CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 ottobre 2017, n. 24360
Associazione di volontariato – Ordinanze ingiunzioni emesse dalla DPL – Lavoratori volontari ritenuti subordinati – Violazione della L. n. 241/1990 – Determinatezza e motivazione del provvedimento sanzionatorio – Difetto – Insostenibilità logica in relazione ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio risultante dagli atti
Fatti di causa
Con sentenza n.1853/2011 la Corte d’Appello di Napoli ha rigettato l’appello proposto dalla C. di M. di C. – associazione di volontariato svolgente l’attività di coordinamento trasporto infermi in emergenza sulla base di convenzione pubblica con l’azienda ospedaliera di Caserta – avverso la pronuncia che aveva respinto la sua opposizione contro due ordinanze ingiunzioni, emesse dalla DPL competente, per ottenere il pagamento di sanzioni amministrative (nella misura di € 8.687,82 e di € 21.071,82), a seguito dell’accertamento di violazioni alla normativa sul lavoro, in relazione a taluni lavoratori volontari impiegati nell’attività di servizio ma ritenuti subordinati all’esito di accertamenti ispettivi.
A fondamento della decisione la Corte riteneva per un verso l’esistenza nei fatti degli estremi del rapporto di lavoro subordinato degli associati, dissimulato sotto il rapporto di volontariato, atteso che essi ricevevano ordini dai responsabili dei servizi ai quali erano addetti (ovvero medici del 118 e personale sanitario del presidio ospedaliero); percepivano un rimborso spese fisso per ogni turno di servizio; effettuavano una prestazione articolata sulla base della disponibilità al fine di assicurare la continuità del servizio; firmavano i fogli presenza all’inizio del turno; risultavano estranei al contesto organizzativo della Confraternita; ricevevano un compenso fisso e determinato sulla base delle ore lavorate; e che alcuni di essi sino a poco tempo prima dell’affidamento della convenzione alla Confraternita erano veri e propri dipendenti della medesima.
Sotto altro aspetto la Corte d’appello rilevava l’infondatezza dei motivi di appello riferiti alla indeterminatezza della misura della sanzione inflitta e alla decadenza dal potere di contestazione “attesa la perfetta e chiara rispondenza al dettato legislativo degli accertamenti eseguiti dall’autorità amministrativa preposta” impugnati senza adeguate e specifiche contestazioni e con osservazioni critiche prive di supporti normativi.
Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Confraternita di Misericordia di Caivano con sei motivi di censura ai quali ha resistito la DPL di Caserta con controricorso.
Ragioni della decisione
1. – Con il primo motivo la Confraternita di Misericordia di Caivano denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio (art. 360 n. 5 c.p.c.); la violazione e falsa applicazione dell’articolo 3, comma 1 della legge 241/90 e successive modifiche; la violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c. (articolo 360 comma 1, n. 3 c.p.c.), per avere la Corte d’appello ritenuto infondato il motivo di appello relativo all’indeterminatezza dell’ordinanza ingiunzione ed al calcolo della sanzione inflitta, risultante priva di base di computo e di conteggi analitici, riferendo contraddittoriamente lo stesso motivo alla misura della sanzione che invece indeterminata non era.
Il primo motivo di ricorso è infondato atteso che la sentenza impugnata non viola in diritto la legge 241/1990 in relazione alla determinatezza ed alla motivazione del provvedimento sanzionatorio, anche in relazione al calcolo della sanzione. Mentre in relazione al difetto di motivazione il ricorso non denuncia alcun vizio relativo ad un fatto controverso e decisivo (principale o secondario) ovvero di tale portata da far risultare inammissibile sul piano logico la sua pretermissione. E’ noto in proposito che ai fini dell’esistenza del vizio logico denunciarle in Cassazione ex art. 360 n. 5 c.p.c. non è sufficiente una contraddizione o una mera insufficienza della sentenza ma occorre l’insostenibilità logica in relazione ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio risultante dagli atti.
2. – Con il secondo motivo il ricorso denuncia la violazione dell’articolo 112 c.p.c.; l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio (articolo 360 comma 1, numero 3 e 5 c.p.c.), in quanto la sentenza impugnata non conteneva alcun riferimento all’eccezione riproposta in appello relativa alla violazione dell’articolo 23, comma 12 della legge 689 del 1981 il quale prevede che l’opposizione all’ordinanza ingiunzione debba essere accolta quando non vi sono prove sufficienti della responsabilità dell’opponente.
