CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 febbraio 2017, n. 4237

Tributi – Avviso di accertamento – Acquisti e cessioni intracomunitarie – Art. 109, Tuir

Fatto

L’Agenzia delle entrate notificò alla società, per l’anno d’imposta 2000, un avviso di accertamento col quale recuperò irpeg, irap ed iva, disconoscendo tre cessioni intracomunitarie e taluni acquisti. Riferisce quindi la contribuente che, in esito a ricorso avverso l’avviso, il giudice di primo grado l’ha integralmente accolto, laddove l’Agenzia ha proposto appello relativamente alla sola iva e con riguardo alle sole tre cessioni, senza aggredire la statuizione della sentenza di primo grado che aveva affermato la deducibilità ex art. 109 del tuir dei costi sostenuti dalla contribuente in relazione agli ulteriori acquisti dedotti nell’avviso e contestati col ricorso originario. Ciononostante la Commissione tributaria regionale, prosegue la società, non avvedendosi del giudicato interno così formatosi, nell’accogliere l’appello dell’ufficio, ha affermato la legittimità dell’intero avviso di accertamento, anche, dunque, delle parti concernenti irpeg ed irap relative agli acquisti. In base a queste considerazioni, ha proposto ricorso per ottenere la revocazione, che ha affidato a tre motivi, illustrati con memoria, dell’ordinanza con la quale questa Corte ha respinto il ricorso proposto avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale, deducendo la violazione, da parte della Corte, del giudicato interno. L’Agenzia delle entrate ha reagito con controricorso.

Diritto

1. – Il collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata.

2. – Il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 395, 1° co., n. 4, c.p.c., col quale la contribuente fa leva sulla violazione del giudicato interno per le ragioni indicate in narrativa, è inammissibile. Ciò in quanto il giudicato, sia esso interno od esterno, costituendo la regola del caso concreto, partecipa della qualità dei comandi giuridici, di modo che, come la sua interpretazione non si esaurisce in un giudizio di fatto, ma deve essere assimilata, per la sua intrinseca natura e per gli effetti che produce, all’interpretazione delle norme giuridiche, così l’erronea presupposizione della sua inesistenza, equivalendo ad ignoranza della regula iuris, rileva non quale errore di fatto, ma quale errore di diritto, inidoneo, come tale, ad integrare gli estremi dell’errore revocatorio contemplato dall’art. 395, n. 4, c.p.c.: esso è assimilabile al vizio del giudizio sussuntivo, consistente nel ricondurre la fattispecie ad una norma diversa da quella che reca, invece, la sua diretta disciplina, e, quindi, ad una falsa applicazione di norma di diritto (Cass., sez.un., n. 21639/04; sez.un., n. 23242/05; n. 11356/06; ord. n. 30245/11; ord. n. 321/15).

2.1. – Non conduce a conclusioni differenti la pronuncia citata in ricorso (Cass. n. 27956/08), perché, in quel caso, la domanda di revocazione si fondava sull’erronea individuazione, da parte della Corte di cassazione, del devoluto, ossia della parte dell’originaria domanda introduttiva del contribuente che ancora costituiva res litigiosa in sede di legittimità (la Corte aveva infatti, con pronuncia nel merito, interamente rigettato il ricorso introduttivo del contribuente, avente ad oggetto due distinte riprese fiscali, ancorché la sentenza di primo grado, che aveva interamente accolto il ricorso del contribuente, fosse stata appellata dall’Amministrazione soltanto nel capo relativo ad una delle due riprese). Laddove le ulteriori considerazioni svolte a sostegno del motivo coinvolgo il merito della questione.

3. – Inammissibile è altresì il secondo motivo di ricorso, col quale la società si duole ex art. 395, 1° co., n. 4 c.p.c., dell’errore di fatto in cui sarebbe incorsa questa Corte allorquando, in luogo di rispondere alla censura mossa col ricorso, concernente l’esistenza degli acquisti interni ceffettuati dalle società a responsabilità limitata S., I.S. e O., si è riferita alle tre cessioni intracomunitarie compiute nei confronti della società tedesca G.T.G..

3.1. – Una pronuncia della corte di cassazione non può difatti essere impugnata per revocazione in base all’assunto che abbia male compreso i motivi di ricorso, perché un vizio di questo tipo costituisce, se sussistente, un errore di giudizio, e non un errore di fatto ai sensi dell’art. 395, 1 comma, n. 4, c.p.c. (tra varie, Cass. n. 9935/12 e ord. n. 13181/13, nonché, in termini, n. 5086/08, riguardante il preteso errore nell’individuazione delle questioni oggetto di motivi del ricorso, n. 9533/06, concernente il preteso errore nell’interpretazione dei motivi e n. 5076/08, relativa al preteso errore di lettura del ricorso).

4. – Analoghe considerazioni vanno svolte con riguardo al terzo motivo del ricorso, col quale la società deduce come errore di fatto l’erronea “supposizione” «che la D. srl non avesse effettuato alcun controllo nei confronti della partita Iva e in generale, della G.T.G..».

5. – Ne segue il rigetto del ricorso con la conseguente condanna alle spese della soccombente.

Sussistono i presupposti per l’applicazione dell’art. 13, comma 1 – quater, del d.P.R. n. 115/02.

Non sussistono, invece, i presupposti per la condanna ex art. 96 c.p.c., richiesta in controricorso, non emergendo l’impiego strumentale e pretestuoso del ricorso per cassazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso, condanna la società alla rifusione delle spese sostenute dall’Agenzia delle entrate, che liquida in euro 22.000 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito e dichiara la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, comma 1 – quater, del d.P.R. 115/02.