Tributi – Imposte dirette e IVA – Registrazione dati contabili – Reddito d’impresa
Fatto
L’Agenzia delle entrate in relazione all’anno d’imposta 2004 ha accertato a carico del contribuente maggiore materia imponibile ai fini delle imposte dirette e dell’iva, utilizzando l’indice di ricarico mediamente applicato nel settore di appartenenza, pari al 2,14%, in luogo di quello utilizzato dal contribuente, pari all’1,31%. Ciò in quanto l’esame dei dati contabili aveva evidenziato una rilevante sproporzione tra i ricavi ed i costi dichiarati, tale da concretare una condotta gravemente antieconomica. Il contribuente ha impugnato l’avviso, ottenendone l’annullamento dalla Commissione tributaria provinciale, là dove quella regionale ha parzialmente accolto l’appello dell’Ufficio, rideterminando il reddito d’impresa nella misura pari al 40% di quello accertato, giacché, ha rilevato, per un verso la valutazione dell’ufficio non si è snodata per tre anni d’imposta e, per altro verso, non ha tenuto conto dell’ubicazione dell’azienda nei pressi di supermercati di rilevanti dimensioni. Avverso questa sentenza propone ricorso il contribuente per ottenerne la cassazione, che articola in due motivi, cui l’Agenzia replica con controricorso.
Diritto
1. – Il collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata, giusta il decreto del Primo Presidente del 14 settembre 2016.
2. – Il primo motivo di ricorso, col quale il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione di norme di diritto per carenza di motivazione e dell’omesso esame circa fatti decisivi della controversia presenta plurimi profili d’inammissibilità:
– quanto alla sua formulazione, che ricorre alla esposizione frammista di plurimi profili di censura, concernenti la nullità della sentenza per carenza della motivazione ex art. 132 c.p.c., la violazione dell’art. 113, 2° co., c.p.c. e la contraddittorietà della motivazione. Giova sottolineare che, se è vero che il fatto che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sé, ragione d’inammissibilità dell’impugnazione, altresì vero è che la formulazione del motivo deve consentire di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Cass., sez.un., n. 9100/15): nel caso in esame, la formulazione di più profili di censura svolta in maniera inscindibile ne ha determinato l’inestricabile promiscuità (in termini, Cass., n. 1708/17);
– quanto al profilo del vizio di motivazione, si pone in contrasto col principio di diritto, applicabile ratione temporis, secondo il quale la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83/12, conv. con l. n. 134/12, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, rimanendo esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., sez.un., n. 8053 e 8054/14, nonché, tra varie, sez.un. 19881 del 2014).
2.1. – In particolare, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (tra varie, Cass., ord. n. 2498/15 e ord. n. 13448/15); per altro verso (Cass. n. 11892/16), il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non è inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, 1° comma, n. 5, c.p.c.
3. – Analoghe ragioni d’inammissibilità inficiano il secondo motivo di ricorso, col quale il contribuente nuovamente censura l’omesso esame circa un fatto decisivo, la motivazione insufficiente e la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, proponendo perdipiù una rilettura delle risultanze processuali, inibita a questa Corte.
4. – Il ricorso va in conseguenza respinto e le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti per l’applicazione dell’art. 13, comma 1 – quater, del d.P.R. n. 115/02.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il contribuente a pagare le spese, che liquida in euro 1500,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito. Dichiara la sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 13, comma 1 – quater, del d.P.R. n. 115/02.