Il secondo motivo è infondato in quanto anche sul punto la valutazione della Corte di Appello non è contraria al diritto ed alla regola di giudizio indicata, atteso che la sentenza impugnata non sostiene certo che l’insufficienza della prova debba condurre al rigetto dell’opposizione all’ordinanza ingiunzione. La Corte, invece, non ha considerato l’applicazione della norma avendo ritenuto, secondo il proprio giudizio, l’esistenza di prove sufficienti per affermare la responsabilità della ricorrente. La motivazione è senz’altro sussistente, non si ravvisano le insufficienze lamentate, né infine sono riscontrabili incongruenze in relazione a fatti decisivi.
3. – Con il terzo motivo il ricorso deduce la violazione falsa applicazione dell’articolo 14 comma 12 della legge 689 del 1981 nonché l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (articolo 360 comma 1, numero 3 e 5 c.p.c.) in quanto il giudice d’appello , come lo steso giudice di primo grado, era venuto meno all’obbligo giuridico di esaminare le prove proposte dall’opponente ed aveva ignorato le istanze istruttorie formulate nell’atto di appello (acquisizione di verbali delle deposizioni dei testi nella causa numero 10148/2002 innanzi al tribunale di Napoli; ammissione delle prove dedotte sui capitoli specificamente indicati) fondando la propria decisione soltanto sulle prove fornite dall’amministrazione, (consistenti nelle dichiarazioni sottoscritte in sede ispettiva da alcuni volontari e trascurando le dichiarazioni contrarie che avevano confermato le deduzioni dell’opponente); prove che tutti gli altri giudici del lavoro, i quali si erano occupati delle cause proposte individualmente da alcuni associati, avevano sconfessato e ritenuto inidonee a comprovare i rapporti di lavoro subordinati in questione sulla base dell’istruttoria da essi svolta.
4. – Con il quarto motivo il ricorso solleva la violazione e falsa applicazione dell’articolo 14 comma 2 della legge 689/1981, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio (articolo 360 comma 1, numero 3 e 5 c.p.c.) in quanto la Corte d’appello aveva dichiarato infondata l’eccezione di decadenza in relazione al termine di 90 giorni previsto dalla legge per notificare gli estremi della violazione, adottano una motivazione finta o apparente.
Il quarto motivo è infondato atteso che la sentenza non afferma nulla in contrasto con quanto disposto dall’art. 14 legge 689/1981 sul termine entro cui deve avvenire la notifica della violazione, né sostiene che il relativo dies a quo non decorra dall’accertamento in base a quanto previsto dalla norma. In proposito va tenuto conto che secondo la giurisprudenza di questa Corte “In tema di sanzioni amministrative, nel caso di mancata contestazione immediata della violazione, l’attività di accertamento dell’illecito non coincide con il momento in cui viene acquisito il “fatto” nella sua materialità, ma deve essere intesa come comprensiva del tempo necessario alla valutazione dei dati acquisiti ed afferenti agli elementi (oggettivi e soggettivi) dell’infrazione e, quindi, della fase finale di deliberazione correlata alla complessità delle indagini tese a riscontrare la sussistenza dell’infrazione medesima e ad acquisire piena conoscenza della condotta illecita sì da valutarne la consistenza agli effetti della corretta formulazione della contestazione; compete, poi, al giudice di merito determinare il tempo ragionevolmente necessario all’Amministrazione per giungere a una simile, completa conoscenza, individuando il “dies a quo” di decorrenza del termine, tenendo conto della maggiore o minore difficoltà del caso concreto e della necessità che tali indagini, pur nell’assenza di limiti temporali predeterminati, avvengano entro un termine congruo essendo il relativo giudizio sindacabile, in sede di legittimità, solo sotto il profilo del vizio di motivazione” (sentenza 12830/2006).
La denuncia del vizio di motivazione non è invece correlata nel ricorso ad alcun fatto controverso e decisivo e deve essere quindi disattesa.
