CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 settembre 2015, n. 18226
Lavoro – Recesso – Illegittimità – Udienza di discussione – Assenza dell’appellante – Rinvio dell’udienza
Svolgimento del processo
La Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma di rigetto della domanda di M.D., promotore finanziario, volta ad accertare l’illegittimità del recesso della C. dai contratti stipulati I’ 11/7/2001 e 4/9/2002 con condanna della società al risarcimento del danno e alle indennità di fine rapporto.
La Corte territoriale ha, in primo luogo, escluso l’improcedibilità dell’appello per assenza dell’appellante alla prima udienza rilevando l’inapplicabilità dell’art. 348 cpc.
Nel merito ha rilevato che nel contratto sottoscritto dalle parti era previsto un patto di prova restando irrilevante che nella precedente lettera di intenti fosse escluso il patto di prova.
Ha osservato, altresì, che i patti aggiuntivi omettevano di richiamare la clausola del patto di prova ma non escludevano espressamente tale clausola; che non vi era alcuna contraddizione tra la previsione del patto di prova e le clausole dei patti aggiuntivi relative ai periodi minimi ai fini del raggiungimento o meno degli obiettivi o con la clausola di non risolvere il contratto per un periodo di 60 mesi.
La Corte d’appello ha poi ritenuto infondate la domanda di annullamento del recesso per dolo nonché la tesi secondo cui la disdetta del contratto sarebbe stata assunta oltre il termine di sei mesi dalla conclusione del contratto indicata dal Tribunale al 5/9/02.
Accertata la legittimità del recesso in quanto avvenuto nel periodo di prova ha rigettato tutte le domande di risarcimento o di compensi.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso il D. formulando 4 motivi. Ha resistito la C. con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cpc. Il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata
Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente denuncia nullità della sentenza in quanto il collegio indicato nella sentenza era diverso da quello dell’udienza di lettura del dispositivo.
Il motivo è infondato.
Il collegio indicato nella sentenza impugnata è parzialmente diverso da quello risultante nel dispositivo letto all’udienza e nel verbale dell’udienza ma tale diversità, pur sussistente, non determina la nullità della sentenza impugnata.
Occorre premettere che, secondo la giurisprudenza consolidata, l’intestazione della sentenza non ha una sua autonoma efficacia probatoria, riproducendo i dati del verbale d’udienza il quale – facendo fede fino a querela di falso dei nomi dei componenti del collegio e della riserva espressa a fine udienza di prendere la decisione in camera di consiglio – determina la presunzione che la sentenza sia stata deliberata da parte degli stessi giudici che avevano partecipato all’udienza collegiale; inoltre, ai sensi dall’art. 276 c.p.c., tra i compiti del Presidente del collegio vi è quello di controllare che i giudici presenti nella camera di consiglio siano quelli risultanti dal verbale dell’udienza di discussione (ex plurimis Cass. Sez. 3, n. 2815 del 10/03/1995, Sez, 3, n. 15879 del 06/07/2010, Sez. 1, n. 22497 del 19/10/2006).
Tale conclusione vale tanto più nel rito del lavoro, in cui l’indicazione del collegio giudicante è contenuta anche, in conformità con il detto verbale, nel dispositivo Ietto in udienza, che determina con effetto esterno il contenuto volitivo della decisione e costituisce uno dei momenti del procedimento a formazione progressiva che si conclude con la pubblicazione della sentenza.
Nel caso, quindi, deve ritenersi che l’indicazione nell’intestazione della sentenza, del nome di un magistrato diverso da quelli facenti parte del collegio quale risultante dal verbale di udienza costituisce un mero errore materiale. (cfr Cass. n. 16582 del 2014, n. 20463 del 2014, n. 2691 del 2010, n. 8136 del 2011).
Anche nell’interpretazione delle norme processuali, come ribadito anche di recente da Cass. S.U. n. 11021 del 2013, occorre infatti tenere conto dei principi del giusto processo e della sua ragionevole durata, sicché non si può colpire con la sanzione di nullità il vizio che si è verificato, che costituisce un mero frutto di dimenticanza, privo di effetti concreti sul processo.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 348 cpc. Rileva che in assenza dell’appellante la causa era stata decisa nel merito senza applicare l’art. 348 cpc Il motivo è fondato.
La disciplina dell’inattività delle parti dettata dal codice di procedura civile, con riguardo sia al giudizio di primo grado che a quello di appello, si applica anche alle controversie individuali di lavoro, non ostandovi la specialità del rito, né i principi cui esso si ispira. Ne consegue che, ai sensi dell’art. 348, comma primo, cod. proc. civ., anche in tali controversie, la mancata comparizione dell’appellante all’udienza di cui all’art. 437 cod. proc. civ. non consente la decisione della causa nel merito, ma impone la fissazione di nuova udienza, da comunicare nei modi previsti, nella quale il ripetersi di tale difetto di comparizione comporta la dichiarazione di improcedibilità dell’appello.
In tal senso si è già espressa più volte questa Corte (cfr Cass n. 2816/2015, n. 5238/2011, 5643/2009, n. 7837/2003, n. 12358/2003) e non sussistono ragioni per discostarsi da questo indirizzo consolidato.
On il terzo motivo il D. denuncia violazione degli artt. 1362 e seg cc in ordine all’interpretazione dei contratti intercorsi tra le parti e con il quarto motivo denuncia violazione degli artt. 1439, 1427 c.c., vizio di motivazione.
Entrambi detti motivi restano assorbiti dall’accoglimento del secondo motivo.
Per le considerazioni che precedono in accoglimento del secondo motivo la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il primo motivo, accoglie il secondo, assorbiti il terzo ed il quarto; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.
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