CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 novembre 2017, n. 52598
Fallimento – Procedure concorsuali – Amministratore unico – Sanzioni penali
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza del 1 giugno 2017 il Tribunale del Riesame di Torino, nel rigettare la richiesta di riesame proposta da C. G., gli applicava la misura cautelare degli arresti domiciliari, misura così sostituita dal G.I.P. presso lo stesso Tribunale con provvedimento del 30 maggio 2017 a seguito del raggiungimento da parte dell’indagato dell’età di settanta anni.
Il C. è indagato per i delitti di bancarotta patrimoniale, bancarotta documentale e bancarotta impropria ex art. 223 comma 2° L.F. per una serie di operazioni poste in essere quale amministratore unico della G.C.A. – CE.CA s.r.l., società dichiarata fallita con sentenza del 17 luglio 2014.
In particolare, in ordine alle distrazioni, al C. è contestato, tra gli altri, di aver ceduto le proprie partecipazioni nelle società A.I., P.I., R.S., V.I. ed E. ad un prezzo assolutamente inferiore al valore reale ed effettivo delle stesse con una minusvalenza di € 4.500.000, di aver ceduto ad E.T. titoli obbligazionari per un valore di € 1.479.309,00 senza corrispettivo, di aver disposto il recesso della partecipazione di GE.CA in E.T., società partecipata dalla fallita per il 90 %, senza alcun corrispettivo. In ordine alla bancarotta documentale, il C. è accusato di una serie di falsi in bilancio, tra i più eclatanti, di aver iscritto in contabilità, e, in particolare nella situazione patrimoniale al 14/12/2011, un “fondo rischi Italia” dell’importo di € 6.141.000 assolutamente ingiustificato ed irragionevole, di aver iscritto nel bilancio 2011 tra il patrimonio netto una riserva straordinaria di € 3.893.686,00 assolutamente ingiustificata, di aver iscritto nel bilancio relativo all’anno 2011 un fittizio finanziamento soci proveniente da un socio fuoriuscito dalla compagine sociale di € 6.338.805,00.
In ordine alle operazioni dolose, si è contestato al C. di avere, per effetto dell’iscrizione del menzionato fittizio “fondo rischi Italia”, funzionale alla realizzazione delle future distrazioni e la cui iscrizione determinava la perdita completa del capitale sociale, cagionato il fallimento della CE.CA s.r.l.
2. Con atto depositato dal proprio difensore ha proposto ricorso per cassazione l’imputato affidandolo ai seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo è stata dedotta violazione di legge per aver il Tribunale del Riesame posto in essere un provvedimento abnorme, essendo formalmente stata confermata un’ordinanza che disponeva la detenzione in carcere, sostanzialmente riformandola, essendo stati disposti gli arresti domiciliari. Si duole altresì della conferma di un’ordinanza già riformata dal G.I.P., quindi di un provvedimento diverso da quello impugnato.
2.2. Con il secondo motivo è stata dedotta violazione di legge in relazione agli artt. 192,358 e 353 c.p.p. , difetto di motivazione in relazione al travisamento della prova del debito da finanziamento del socio e l’erronea valutazione dell’art. 216 comma 1 n. 1 e 219 L.F.
Lamenta il ricorrente che l’accusa non ha fornito prova della fittizietà del debito di finanziamento del socio, evincendosi anzi dall’esame dei conti correnti, allegati al presente ricorso, che il socio estero ha versato alla GE.CA negli anni dal 2002 al 2011 oltre sette milioni di euro.
Il travisamento della prova in ordine all’esistenza del finanziamento del socio estero travolge anche l’imputazione riguardante l’iscrizione del fondo rischi di € 6.140.000 euro, essendo state provate, con i documenti tratti dalla Centrale Rischi della Banca d’Italia, situazioni di rischio per oltre € 5.500.000.
2.3. Con il terzo motivo è stata dedotta violazione degli artt. 216 comma Io n. 2 e 219 L.F., essendo le poste contestate sub capo 2 lett c),d) e g) intellegibili con l’ordinaria diligenza, emergendo la causale di tali operazioni dall’esame dei relativi passaggi della CT del P.M.