5. – Con il quinto motivo il ricorso denuncia l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio e la violazione e falsa applicazione dell’articolo 342 e 112 c.p.c. (articolo 360 comma 1, numero 3 e 5 c.p.c.) per aver la Corte d’appello sostenuto che le contestazioni sollevate in appello fossero generiche, prive di riscontri e supporti normativi, violando il principio secondo cui “iura novit curia”.
6. – Con il sesto motivo il ricorso denuncia l’omessa insufficiente contraddittoria motivazione su fatti controversi decisivi per il giudizio (in relazione all’articolo 360 comma 1 numero 5 c.p.c.) avendo la Corte ritenuto la sussistenza degli estremi costitutivi del rapporto di lavoro subordinato facendoli discendere esclusivamente dalla valutazione compiuta dagli ispettori e con argomentazioni che si attagliano ugualmente ad un rapporto di collaborazione o di occasionale prestazione d’opera.
7. I motivi di ricorso terzo, quinto e sesto possono essere esaminati unitariamente per la connessione che il collega. Essi devono essere accolti nei limiti delle seguenti osservazioni.
La Corte di appello allo scopo di ritenere esistente il rapporto di lavoro subordinato degli associati ha valorizzato alcuni elementi contradditori e non decisivi ai fini dell’art. 2094 c.c. (come l’entità del compenso corrisposto, la disponibilità da parte degli associati di effettuare un lavoro in turni, la natura subordinata di rapporti precedenti) ed ha pure sostenuto che la subordinazione potesse evincersi dalla soggezione dei lavoratori dalle direttive impartite dai medici e responsabili dei servizi sanitari: senza spiegare in che cosa esse si sostanziassero, in che termini tali direttive potessero divergere da quelle impartite ad un volontario adibito al medesimo servizio di trasporto di infermi, come le direttive in questione potessero fondare il rapporto di subordinazione pur provenendo da soggetti terzi, non legate da rapporto di collaborazione di alcun tipo con l’associazione datoriale ricorrente.
Gli stessi giudici del merito non hanno poi ammesso alcuna prova sulle circostanze di fatto ritualmente capitolate fin dal ricorso introduttivo e riproposte in appello. Tutte prove decisive ed idonee a sostenere il carattere volontario del rapporto di lavoro, in conformità allo statuto ed al regolamento dell’associazione ed alla convenzione pubblicistica che regolava il servizio di trasporto in questione; nonché a comprovare la natura di rimborso spese dell’emolumento di 22-26 euro corrisposto ai volontari per ogni prestazione di sei ore; ed a dimostrare lo svolgimento del servizio e la regolamentazione dei turni esclusivamente sulla base della convenzione e delle disponibilità dichiarate da ciascun associato e la loro partecipazione alla vita dell’associazione, alla quale erano iscritti allo scopo di svolgere “il proprio servizio con spirito volontaristico e senza scopo di lucro.
La Corte d’appello, in sostanza, pur affermando che l’attività di volontariato deve essere prestata in modo personale, spontaneo e gratuito non ha dato modo alla ricorrente di dimostrarlo in alcun modo; non avendo proceduto né all’acquisizione dei verbali delle prove assunte in altre cause e pervenute ad opposte conclusioni, né all’ammissione delle prove formulate dalla ricorrente e reiterate anche in appello, contenenti circostanze decisive per la decisione della causa nel diverso senso prospettato dalla ricorrente.
8. In conclusione la sentenza impugnata è incorsa nelle censure denunciate con i motivi qui esaminati avendo ritenuto l’esistenza della subordinazione in base ad una disamina incompleta dei fatti e delle prove, dando luogo ad una motivazione illogica ed insufficiente. Essa ha violato pure l’art.112 c.p.c. il quale impone al giudice di decidere la causa tenendo conto della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti.
9. Alla luce delle premesse devono essere quindi accolti il terzo, il quinto ed il sesto motivo del ricorso; mentre vanno rigettati tutti gli altri. La sentenza impugnata va dunque cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata ad altro giudice perché effettui un nuovo esame conformemente ai principi accolti in questa sentenza.
Il giudice di rinvio provvederà altresì alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il terzo, il quinto ed il sesto motivo di ricorso; rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione.
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