CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 aprile 2017, n. 9848
Accertamento – IVA – Importazione merce – Irregolarità scritture contabili – Sanzioni
Massima:
In caso di deposito fiscale virtuale, in assenza di frode, non può essere negato soltanto il diritto alla detrazione d’imposta in ragione della non immissione fisica in deposito fiscale, concretandosi quest’attività in un semplice requisito formale che non può incidere sul fondamentale principio di neutralità del tributo. Poiché la normativa europea non osta alla previsione di un deposito fiscale che come quello italiano è particolarmente predisposto ad un più efficace controllo IVA, discende la conseguente possibilità per lo Stato di stabilire sanzioni in caso le merci importate non siano state fisicamente immesse nello stesso, sanzioni che peraltro debbono essere comunque «appropriate» in relazione alla gravità della violazione e alle sue conseguenze, quest’ultime non debbono peraltro porre nel nulla il diritto alla detrazione; trattasi di una appropriatezza che spetta al giudice dello Stato apprezzare. Pertanto, la sanzione prevista, in mancanza di specifica previsione, può essere quella stabilita dall’art. 13 d.lgs. 18 dicembre 1997 n. 471per i ritardati o omessi versamenti d’imposta.
Fatti di causa e ragioni della decisione
1. Il Collegio delibera di adottare la motivazione semplificata.
2. Con l’impugnata sentenza n. 143/23/12 depositata il 5 giugno 2012 la Commissione Tributaria Regionale della Toscana sez. staccata di Livorno confermava la decisione n. 162/06/10 della Commissione Tributaria Provinciale della stessa città che aveva respinto il ricorso promosso da E. S.r.l. contro cinque avvisi di contestazione di sanzioni dell’Agenzia delle Dogane a causa delle conseguenze tributarie della mancata «fisica>> immissione della merce importata nel deposito fiscale e laddove comunque risultava registrata.
3. La contribuente – che nelle more aveva cambiato l’originale denominazione sociale in quella di L.Q. S.r.l. – proponeva ricorso per cassazione affidato a sei motivi.
4. L’ufficio non presentava difese.
5. Con il quinto preliminare motivo di ricorso la contribuente censurava la CTR ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. lamentando che in violazione dell’art. 112 c.p.c. il giudice regionale non aveva deciso sull’eccezione di illegittimità degli avvisi per difetto di motivazione degli stessi e per mancato rispetto delle «norme sul giusto processo».
5.1. Il motivo è però infondato atteso che la CTR, che è scesa nel merito affermando che le sanzioni erano dovute, ha necessariamente deciso la pregiudiziale questione della eccezione di illegittimità dell’avviso implicitamente rigettandola (Cass. sez. lav. n. 1360 del 2016; Cass. sez. III n. 4079 del 2005).
6. Con il primo ancora preliminare motivo di ricorso la contribuente censurava la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. addebitando alla CTR la violazione dell’art. 112 c.p.c. per non aver pronunciato «sul difetto del requisito soggettivo di punibilità», a riguardo protestando l’estraneità rispetto alle irregolarità che erano state riscontrate nella tenuta delle scritture del deposito fiscale.
6.1. Il motivo è però inammissibile atteso che sulla eccezione di non applicabilità delle sanzioni la CTR ha invece pronunciato statuendo che le stesse erano «dovute essendosi accertata la violazione della normativa», mentre invece quello che la contribuente lamenta è che la CTR non abbia motivato adeguatamente la decisione espressamente escludendo la scriminante soggettiva, questione giuridica che in realtà avrebbe dovuto eventualmente essere censurata ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. denunciando in thesi che la corretta interpretazione delle norme in tema di «non punibilità» avrebbe comportato la non applicazione delle sanzioni (Cass. sez. II n. 11193 del 2009; Cass. sez. I n. 24856 del 2006).
7. Con il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per la loro stretta connessione, la contribuente censurava la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. per violazioni di leggi nazionali e europee, in particolare deducendo che l’art. 50 bis dl. 30 agosto 1993 n. 331 conv. con modif. in I. 29 ottobre 1993 n. 427, il quale prevede l’immissione nel deposito fiscale al fine di detenere la merce importata, con sospensione dell’obbligo del pagamento di dazi e di imposte interne fino alla «estrazione» della merce stessa per l’immissione in libera pratica, doveva essere interpretato nel senso che fosse consentita la «virtuale» immissione nel deposito fiscale, cioè la semplice registrazione della merce importata presso il deposito fiscale senza fisica immissione, non invece come aveva erroneamente ritenuto la CTR secondo la quale la mancanza di fisica immissione nel deposito fiscale comportava l’automatica immissione in libera pratica, con il conseguente obbligo di pagamento dell’IVA all’importazione, perdita del diritto alla detrazione e corrispondenti sanzioni.
7.1. Nella sola misura appresso precisata, i motivi sono fondati alla luce della più recente giurisprudenza unionale, a cui si è uniformata quella domestica, secondo le quali in caso di deposito fiscale «virtuale», in assenza di frodi, qui non in discussione, soltanto il diritto alla detrazione d’imposta non può essere negato in ragione della non immissione fisica in deposito fiscale, concretandosi quest’attività in un semplice requisito «formale» che non può incidere sul fondamentale principio di neutralità del tributo (Corte giust. UE sez. VI n. 272 del 2014, segnatamente nn. 29, 36 e 39; Cass. sez. V-T n. 10911 del 2016; Cass. sez. VI-T n. 17815 del 2015); laddove invece, ritenuto che siccome la legge unionale non osta alla previsione di un deposito fiscale che come quello italiano è particolarmente predisposto ad un più efficace controllo IVA, discende la conseguente possibilità per lo Stato di stabilire sanzioni in caso le merci importate non siano state fisicamente immesse nello stesso, sanzioni che peraltro debbono essere comunque «appropriate» in relazione alla gravità della violazione e alle sue conseguenze; le quali conseguenze non debbono peraltro porre nel nulla il diritto alla detrazione; trattasi di una «appropriatezza» che spetta al giudice dello Stato apprezzare; e fermo restando che questa Corte ha già avuto occasione di affermare che la sanzione prevista, in mancanza di altre speciali, ben può essere quella stabilita dall’art. 13 d.lgs. 18 dicembre 1997 n. 471 per i ritardati o omessi versamenti d’imposta (Corte giust. UE sez. VI n. 272 cit., segnatamente n. 33 ss.; Cass. sez. VI-T n. 17814 del 2015; Cass. sez. VI-T n. 16109 del 2015).
8. E’ quindi assorbito l’ottavo motivo con il quale – in subordine – si chiedeva il rinvio pregiudiziale al giudice unionale.
9. Alla cassazione della sentenza deve quindi seguire il giudizio di rinvio per la determinazione della sanzione.
P.Q.M.
Accoglie il secondo, terzo e quarto motivo del ricorso nei sensi di cui alla motivazione, dichiara assorbito l’ottavo, respinge gli altri, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Toscana che in altra composizione dovrà decidere la controversia uniformandosi ai superiori principi e regolare le spese di ogni fase e grado; dandosi atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.p.r. 30 maggio 2002 n. 115, che non sussistono i presupposti per il versamento da parte della contribuente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del ridetto art. 13, comma 1 bis, d.p.r. n. 155 cit.
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