CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 ottobre 2017, n. 24367

Licenziamento disciplinare – Tardività della contestazione degli addebiti – Immediatezza da valutare in senso relativo – Ragioni che possono cagionare il ritardo – Tempo necessario per l’accertamento o la complessità della struttura organizzativa

Fatti di causa

1. Con la sentenza n. 3040/2015 la Corte di appello di Napoli ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale della stessa città con la quale erano state respinte le domande proposte da R.C. volte rispettivamente ad ottenere la declaratoria dei licenziamenti, adottati dalla L.P. srl, in data 27.2.2012 e 27.5.2012.

2. A fondamento della decisione i giudici di secondo grado hanno evidenziato che: 1) la contestazione del primo licenziamento (per il secondo era stata rilevata l’assenza di motivi di gravame) era tempestiva rispetto al momento della conoscenza dei fatti, della complessità degli stessi in relazione alla dimensione della società, al comportamento di quest’ultima tenuto che aveva, nelle more, proceduto ad un trasferimento di ufficio del lavoratore e al protrarsi della procedura disciplinare che aveva subito diversi rinvii per la audizione dell’incolpato a causa di malattia certificata; 2) nel merito, erano risultati provati gli addebiti mossi riguardanti la mancata compilazione degli operai diretti dal C. dei fogli mensili di presenza con forme di entrata ed uscita; la concessione di permessi e ferie in anticipo; la mancata segnalazione di assenze per malattie per 365 giorni di due dipendenti; la mancata adozione dei dovuti provvedimenti per scuole con elevata morbilità e tasso di assenteismo, su scuole ove operavano parenti dell’appellante; l’inosservanza di ordini di servizio; la percezione indebita di somme non dovute a titolo di lavoro straordinario non prestato.

3. Per la cassazione ha proposto ricorso R.C. affidato a due motivi illustrati con memoria.

4. Ha resistito con controricorso la srl L.P..

Ragioni della decisione

1. Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14.9.2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.

2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo della controversia ex art. 360 comma 1 n. 5 cpc costituito da una prassi, in atto fin dall’anno 2000, secondo cui i fogli di presenza del personale andavano redatti in difformità dell’ordine di servizio che, al contrario, su tale punto prescriveva determinate modalità.

3. Con il secondo motivo il C. si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 7, commi 3 e 4 legge n. 300/1970 per avere la Corte di appello erroneamente negato la tardività della contestazione degli addebiti disciplinari e del conseguente licenziamento.

4. Il primo motivo è inammissibile.

5. Nella fattispecie in esame si verte in ipotesi di cd. “doppia conforme” in fatto (appello depositato il 13.1.2014 e sentenza di II grado pubblicata il 19.5.2015) per cui, ex art. 348 ter commi 4 e 5 cpc, è escluso il controllo sulla ricostruzione del fatto operato dai giudici del merito, sicché il sindacato di legittimità del provvedimento è possibile soltanto se la motivazione sia affetta da vizi giuridici o manchi del tutto, oppure sia articolata su espressioni ed argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, perplessi o obiettivamente incomprensibili: ipotesi, queste, non ravvisabili negli assunti decisionali della gravata sentenza.

6. Il secondo motivo è infondato.

7. La Sezione Lavoro di questa Corte ha affermato più volte (Cass. n. 281/2016; n. 20719/2013; n. 13955/2014) che, in materia di licenziamento disciplinare, l’immediatezza della contestazione va intesa in senso relativo, dovendosi dare conto delle ragioni che possono cagionare il ritardo, quali il tempo necessario per l’accertamento dei fatti o la complessità della struttura organizzativa dell’impresa, fermo restando che la valutazione delle suddette circostanze è riservata al giudice di merito.

8. Nel caso in esame, quindi, deve rilevarsi, da un lato, che la Corte territoriale non è incorsa in nessun vizio di violazione o falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 300/1970 in quanto ha avuto riguardo, al momento in cui il datore di lavoro ha scoperto il fatto, avendone certezza, e non al momento della sua commissione aderendo, quindi, ad una esegesi della norma in termini relativi conformemente al principio sopra enunciato; dall’altro, che ha congruamente e logicamente motivato, con accertamento insindacabile in questa sede, sulle ragioni che avevano giustificato il lasso temporale, non addebitabile alla società, tra la contestazione ed il provvedimento di recesso.

9. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

10. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.