2.4. Con il quarto motivo è stata dedotta violazione di legge in relazione alla contestata incongruità del valore di vendita delle partecipazioni delle controllate, emergendo dalla consulenza tecnica del P.M. la congruità di tali valori e la mancata falsificazione dei bilanci delle società controllate.
2.5. Con il quinto motivo è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla persistenza delle esigenze cautelari, all’attualità e concretezza del pericolo di reiterazione dei reati e di fuga. Si evidenzia la risalenza dei fatti contestati e la sostanziale inattività della società E.T. e l’inesistenza di un attuale e concreto pericolo di fuga.
2.6. Con memoria e nuovi motivi depositati ex art. 311 c.p.p. in data 11.10.2017, il ricorrente ha preliminarmente dato atto che il G.I.P. presso il Tribunale di Torino gli ha revocato la misura custodíale degli arresti domiciliari e lo ha sottoposto alla misura del divieto di espatrio.
Ha, inoltre, dedotto il prevenuto che, nonostante la revoca della misura oggetto dell’ordinanza impugnata, intende comunque coltivare il ricorso ex art. 314 c.p.p., anticipando di voler attivare la procedura per ingiusta detenzione, e ciò sul rilievo che tutti i provvedimenti sulla sua liberta personale non hanno dovutamente avvalorato i solidi argomenti difensivi spesi per confutare i gravi indizi di colpevolezza.
Il ricorrente, pertanto, oltre ad aver svolto ulteriori argomentazioni difensive a sostegno dei motivi già svolti, ha rassegnato cinque nuovi motivi, e segnatamente, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione:
1) con il primo nuovo motivo ha contestato la distrazione di 250.000,00 € a favore di un socio;
2) con il secondo motivo ha contestato di aver disposto il recesso di Ge.Ca da E.T. senza pagamento del prezzo;
3) con il terzo nuovo motivo ha contestato la distrazione dei titoli obbligazionari in lira turca ceduti il 28.12.2011 da Ge.Ca. ad E.T.;
4) con il quarto nuovo motivo ha contestato che il fallimento sia stato determinato dall’abbattimento del capitale sociale mediante l’indicazione di un fittizio fondo rischi;
5) con il quinto motivo ha contestato la riconducibilità allo stesso della scrittura del 30.3.2012 non firmata rinvenuta in allegato a due atti dell’Agenzia delle Entrate del 2014.
Considerato in diritto
1. Il primo motivo è inammissibile per difetto di interesse, avendo il ricorrente dedotto di voler coltivare il ricorso solo per dimostrare l’assenza di gravi indizi di colpevolezza per attivare il procedimento ex art. 314 c.p.p.
2. Il secondo motivo originario ed il quarto ed il quinto motivo nuovi sono infondati.
In primo luogo, non vi è dubbio che gli elementi indicati dall’accusa integrino i gravi indizi di colpevolezza in ordine alla fittizia annotazione contabile relativa al debito da finanziamento del socio per il rilevantissimo importo di € 6.338.805,00, non potendo il ricorrente valorizzare a suo favore gli estratti conto bancari dallo stesso depositati in allegato al ricorso.
In primo luogo, non è stato provato che i versamenti risultanti dai predetti estratti conto siano stati effettuati dal socio estero Confingest a titolo di finanziamento soci.
Anzi, dall’esame di tali documenti emerge che la causale di tali operazioni è “in conto aumento di capitale” , dicitura che non evidenzia certo che tali versamenti fossero stati effettuati a titolo di mutuo, anche perché gli stessi estratti conto prodotti dal ricorrente documentano che ove l’eventuale causale di un ‘operazione bancaria fosse il “finanziamento soci”, ciò veniva riportato espressamente nell’estratto conto bancario (vedi, a titolo di esempio, le operazioni del 21/09/2005, del 23/11/2007, del 21/03/2011 e del 16/11/2011, vedi docc. 7 e 9).
