CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 ottobre 2017, n. 24534
Imposte dirette – IRPEF – Accertamento – Dichiarazione dei redditi – Immobili – Locazione finanziaria – Plusvalenza
Ritenuto in fatto
L’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti di L.C. un avviso di accertamento in rettifica della dichiarazione dei redditi presentata dal contribuente per l’anno di imposta 2005, recuperando a tassazione un reddito da capitale non dichiarato di euro 11.076.828, quale utile da plusvalenza occulta conseguita dalla società P.A. srl ed autoattribuita a se stesso dal socio unico L.C., a carico del quale veniva determinata una maggiore Irpef per euro 4.724.442 e addizionale regionale di euro 153.824, oltre interessi e sanzioni.
L’avviso traeva origine da una verifica effettuata presso la società L. spa, nel corso della quale era emerso che: la società P.A. srl, di cui L. era socio ed amministratore, nell’anno 2002 aveva stipulato con la società F.F. spa un contratto di locazione finanziaria avente ad oggetto un immobile di rilevante pregio situato in Milano P.A., condotto in locazione da una società del gruppo bancario UBS; in data 19.7.2005 la società P.A. riscattava anticipatamente il leasing in corso con la società F.F. spa versando il residuo prezzo di euro 20.337.218 e divenendo la piena proprietaria dell’immobile; nello stesso giorno 19.7.2005 la società P.A. cedeva la proprietà dell’immobile, per il prezzo di euro 31.500.000, alla società L. spa (che subito glielo retrocedeva a titolo di locazione finanziaria). La differenza tra l’importo di euro 20.337.218 versato alla F.F. e l’importo di euro 31.500.000 riscosso dalla L. spa non veniva, per la quasi totalità, contabilizzato come plusvalenza perché la società P.A., nel momento in cui aveva riscattato l’immobile dalla F.F., lo aveva iscritto a bilancio per il valore di euro 31.183.587, aggiungendo al prezzo di riscatto di euro 20.337.261 versato, l’importo di euro 11.077.794 per spese sostenute tra il 2002 ed il 2005, relative a lavori di ristrutturazione dell’immobile eseguiti dalla s.r.l. R., così riducendo la plusvalenza ad euro 316.402. I verificatori accertavano che la s.r.l. R. faceva capo allo stesso L. e che tutti i costi per le opere di ristrutturazione, dichiaratamente eseguiti dalla suddetta società tra il 2002 ed il 2005, erano stati contabilizzati nell’anno 2005; veniva reperito presso la società L. un documento interno relativo al contratto di “lease back” stipulato con la società P.A., in cui si riferiva che: l’operazione derivava dalla necessità della famiglia L. di disporre di liquidità in funzione di un prossimo investimento immobiliare; quanto al trattamento fiscale della “plusvalenza di circa 12,5 m./euro la controparte sta studiando con i propri fiscalisti la possibilità di ridurne la tassazione”; la società L.aria UBS “ha finanziato autonomamente opere di adattamento dell’immobile per almeno 4,5 milioni di euro”. Sulla base degli accertamenti eseguiti, l’Ufficio impositore considerava plusvalenza imponibile la differenza tra la somma versata a titolo di riscatto alla F.F. e l’importo di euro 31.500.000 riscosso per la cessione dell’immobile a L. spa. Poiché la società P.A. era stata posta in liquidazione e cancellata dal registro delle imprese in data 27.8.2008, l’Agenzia delle Entrate riteneva che la plusvalenza non contabilizzata e sottratta a tassazione doveva considerarsi distribuita al socio unico L.C., nei cui confronti veniva notificato l’avviso di accertamento ai fini Irpef.
L.C. proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Milano che lo accoglieva con sentenza n. 115 del 2012.
L’Agenzia delle Entrate proponeva appello alla Commissione tributaria regionale di Milano che lo rigettava con sentenza del 8.7.2013.
Contro la sentenza di appello l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione deducendo sette motivi di impugnazione.
L.C. resiste con controricorso chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso perché volto ad ottenere un nuovo accertamento sul fatto in violazione dell’art. 360 cod.proc.civ.; subordinatamente ne chiede il rigetto. Deposita memoria. Deposita seconda memoria.
Con ordinanza del 13.10.2016 questa Corte ha disposto l’acquisizione del fascicolo d’ufficio relativo ai giudizi di merito.
Considerato in diritto
Il ricorso, ammissibile poiché basato su censure riconducibili ai vizi di legittimità tipizzati dall’art. 360 cod.proc.civ., è fondato nei termini di seguito indicati.
1. Primo motivo: “violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod.civ. e dell’art. 324 cod.proc.civ., in relazione all’art. 360 primo comma n.4 cod.proc.civ.”, nella parte in cui la Commissione tributaria regionale ha ritenuto che, in tema di limitazione della responsabilità dei soci per i crediti della società estinta alle somme riscosse in base al bilancio finale (art. 2495 cod.civ.), si fosse formato il giudicato interno per mancata impugnazione sul punto della sentenza della Commissione tributaria provinciale.
