CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 aprile 2017, n. 9858
Triubuti – Imposte di registro, ipotecarie e catastali – Vendita di beni – Riqualificazione dell’operazione di vendita in cessione d’azienda – Unitarietà funzionale dei beni ceduti
Fatti di causa
In accoglimento dell’appello erariale, la Commissione tributaria regionale della Lombardia respingeva l’impugnazione proposta da M. Italia s.p.a. contro l’avviso di liquidazione dell’imposta di registro n. 2009/0RA00001 emesso per riqualificazione di una vendita di beni operata dalla medesima società in data 29 ottobre 2005 a favore della società svizzera M. International T. s.a.r.l.
Il giudice d’appello dichiarava corretta la riqualificazione del negozio come cessione d’azienda, posto che questo aveva trasferito un intero complesso funzionale (magazzino, immobilizzazioni, crediti) e che dopo di esso l’alienante italiana aveva iniziato ad operare quale commissionaria di vendita dei medesimi prodotti, con trasferimento degli utili alla più favorevole tassazione elvetica.
M. Italia ricorre per cassazione sulla base di cinque motivi, illustrati con memoria.
L’Agenzia delle entrate resiste mediante controricorso.
Ragioni della decisione
1. Il primo motivo di ricorso denuncia omessa motivazione e violazione degli artt. 54, 55 d.P.R. 131/1986, art. 7 I. 212/2000, per aver il giudice d’appello pretermesso l’eccezione di illegittimità dell’avviso di liquidazione per contraddittorietà della motivazione.
1.1. Il motivo è inammissibile.
L’avviso di liquidazione evidenzia un’imprecisione formale laddove qualifica l’imposta come “complementare”, e tuttavia il fatto che la liquidazione seguisse a registrazione d’ufficio e non implicasse contestazione di valore rendeva palese trattarsi di imposta “principale”, né la contribuente ha allegato una qualche lesione del diritto di difesa come effetto dell’errore materiale dell’ufficio (per la sufficienza di una motivazione dell’avviso di liquidazione idonea alla difesa del contribuente, Cass. 28 marzo 2003, n. 4710, Rv. 561555).
Pertanto, l’omissione del giudice d’appello non risulta decisiva.
2. Il secondo motivo di ricorso denuncia insufficiente motivazione, per aver il giudice d’appello ingiustificatamente affermato che la società svizzera era inattiva prima della cessione e che la cessione aveva generato un risparmio d’imposta.’
La ratio decidendi della sentenza d’appello concerne l’unitarietà funzionale dei beni ceduti; la pregressa inattività dell’acquirente e i vantaggi fiscali della cessione sono oggetto di argomenti ad abundantiam, contro i quali il ricorso per cassazione è inammissibile per difetto di interesse (Cass. 5 giugno 2007, n. 13068, Rv. 597597; Cass. 22 ottobre 2014, n. 22380, Rv. 633495).
3. Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 2555 cod. civ., art. 2 d.P.R. 633/1972, art. 5 Sesta direttiva IVA, art. 15, comma 1, lett. b, d.P.R. 131/1986, per aver il giudice d’appello qualificato come complesso aziendale una somma di beni distinti.
3.1. Il motivo è infondato.
Ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, la qualificazione di una vendita di beni come cessione d’azienda non esige l’attualità dell’esercizio dell’impresa, né il trasferimento delle relazioni finanziarie, commerciali e personali, essendo sufficiente che i beni ceduti abbiano un’attitudine potenziale all’utilizzo per un’attività d’impresa (Cass. 25 gennaio 2002, n. 897, Rv. 551846; Cass. 19 novembre 2007, n. 23857, Rv. 601114; Cass. 16 aprile 2010, n. 9162, Rv. 612686).
Affermando che le immobilizzazioni per la vendita, il magazzino e i crediti commerciali “rappresentano non singoli beni ceduti, ma un complesso organico”, il giudice d’appello non ha violato detto principio; alla luce del quale, viceversa, risulta non decisivo l’argomento della ricorrente circa l’omesso trasferimento della lista- clienti (peraltro non del tutto estranea alla lista-debitori).
4. Il quarto motivo di ricorso denuncia omessa pronuncia, per non aver il giudice d’appello deciso sulla questione dell’aliquota da applicare alla cessione dei crediti, questione riproposta in appello.
4.1. Il motivo è inammissibile.
La ricorrente evidenzia che nell’atto di cessione i vari cespiti erano distinti per valore; tuttavia, all’effetto di derogare la regola dell’aliquota più elevata, l’art. 23, comma 1, d.P.R. 131/1986 esige qualcosa di diverso e ulteriore, cioè che i singoli cespiti siano oggetto di autonoma previsione negoziale, tramite pattuizione di “corrispettivi distinti” (per la necessità di una separata convenzione di prezzo, Cass. 2 aprile 2015, n. 6716, Rv. 635141).
Pertanto, l’omissione del giudice d’appello non risulta decisiva.
5. Il quinto motivo di ricorso denuncia omessa pronuncia, per non aver il giudice d’appello deciso sulla questione del difetto di motivazione dell’irrogazione delle sanzioni, questione riproposta in appello.
5.1. Il motivo è inammissibile.
La ricorrente si duole della contraddittoria motivazione dell’avviso circa la misura delle sanzioni, e tuttavia essa stessa riconosce esserle stato applicato il minimo edittale; si duole altresì dell’omessa motivazione dell’avviso circa l’autore materiale della violazione e la colpevolezza, e tuttavia essa risponde in proprio quale persona giuridica, mentre la colpa è presunta fino a prova contraria (Cass. 25 ottobre 2006, n. 22890, Rv. 595873; Cass. 15 giugno 2011, n. 13068, Rv. 618420).
Pertanto, l’omissione del giudice d’appello non risulta decisiva.
6. Il ricorso deve essere respinto, con aggravio di spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 25.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
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