D’altra parte, le somme che i soci erogano a vario titolo a favore delle società da loro partecipate sono sovente destinate a confluire in apposita riserva “in conto capitale”, la quale dunque non dà luogo ad un credito esigibile, se non per effetto dello scioglimento della società e nei limiti dell’eventuale attivo del bilancio di liquidazione, ed è più simile al capitale di rischio che a quello di credito, connotandosi proprio per la postergazione della sua restituzione al soddisfacimento dei creditori sociali.
La qualificazione dell’erogazione come a titolo di mutuo o di capitale di rischio dipende dall’esame della volontà negoziale delle parti, dovendo trarsi la relativa prova non tanto dalla denominazione dell’erogazione contenuta nelle scritture contabili della società, quanto dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi (sez 1 civile n. 2758 del 23/02/2012, Rv. 621560).
Nel caso di specie, la denominazione del versamento come finanziamento soci nel bilancio 2011 – contrastante quindi con quella risultante dagli estratti conto corrente bancari – non è certo sufficiente a documentare la natura invocata dal ricorrente.
Peraltro, vi sono altri elementi che denotano la fittizietà del debito da finanziamento esposto dalla Ge.Ca. nel bilancio 2011, società peraltro partecipata al 100% dalla Confingest.
Gli stessi estratti conto bancari prodotti dal ricorrente attestano che tali versamenti non sono stati effettuati solo nel 2011, ma in un lungo periodo di tempo, e, segnatamente dal 2002 al 2011.
E’ evidente allora che ove il ricorrente avesse voluto davvero dimostrare la natura di “finanziamento soci” dei versamenti in oggetto avrebbe quantomeno dovuto documentare come gli stessi erano stati registrati nei bilanci degli anni precedenti, tenendo presente che due fondamentali principi devono essere osservati nella redazione del bilancio, ovvero quello di competenza, che non consente di iscrivere in bilancio debiti maturati in esercizi precedenti, nonché quello di cui all’art. 2423 bis comma 1° n. 6), secondo cui i criteri di valutazione non possono essere modificati da un esercizio all’altro.
Inoltre, gli stessi documenti bancari prodotti dal ricorrente attestano come assolutamente ingiustificata sia stata l’iscrizione al passivo da parte del ricorrente nella situazione patrimoniale del 14 dicembre 2011 di un fondo rischi per l’importo di € 6.140.000,00, iscrizione a seguito del quale la Ge.Ca. ha provveduto all’azzeramento del capitale sociale per perdite.
Né la documentazione della Centrale Rischi della Banca d’Italia prodotta dal ricorrente, che riporta le fideiussioni prestate dalla Ge.Ca a favore delle proprie controllate, giustifica l’iscrizione al passivo di un debito di tal rilevantissima entità.
In particolare, dall’esame delle varie fideiussioni prestate dalla Ge.Ca. a favore dei vari istituti bancari e nell’interesse delle proprie partecipate (di cui al doc. 10) risulta la sostanziale corrispondenza tra il fido “accordato” e quello “utilizzato” da queste ultime, con la conseguenza che i documenti della Centrale Rischi della Banca d’Italia non hanno affatto evidenziato l’emergenza di sofferenze bancarie che potessero far presagire l’eventuale escussione delle fideiussioni da parte delle banche in danno della Ge.Ca.
Si trattava, quindi, di fideiussioni suscettibili di provocare delle passività potenziali in bilancio, ma in quel momento del tutto sotto controllo.
In situazioni di tal fatta, l’art. 2424 comma 3° cod. civ. prescrive che le garanzie prestate a favore di imprese controllate e collegate rientrano tra i conti d’ordine e devono essere iscritte in calce allo stato patrimoniale, e non certo tra le passività, e delle stesse, secondo i principi contabili italiani elaborati dal Consiglio Nazionale dei Commercialisti e Ragionieri, se ne deve far menzione nella nota integrativa.