1. Il motivo è inammissibile per irrilevanza della circostanza dedotta, estranea alla ratio decidendi adottata dal giudice di appello. Vero che non sussiste il giudicato “interno” al quale si riferisce la sentenza impugnata. Infatti, dalla motivazione della Commissione tributaria provinciale, trascritta nel ricorso per cassazione, risulta che il giudice di primo grado ha accolto il ricorso introduttivo del contribuente avendo ritenuto la effettività delle spese di ristrutturazione dell’immobile e la conseguente inesistenza della plusvalenza di cui si sarebbe appropriato il socio unico L., ragion per cui non ha affrontato espressamente la succedanea questione relativa ai limiti della responsabilità dei soci e dei liquidatori per i debiti tributari della società a norma degli artt. 2495 cod.civ. e 36 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602.Ugualmente la sentenza impugnata, che ha rigettato l’appello della Agenzia delle Entrate, non è fondata sulla ritenuta (erroneamente) sussistenza di un giudicato interno, bensì sull’affermazione, conforme all’assunto del giudice di primo grado, che l’Ufficio non aveva provato la fittizietà dei costi di ristrutturazione dell’immobile contabilizzati dalla società P.A., con conseguente mancanza di prova in ordine alla ritenuta formazione di una plusvalenza occulta di cui aveva beneficiato il socio unico L..
2. Secondo motivo: “violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 cod.civ., 36 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, 2495 cod.civ., in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 cod.proc.civ. nella parte in cui la Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello sul rilievo che l’Ufficio non aveva fornito la prova delle effettiva distribuzione di somme tra i soci in sede di liquidazione, senza considerare che l’art. 2495 consente comunque di agire nei confronti dei liquidatori quando il mancato pagamento è dovuto a colpa di essi, e senza considerare che l’Ufficio aveva agito anche ai sensi della norma speciale di cui all’art. 36 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602.
2. Il motivo è inammissibile poiché la sentenza impugnata è basata sulla ratio deciderteli, preliminare ed assorbente, secondo cui non sussisterebbe la plusvalenza contestata dall’Ufficio in ragione della ritenuta effettività delle spese di ristrutturazione dell’immobile contabilizzate dalla società P.A..
3. Terzo motivo: ” violazione dell’art. 38 comma 3, 37 comma 1, 42 comma 2 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, 115 cod.proc.civ. in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 cod.proc.civ.”, nella parte in cui la Commissione tributaria regionale ha ritenuto la “inidoneità probatoria” e la inutilizzabilità ai fini dell’accertamento del documento costituito dalla “nota interna L. spa”.
Il motivo è fondato. Il documento interno denominato “L. spa proposta contratto datato 6.12.2004”, rinvenuto nel corso di un accesso compiuto dall’Ufficio Antifrodi della Agenzia delle Entrate presso i locali della società L. spa, è stato indicato dall’Ufficio quale prova documentale della esistenza di una plusvalenza derivante dalla operazione di cessione dell’immobile e contestuale retrocessione a titolo di locazione finanziaria intercorsa tra la società P.A. e la società L. spa, nonché del fatto il costo di ristrutturazione dell’immobile fosse stato sostenuto dalla L.U. e non dalla società P.A.. Con riferimento ad esso la Commissione tributaria regionale ha affermato che “quanto all’istruttoria redatta dall’agente di L. per promuovere l’operazione finanziaria, che aveva promosso e supportato la verifica dell’Ufficio, deve ritenersi la piena inidoneità probatoria in quanto documento materiale extracontabile di terzo, peraltro non noto al contribuente, inutilizzabile pertanto ai fini dell’accertamento”. La motivazione è giuridicamente errata. Ai fini dell’accertamento del reddito delle persone fisiche, l’art. 38 comma 3 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 legittima gli Uffici ad utilizzare “i dati e le notizie di cui all’articolo precedente”; il precedente art. 37 comma 1 consente di effettuare il controllo delle dichiarazioni dei contribuenti “sulla scorta dei dati e delle notizie acquisiti ai sensi degli articoli precedenti … e delle informazioni di cui siano comunque in possesso”; l’art. 32 comma primo n. 1 consente l’acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento mediante “accessi, ispezioni e verifiche”. Ne deriva che i dati documentali acquisiti nel corso di un accesso sono utilizzabili ai fini dell’accertamento del reddito a prescindere dal fatto che essi abbiano natura contabile o extracontabile e che siano stati acquisiti presso un soggetto terzo anziché presso il contribuente destinatario dell’avviso di accertamento. L’osservazione ulteriore, che qualifica il documento come inutilizzabile poiché “non noto al contribuente”, contrasta con il dettato dell’art. 42 comma 2 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 che legittima l’Ufficio alla utilizzazione di documenti non noti al contribuente a condizione che siano allegati all’avviso di accertamento, ovvero che il contenuto essenziale di essi sia riprodotto nello stesso avviso, come avvenuto nel caso in esame (dalla acquisizione del fascicolo d’ufficio il documento risulta allegato all’avviso di accertamento che comunque ne riproduce i contenuti essenziali).
