CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 maggio 2017, n. 12562
Inpdap – Indennità premio di servizio – Ricalcolo – Maggiore base retributiva riscossa nell’ultimo anno di servizio
Fatti di causa
G.T., ex dipendente dell’Amministrazione comunale di Messina, chiese che venisse riconosciuto il proprio diritto al ricalcolo dell’indennità premio di servizio sulla base di una maggiore base retributiva riscossa nell’ultimo anno di servizio, nonché al pagamento degli interessi legali e della rivalutazione monetaria sulle somme corrisposte in ritardo dall’ente previdenziale. Il Tribunale di Messina accolse la domanda con sentenza che, su appello dell’Inpdap, è stata confermata dalla Corte d’appello di Messina, che ha rigettato il gravame osservando che il termine di prescrizione applicabile alla fattispecie è decennale ed è stato interrotto dalle lettere raccomandate prodotte in atti e che interessi legali e rivalutazione monetaria sui crediti previdenziali vanno riconosciuti sulle somme dovute al lordo e non al netto delle ritenute fiscali e contributive, atteso che il meccanismo di tale ritenute inerisce ad un momento successivo a quello dell’accertamento e della liquidazione del credito e si riferisce invece al distinto rapporto di imposta.
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Inpdap, cui è succeduto l’INPS ex art. 21 d.l. n. 201/2011 conv. in I. 214/2011, affidandosi a due motivi di ricorso cui resistono con controricorso le eredi di G.T., D.D., T.R. e T.S., deceduto nelle more del giudizio d’appello. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Ragioni della decisione
1. Questioni preliminari. Le contro ricorrenti hanno eccepito l’inammissibilità del ricorso per cassazione in ragione dell’affermata inesistenza della notifica del medesimo, effettuata dall’Istituto ricorrente nei confronti degli eredi collettivamente ed impersonalmente nell’ultimo domicilio del de cuius ai sensi dell’art. 330 secondo comma cod. proc. civ., nonostante che la sentenza impugnata fosse stata notificata su istanza delle contro ricorrenti personalmente e, quindi, con piena indicazione delle rispettive identità.
2. L’eccezione è infondata. Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità (v., da ultimo, Cass. 11072/2015; Cass. 11250/2014 e 27749/2013) che la morte della parte comporta la necessità della notificazione dell’impugnazione agli eredi della parte deceduta, che può essere effettuata, oltre che personalmente agli eredi, anche agli eredi collettivamente ed impersonalmente nell’ultimo domicilio del defunto (v. Cass., nn. 15123 e 2598 del 2007).
3. Tale interpretazione è stata successivamente avallata dalle Sezioni Unite di questa Corte che, a componimento di un insorto contrasto interpretativo, sono pervenute ad affermare il principio secondo cui l’atto di impugnazione della sentenza, nel caso di morte della parte vittoriosa (o parzialmente vittoriosa), deve essere rivolto agli eredi, indipendentemente sia dal momento in cui il decesso è avvenuto, sia dall’eventuale ignoranza – anche se incolpevole – dell’evento da parte del soccombente, altresì precisando che detta notifica (che può sempre essere effettuata personalmente ai singoli eredi) può anche essere rivolta agli eredi in forma collettiva ed impersonale, purché entro l’anno dalla pubblicazione, nell’ultimo domicilio della parte defunta (v. Cass., S.U. 14699/2010).
4. Le Sezioni Unite hanno ravvisato tale soluzione come maggiormente rispondente al contemperamento della lettera della norma con l’esigenza di agevolare e rendere più sollecito il diritto di impugnativa, di tutelare il diritto di difesa, di garantire il rispetto del principio del contraddittorio, di contemperare i contrapposti interessi in gioco. La citazione collettiva ed impersonale comporta infatti, hanno sottolineato le Sezioni Unite, un’evidente facilitazione per l’impugnante, consentendogli di proseguire nel giudizio senza la necessità di individuare personalmente gli eredi della parte defunta, a tale stregua evitandogli di effettuare indagini (spesso lunghe e complesse) volte all’esatta individuazione degli eredi, ritenendo spettare all’erede rendere palese tale qualità, costituendosi nel giudizio instaurato dall’impugnante.
L’individuazione del luogo di notifica nell’ultimo domicilio del defunto (che coincide con il luogo di apertura della successione) fornisce d’altro canto, si è ulteriormente evidenziato, adeguata tutela all’esigenza che gli eredi vengano a conoscenza della proposta impugnazione (v. Cass., SU n. 14699 cit.).
