualmente introdotto nell’art. 342 cod. proc. civ., questa Corte aveva, del pari, affermato che la disposizione non richiedeva che le deduzioni della parte appellante assumessero una determinata forma o ricalcassero la decisione appellata con diverso contenuto, ma imponeva al ricorrente in appello di individuare in modo chiaro ed esauriente il “quantum appellatum”, circoscrivendo il giudizio di gravame con riferimento agli specifici capi della sentenza impugnata nonché ai passaggi argomentativi che la sorreggevano e formulando, sotto il profilo qualitativo, le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice, sì da esplicitare la idoneità di tali ragioni a determinare le modifiche della decisione censurata. (in tali sensi vedi Cass. civ. sez. lav. 5/2/2015 n.2143).
6. Alla luce degli enunciati principi ed in continuità con i cennati dicta giurisprudenziali, si ritiene che la pronuncia impugnata sia esente dai vizi denunciati.
Invero, alla stregua della lettura degli atti conseguente alla proposizione di una censura correttamente formulata con riguardo all’art.360 n.4 c.p.c. che investe il giudice di legittimità di tale potere di esame diretto degli atti e documenti sui quali il ricorso si fonda, si evince la manifestazione di volontà dell’appellante, di censurare lo specifico capo di sentenza con il quale il giudice di prime cure aveva disatteso “l’eccezione di nullità del licenziamento per mancata audizione del ricorrente richiesta nella lettera di giustificazioni”.
Benchè non inserito in una autonoma enunciazione del motivo, a pag. 3 del ricorso in appello, il ricorrente deduceva di aver “ribadito e giustificato e impugnato la contestazione oppostagli, chiedendo di essere ascoltato, contrariamente a quanto assunto dal Giudice di prime cure, che ha ritenuto non chiara la richiesta di audizione a fronte delle seguenti testuali parole…il nostro cliente chiede di essere ascoltato. Probabilmente, non essendo stato ribadito il concetto ogni periodo, esso è stato ritenuto equivoco ma non pare che la giurisprudenza richieda una convulsa ripetizione di concetti, ovvero una formula sacramentale senza la quale l’istanza non sia accoglibile né valida”.
Inoltre, pur nel contesto del terzo motivo intitolato “nullità ed annullabilità della sentenza per omessa valutazione dei fatti che avrebbero acclarato la sproporzione del recesso ad nutum” a pag. 33 il L., facendo leva su talune pronunce della giurisprudenza di legittimità, aveva dedotto : “ed il ricorrente aveva chiesto nelle proprie giustificazioni, di essere sentito e di certo con tanti documenti a supporto, certamente non tratta vasi di audizione dilatoria e defatigatoria”.
Nella fattispecie in esame, l’esito dello scrutinio dell’atto di appello non consente, dunque, di rilevare l’inammissibilità del gravame perché, oltre ad essere stata manifestata la volontà dell’appellante di impugnare specifici capi della sentenza gravata, risulta svolta anche una parte argomentativa che, contrapponendosi alla motivazione della pronuncia impugnata, mirava ad incrinarne il fondamento logico-giuridico.
Conclusivamente, la censura, per le suesposte considerazioni, va rigettata.
7. Con il secondo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 7 L. 300/70 in relazione all’art. 360 comma primo n.3 c.p.c. nonché omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti ex art. 360 comma primo n.5 c.p.c.. Ci si duole della esegesi della lettera di giustificazioni inviata dal L., in cui la richiesta di audizione, diversamente da quanto argomentato dai giudici del gravame, era assolutamente ambigua ed incerta, non potendosi pertanto, dalla stessa evincere la violazione dell’obbligo di ascoltare il lavoratore a sua difesa.
8. Anche tale censura va disattesa.
La Corte intende dare continuità all’indirizzo già espresso in questa sede di legittimità secondo cui il datore di lavoro che intenda adottare una sanzione disciplinare nei confronti del dipendente non può omettere l’ audizione del lavoratore incolpato che ne abbia fatto espressa ed inequivocabile richiesta contestualmente alla comunicazione – nel termine di cui all’art. 7, quinto comma, della legge 20 maggio 1970 n. 300 – di giustificazioni scritte, anche se queste appaiano già di per sé ampie ed esaustive. Queste ultime, infatti, per il solo fatto che si accompagnino alla richiesta di audizione, sono ritenute dal lavoratore stesso non esaustive e destinate ad integrarsi con le giustificazioni ulteriori che lo stesso fornisca :n sede di audizione (vedi Cass. 22/3/2010 n.6845 cui adde in termini, Cass, 9/1/2017 n.204 ed, in generale, sull’obbligo della audizione in caso di espressa richiesta del lavoratore, Cass.16/10/2013 n. 23528).
In tal senso, la pronuncia impugnata, che all’esito dello scrutinio della lettera di giustificazioni ha ravvisato “la chiara volontà del lavoratore di essere sentito” si colloca nel solco del richiamato orientamento, onde resiste alla censura all’esame.
In definitiva, al lume delle sinora esposte considerazioni, il ricorso è respinto.
Il governo delle spese del presente giudizio segue il principio della soccombenza nella misura in dispositivo liquidata.
Si dà atto, infine, della sussistenza delle condizioni richieste dall’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, per il versamento da parte ricorrente, a titolo di contributo unificato, dell’ulteriore importo pari a quello versato per il ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art.13 comma 1 quater d.p.r. n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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