4. Quarto motivo: “violazione e falsa applicazione degli artt. 7 comma 3, 32 comma 1, 61, 58 decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 546, 153 comma 2 cod.proc.civ., 111 e 2 Cost., in relazione all’art. 360 primo comma n. 4 cod.proc.civ.”, nella parte in cui la Commissione tributaria regionale ha ritenuto utilizzabili i documenti prodotti da parte appellata soltanto nell’udienza di discussione, nonostante l’opposizione di parte appellante, per questo illegittimamente censurata per mancanza di “collaborazione processuale”.
Il motivo è infondato. La Commissione tributaria regionale ha ammesso la produzione tardiva di documentazione ad opera della società appellata ritenendo giustificato (con valutazione di merito non sindacabile in questa sede) il mancato precedente reperimento della documentazione prodotta, cosi operando una implicita rimessione in termini a norma dell’art. 153 comma 2 cod.proc.civ., disposizione applicabile anche al processo tributario (Sez. 5, Sentenza n. 12544 del 17/06/2015, Rv. 636356).
5. Quinto motivo: “violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727, 2729 cod.civ. in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 cod.proc.civ. nella parte in cui la Commissione tributaria regionale ha ritenuto che l’Ufficio abbia violato il divieto della doppia presunzione.
Il motivo è fondato sotto il profilo della falsa applicazione del divieto di doppia presunzione discendente dall’art. 2727 cod.civ. La motivazione della sentenza oggetto di censura è la seguente: ” l’Ufficio, ignorando che la base di ogni ragionamento presuntivo deve essere un fatto noto, effettuato nella sua realtà storica, ha contestato nel caso di specie al contribuente il maggior reddito dalla concatenazione di due presunzioni semplici , facendo discendere dalla chiusura del contratto di leasing con F.F. e la stipulazione del contratto di lease back con L. spa la esistenza di una plusvalenza non dichiarata da P.A. e la distrazione-prelevamento dalla società, da parte di L., del medesimo importo a titolo di utili anch’essi non dichiarati; il tutto con buona pace del divieto posto dall’ordinamento di porre alla base di una presunzione un’altra presunzione semplice”. Il giudice di appello ha falsamente applicato l’art. 2727 cod.civ., il quale, stabilendo che la prova di tipo presuntivo debba discendere in via logica da “un fatto noto”, contiene implicitamente il divieto di operare un doppio passaggio presuntivo. Dalla illustrazione dei fatti di causa contenuta nella sentenza impugnata risulta che l’Ufficio ha ritenuto provata l’esistenza della plusvalenza sulla base della documentazione acquisita, in particolare (ma non solo) della “nota interna” della L. spa, attestante sia l’esistenza di una rilevante plusvalenza , sia il fatto che le spese incrementative del valore dell’immobile, la cui contabilizzazione ha determinato il sostanziale azzeramento della plusvalenza, in realtà non erano state sostenute dalla società P.A. tramite la srl R., ma dalla L.U. Italia spa. L’unica argomentazione presuntiva utilizzata dall’Ufficio attiene alla ritenuta attribuzione degli utili extracontabili, discendenti dalla plusvalenza immobiliare, a L.C. quale socio unico della società di capitali, presunzione ammessa dalla costante giurisprudenza di legittimità, secondo cui , nel caso di società di capitali a ristretta base azionaria, (nella specie con socio unico), qualora siano accertati utili non contabilizzati, opera la presunzione di attribuzione “prò quota” ai soci degli utili stessi, con inversione dell’onere della prova a carico dei soci tenuti a provare di non avere percepito utili extracontabili ovvero che gli stessi sono stati accantonati o reinvestiti. ( in tal senso Sez. 6-5, Ordinanza n. 18032 del 24/07/2013, Rv. 628447).
6. Sesto motivo: “violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3 cod.proc.civ.”, nella parte in cui non ha ritenuto la sussistenza in capo a L. dell’onere di provare non l’effettuazione dei lavori di ristrutturazione ( fatto pacifico), bensì il sostenimento del costo degli stessi da parte della società P.A..
Il motivo di ricorso è assorbito dall’accoglimento del quinto motivo.
7. Settimo motivo:omesso esame di punti di fatto decisivi discussi tra le parti, in relazione all’art. 360 comma primo n. 5 cod.proc.civ.
Il motivo è inammissibile. L’art. 348 ter, quinto comma, cod. proc. civ. esclude che contro la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado” possa essere proposto ricorso per cassazione facendo valere la ragione di impugnazione di cui all’art. 360 primo comma n. 5 cod.proc.civ. A norma dell’art. 54, comma 2, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 134, tale disposizione si applica ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione (11 settembre 2012).
Nel caso in esame la statuizione del giudice di appello ha condiviso, confermandole, le ragioni di fatto poste a base della decisione del giudice di primo grado; inoltre risulta dal frontespizio della sentenza impugnata che il ricorso in appello è stato depositato in data 9.1.2013.
In accoglimento del terzo e quinto motivo di appello, ivi assorbito il sesto, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione, alla quale è demandata la liquidazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il terzo e quinto motivo,ivi assorbito il sesto; dichiara inammissibili il primo, secondo e settimo; rigetta il quarto motivo; cassa, in relazione ai motivi accolti, la sentenza impugnata e rinvia, anche sulle spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione.
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