5. Tanto premesso, il ricorso affidato all’agente notificante (il 16 giugno 2011), entro l’anno dalla pubblicazione delle sentenza impugnata (il 30 marzo 2011), è stato validamente e tempestivamente notificato.
6. Con il primo motivo si denuncia violazione del R.D. 2 novembre 1933, n. 2418, art. 19, della L. n. 152 del 1968, nonché dell’art. 2946 c.c., sostenendo che il termine di prescrizione applicabile alla fattispecie è quello quinquennale, che decorre dalla data di collocamento a riposo, sicché, essendo il T. cessato dal servizio in data 1.3.1991, il termine, al momento della lettera interruttiva del 28.4.2001, era già decorso. Nell’esposizione in fatto, poi, il ricorrente ha rilevato che non poteva attribuirsi efficacia interruttiva alla lettera del 27 maggio 1996 che aveva ad oggetto la diversa richiesta di riliquidazione dell’indennità premio di servizio con le maggiorazioni introdotte ex d.p.r. 3 agosto 1980.
7. Con il secondo motivo si denuncia violazione della L. n. 412 del 1991, art. 16 e della L. n. 724 del 1994, art. 22, comma 36, nonché del regolamento del Ministero del tesoro n. 352 del 1.9.98, relativamente alla statuizione con cui la Corte territoriale ha riconosciuto che gli interessi legali e la rivalutazione monetaria devono essere calcolati sulle somme dovute al lordo anziché al netto delle ritenute fiscali e previdenziali.
8. Il primo motivo, con il quale si propone la questione dell’applicabilità alla fattispecie in esame del termine di prescrizione quinquennale, è fondato. È stato, infatti, affermato (cfr. ex multis Cass. n. 29916/2011, Cass. n. 78/2006, Cass. n. 14589/2002, Cass. n. 12618/2001, Cass. n. 1730/98, Cass. n. 5044/94) che il termine prescrizionale relativo al diritto all’ indennità premio di servizio corrisposta dall’Inadel (o alla sua riliquidazione o al suo aggiornamento nel tempo), come pure alla rivalutazione monetaria relativa al suddetto diritto – la quale, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 156 del 1991, costituisce una componente essenziale del credito previdenziale, ovvero un tutt’uno con questo – è quello quinquennale ai sensi del R.D. 2 novembre 1933, n. 2418, art. 19, norma che non è stata abrogata né espressamente né tacitamente dalla L. n. 152 del 1968. Il dies a quo dell’indicata prescrizione quinquennale è il medesimo – sia per l’indennità premio di servizio che per la sua rivalutazione – e va individuato, ai sensi dell’art. 2935 c.c., nel primo giorno successivo all’inutile decorso dei centoventi giorni (previsti dalla L. n. 533 del 1973, art. 7) dalla data del collocamento a riposo dell’interessato; dallo stesso dies a quo costituito dal centoventunesimo giorno dal collocamento a riposo decorre la prescrizione, anch’essa quinquennale, ai sensi dell’art. 2948 c.c., n. 4, degli interessi (compensativi), che costituiscono oggetto di un’obbligazione accessoria autonoma, anche se necessaria.
9. La sentenza impugnata non ha fatto applicazione degli esposti principi e va quindi cassata affinché, in sede di rinvio, la Corte d’appello in diversa composizione accerti, alla luce della ricognizione dei documenti presenti agli atti, la fondatezza dell’eccezione di prescrizione conformandosi ai medesimi.
10. Il secondo motivo è infondato. Questa Corte ha già affermato (cfr. ex multis Cass. n. 4224/2012, Cass. n. 12265/2003, Cass. n. 5363/2001, Cass. n. 10942/2000, Cass. n. 816/88) che gli interessi legali e la rivalutazione monetaria sui crediti previdenziali – al pari degli interessi e della rivalutazione monetaria sui crediti di lavoro (ex art. 429 c.p.c.) – vanno riconosciuti sulle somme dovute al lordo, non già al netto delle ritenute fiscali e contributive, atteso che il meccanismo di tali ritenute inerisce ad un momento successivo a quello dell’accertamento e della liquidazione delle somme spettanti all’assicurato e si riferisce invece al distinto rapporto d’imposta, sul quale il giudice chiamato all’accertamento e alla liquidazione del credito previdenziale non ha il potere di interferire. La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di tale principio e non merita dunque le censure che le sono state mosse dall’Istituto ricorrente.
11. Le spese del giudizio di legittimità saranno regolate in sede di rinvio.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso e rigetta il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Messina in diversa composizione.
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