La mera presenza di fideiussioni prestate a favore di terzi, ma senza che vi siano sofferenze bancarie, non giustifica affatto l’iscrizione al passivo di fondo rischi ed oneri atteso che, a norma dell’art. 2424 bis comma 3° cod. civ. “gli accantonamenti per rischi ed oneri sono destinati soltanto a coprire perdite o debiti di natura determinata, di esistenza certa o probabile, dei quali tuttavia alla chiusura dell’esercizio sono indeterminati o l’ammontare o la data di sopravvenienza”.
Nel caso di specie, come sopra illustrato, il ricorrente, nell’iscrivere quella posta nella contabilità, non aveva alcun elemento idoneo per ritenere che le fideiussioni prestate avrebbero determinato perdite certe o anche solo probabili.
Ne consegue che, come evidenziato dall’ordinanza impugnata, tale iscrizione contabile è stata funzionale solo alla realizzazione delle future operazioni di distrazione patrimoniale.
3. Il terzo motivo originario ed il terzo nuovo motivo sono infondati.
Il ricorrente si è limitato a reiterare le medesime censure già svolte in sede di riesame che l’ordinanza aveva già ha articolatamente confutato a pag. 12.
In particolare, in ordine ai titoli ceduti ad E.T., neppure con la documentazione allegata ai nuovi motivi il ricorrente ha fornito prova di aver pagato un corrispettivo per tale cessione. Né, peraltro, può rilevare la circostanza che sia stata eventualmente ceduta la sola nuda proprietà di titoli, essendo tale cessione comunque avvenuta ingiustificatamente a titolo gratuito.
4. Il quarto motivo (originario) è infondato.
In tale motivo, il ricorrente vuole dimostrare che le cessioni da parte della fallita delle partecipazioni sono avvenute a prezzo congruo.
Orbene, a prescindere da ogni valutazione in ordine all’idoneità della documentazione prodotta dal ricorrente per confutare le conclusioni del consulente del P.M., il ricorrente non si confronta – anzi glissa totalmente – con il preciso rilievo contenuto nell’ordinanza impugnata secondo cui le cessioni delle partecipazioni societarie sono avvenute senza il versamento di alcun corrispettivo, con la conseguenza che il ricorrente finisce per contestare sono l’entità e non l’esistenza delle distrazioni.
4. Il primo motivo nuovo è infondato.
Il ricorrente vuol dimostrare l’insussistenza della contestazione della distrazione di € 250.000,00 , occultata, secondo l’accusa, con la dicitura dell’operazione “finanziamento soci” con un documento bancario del 27.12.2011 che attesterebbe, secondo la prospettazione del ricorrente, il versamento da parte della Ge.Ca. della somma di € 250.000 a favore della partecipata Verlight allo scopo di sostituire una precedente garanzia fideiussoria prestata dalla stessa Ge.Ca. a favore della propria partecipata.
Tuttavia, l’estratto conto bancario non attesta affatto che vi sia stata la sostituzione di una garanzia fideiussoria, tanto è vero che è indicata come causale dell’operazione quella “pagamento fatture” .
6. Il secondo nuovo motivo è infondato e va pertanto rigettato.
Il ricorrente contesta che il recesso di Ge.Ca da E.T. sia avvenuto senza corrispettivo, e che quindi lo stesso si sia reso responsabile anche di tale distrazione, ed intende dimostrarlo con il nuovo doc. 5 , che proverebbe l’avvenuto pagamento da parte di E.T. di almeno 75.000,00 € dei 90.000,00 € pattuiti.
In realtà, l’estratto conto prodotto non documenta affatto tale pagamento.
Il bonifico del 18.5.2012 – peraltro oltre due mesi dopo al recesso – disposto da E.T. a favore di Ge. Ca. ha come causale “in c/to fatture” mentre quello di € 50.000 disposto in data 29.6.2012 ha come causale quella del finanziamento.
In conclusione, neppure ai fini della procedura ex art. 314 c.p.p., il ricorrente può invocare l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine alle assai gravi distrazioni allo stesso ascritte.
7. Il quinto motivo relativo alle esigenze cautelari è inammissibile.
Il ricorrente si limita a muovere censure in fatto che si fondano su una sua diversa ricostruzione della vicenda, senza denunciare vizi logici della motivazione dell’ordinanza impugnata.
Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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