CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 novembre 2017, n. 52594
Fallimento – Reato di bancarotta fraudolenta documentale – Condizioni – Ricostruzione del patrimonio impossibile – Accertamenti, da parte degli organi fallimentari, ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Lecce ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città, in data 11 novembre 2013, nella parte relativa all’accertamento di responsabilità di G.S. per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale, commesso nella qualità di amministratore di diritto della E. di G.S. & C. S.a.s., dichiarata fallita nell’aprile 2006, e l’ha riformata nella parte relativa alla determinazione della pena conseguente alla condanna.
2. Avverso la sentenza ricorre l’imputata per il tramite del proprio difensore, Avv. A.S., articolando due ragioni di censura.
2.1. Con il primo motivo deduce il vizio di violazione di legge, in relazione all’art. 216, comma 1, n. 2, L.F., e il vizio di motivazione in ordine alla prova dell’esistenza dell’elemento oggettivo del delitto menzionato, sotto il profilo della tenuta della contabilità in guisa da non rendere possibile la ricostruzione della patrimonio e del movimento d’affari della società fallita, avendo riferito il curatore di non avere incontrato particolari difficoltà nel procedervi aliunde, ed in ordine alla prova del dolo specifico del reato di bancarotta documentale da occultamento della documentazione bancaria, poiché l’affermazione della Corte territoriale, secondo cui tale condotta era preordinata a sottrarre ai creditori i ricavi della società conseguiti mediante il pagamento per assegni, non era sostenuta dalla raggiunta dimostrazione del conseguimento di ricavi da parte della società fallita.
2.2. Con il secondo motivo denuncia il vizio di assoluta preterizione della motivazione quanto al rilievo difensivo circa la riconducibilità del fatto alla fattispecie del delitto di bancarotta documentale semplice ex art. 217, comma 2, L.F..
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato.
1. Con l’imputazione è stato contestato all’imputata di avere tenuto le scritture contabili obbligatorie in guisa da non consentire la ricostruzione del volume d’affari e del patrimonio della fallita e, comunque, di avere occultato la documentazione bancaria dalla quale si sarebbero potuti ricostruire i pagamenti ricevuti ed effettuati dalla società.
I giudici del merito hanno ritenuto consumate entrambe le fattispecie prospettate dal titolare dell’azione penale, la cui autonomia in seno all’art. 216, comma 1, n. 2 L.F., è pacifica per il consolidato insegnamento di questa Corte (Sez. 5, n. 18634 del 01/02/2017, Autunno e altro, Rv. 269904), atteso che la fattispecie di cui alla prima parte della norma menzionata ricorre allorché sia dimostrata la sottrazione (anche nella forma della mancata tenuta) delle scritture contabili alla disponibilità degli organi fallimentari e richiede la dimostrazione del dolo specifico di conseguire un ingiusto profitto o di arrecare danno ai creditori (Sez. 5, n. 17084 del 09/12/2014 – dep. 23/04/2015, Caprara e altri, Rv. 263242), mentre quella di cui alla seconda parte presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dagli stessi organi fallimentari e implica la sufficienza del dolo generico, ossia la mera consapevolezza che la confusa tenuta della contabilità può rendere impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio (Sez. 5, n. 5237 del 22/11/2013 – dep. 03/02/2014, Comirato, Rv. 258982).
2. Tanto chiarito deve essere rammentato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, sussiste il reato di bancarotta fraudolenta documentale non solo quando la ricostruzione del patrimonio si renda impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute – come accertato nel caso scrutinato con riferimento al libro giornale, al libro degli inventari e al registro IVA e delle fatture dal 2003 al 2006 -, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, siano stati ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza (Sez. 5, n. 45174 del 22/05/2015, Faragona e altro, Rv. 26568201 Sez. 5, n. 21588 del 19/04/2010, Suardi, Rv. 247965; Sez. 5, n. 24333 del 18/05/2005, Mattia, Rv. 232212; Sez. 5, n. 10423 del 22/05/2000, Piana e altri, Rv. 218383). E nel caso in esame la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari è stata possibile, secondo quanto riferito dal Curatore fallimentare, solo sulla base di documentazione fornita da terzi: in modo particolare da un numero molto limitato di clienti della società, dalla quale si è potuto evincere – in assenza della documentazione bancaria mai consegnata dalla legale rappresentante dell’ente imprenditoriale agli organi fallimentari – che i pagamenti alla fallita avvenivano mediante assegni oppure in contanti.
3. Alla stregua dell’argomentazione da ultimo riportata deve ritenersi del tutto condivisibile la conclusione raggiunta in sentenza circa l’esistenza del prova del dolo specifico richiesto per l’integrazione della fattispecie di cui all’art. 216, comma 1, n. 2, prima parte, L.F., essendo caratterizzata da logica plausibilità l’affermazione secondo cui l’occultamento della documentazione contabile mirava a conseguire lo scopo di procurare quantomeno un pregiudizio ai creditori, con l’impedire agli organi della curatela di individuare ed aggredire quei ricavi percepiti dalla società, dei quali si era avuta contezza per il tramite della documentazione fornita dai clienti che attestava il pagamento delle prestazioni ricevute dalla società.
4. Manifestamente infondato è, infine, la doglianza articolata con il secondo motivo di ricorso. E’ jus receptum che non integra automatica causa di annullamento la motivazione incompleta né quella implicita quando l’apparato logico relativo agli elementi probatori ritenuti rilevanti costituisca diretta ed inequivoca confutazione degli elementi non menzionati, a meno che questi presentino determinante efficienza e concludenza probatoria, tanto da giustificare, di per sé, una differente ricostruzione del fatto e da ribaltare gli esiti della valutazione delle prove (Sez. 3, n. 35964 del 04/11/2014 – dep. 04/09/2015, B e altri, Rv. 264879; Sez. 2, n. 19619 del 13/02/2014, Bruno e altri, Rv. 259929; Sez. 5, n. 39080 del 23/09/2003, Fabrizi, Rv. 226230; Sez. 5, n. 3751 del 15/02/2000, Re Carlo, Rv. 215722). Poiché secondo la pacifica linea interpretativa di questa Corte la sottrazione delle scritture contabili alla disponibilità degli organi fallimentari, anche nella forma dell’omessa tenuta, integra gli estremi del reato di bancarotta documentale fraudolenta – e non quello di bancarotta semplice – qualora si accerti che scopo dell’omissione sia quello di recare pregiudizio ai creditori (Sez. 5, n. 11115 del 22/01/2015, Di Cosimo, Rv. 262915; Sez. 5, n. 25432 del 11/04/2012, De Mitri, Rv. 252992) una specifica argomentazione volta al diniego di riqualificazione dei fatti contestati nei termini della bancarotta documentale semplice era effettivamente superflua perché disattesa dal tenore della motivazione nel suo complesso.
5. Le considerazioni sviluppate impongono il rigetto del ricorso cui consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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