CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 dicembre 2016, n. 26160
Lavoro – Socio di cooperativa – Regolamento interno – CCNL – Trattamento economico
Svolgimento del processo
1 -Il Tribunale di Torino accolse parzialmente, per quanto in questa sede interessa, la domanda proposta nei confronti di P.S. Coop. Sociale a r.l. da L.M.C., socia lavoratrice della cooperativa, riconoscendo alla predetta per il periodo dal 4/4/1997 al 30/4/2004 le differenze retributive rispetto al trattamento economico previsto dal Regolamento interno sino al 2002 e, successivamente, rispetto al trattamento previsto dal CCNL UNCI terziario e servizi, sottoscritto dalla organizzazione sindacale di appartenenza. Con sentenza depositata il 5/7/2013, in parziale riforma della pronuncia del giudice di primo grado, la Corte d’appello di Torino, rilevato che dal confronto tra le due predette regolamentazioni risultava che rispetto a quella indicata dalla contrattazione collettiva del settore Cooperative Sociali la paga oraria sancita dal Regolamento interno era migliorativa, utilizzò quest’ultima ai fini del computo delle differenze retributive, in applicazione del principio di irriducibilità della retribuzione, liquidando in favore del lavoratore il maggior importo.
Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione P.S. società cooperativa sociale a r.l. sulla base di due motivi. Resiste con controricorso la lavoratrice, proponendo ricorso incidentale.
Motivi della decisione
Con il primo motivo la ricorrente deduce: violazione e falsa applicazione degli artt. 2099 c.c. e 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 n.3 c.p.c. Rileva che la difesa della L. non ha mai formulato domande, né in via principale né in via subordinata, relative all’accertamento di eventuali differenze retributive sulla base del regolamento interno della Cooperativa, essendo ogni sua richiesta legata all’applicazione del contratto Anaste (istituzioni socio-assistenziali) di cui pretendeva l’applicazione. Sostiene, di conseguenza, che la condanna al pagamento delle differenze retributive secondo il calcolo effettuato dal C.T.U. sulla base del Regolamento interno per il periodo 1997-2004 integrava vizio di ultrapetizione, non potendosi ravvisare una specifica domanda della lavoratrice in tal senso in ragione del richiamo all’art. 2099 c.c. Rileva che nel testo del ricorso non è invocato il regolamento interno della Cooperativa quale parametro integrativo ed, anzi, la lavoratrice ha sempre contestato l’applicabilità di detto regolamento.
Il motivo è infondato. Va premesso che la qualificazione della domanda è stata effettuata dalla Corte d’appello (pg. 8 della sentenza impugnata), che ha ritenuto la stessa fondata anche sul Regolamento interno della cooperativa, sulla base del quale sono state quantificate le differenze retributive riconosciute. Ciò posto, pur osservando che il principio secondo cui l’interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti dà luogo ad un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito, non trova applicazione quando si assume che tale interpretazione abbia determinato un vizio riconducibile alla violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (art. 112 cod. proc. civ.), trattandosi in tal caso della denuncia di un “error in procedendo” che attribuisce alla Corte di cassazione il potere- dovere di procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 21421 del 10/10/2014, Rv. 632593), deve rilevarsi, tuttavia, che nella specie le allegazioni di parte, per la loro genericità, non sono rispettose delle disposizioni di cui agli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., sì da consentire di verificare contenuto e limiti della domanda azionata (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10605 del 30/04/2010, Rv. 612776). Resta ferma, pertanto, la qualificazione della domanda effettuata dalla Corte d’appello, potendosi esclusivamente censurare l’erronea interpretazione della domanda da parte del giudice di merito sotto il profilo del vizio di motivazione, censura in concreto non dedotta.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione degli artt. 2103 e 2697 c.c. in relazione agli artt. 424 e 441 c.p.c. nonché dell’art. 360 c.p.c. La censura riguarda più propriamente la presunta contraddizione tra il richiamo, contenuto in sentenza, alla relazione del c.t.u. dove, in risposta ad una osservazione della società, l’ausiliario afferma di non aver sostenuto che la retribuzione mensile fosse diminuita, e l’affermazione del principio di cui all’art. 2013 c.c., che esclude che la retribuzione possa subire decurtazioni quando le mansioni siano rimaste invariate. La stessa è infondata, ove si consideri che la sentenza correttamente si basa sui conteggi elaborati dal c.t.u., il quale, prescindendo dal profilo attinente alla mancata diminuzione del trattamento economico in concreto corrisposto, ha dato atto che la retribuzione prevista dal regolamento era migliorativa rispetto a quella risultante a seguito di interpretazione del contratto UNCI. Le richiamate emergenze istruttorie, poi, non risultano specificamente contestate.
Con il ricorso incidentale la lavoratrice deduce: violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e/o di principio generale, nonché dei CCNL cooperative sociali e UNCI (art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 36 Cost., 2077, 2013, 2099, 2108 c.c. D.lgs. 66/2003). Osserva che la Corte ha ritenuto non corretto il calcolo del consulente laddove dava congiuntamente applicazione a discipline contrattuali non omogenee, in ragione del fatto che il regolamento della cooperativa non prevedeva maggiorazioni per le ore di lavoro straordinario, festivo e notturno. Osserva che i regolamenti interni hanno natura pattizia e non possono portare alcuna deroga, se non migliorativa, al CCNL. Da ciò trae che entrambe le fonti possono coesistere. Osserva che giustapponendo alla norma collettiva, che prevede maggiorazioni per straordinario, il Regolamento interno, che non le prevede, si deve prendere atto della lacuna, che non può essere superata negando alla lavoratrice il diritto di percepire le maggiorazioni. Rileva che, conseguentemente, l’unica soluzione possibile consiste nell’applicare la norma collettiva per quanto non previsto dalla pattuizione individuale, perché diversamente si consentirebbe al regolamento di derogare in peius alla norma collettiva.
Il ricorso difetta delle necessarie allegazioni. Ed invero l’intera decisione si fonda sulle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, più volte chiamato a chiarimenti. A fronte di ciò la ricorrente non ha fornito gli elementi, primo tra tutti l’allegazione e la riproduzione dello sviluppo della relazione di consulenza tecnica d’ufficio, nei termini richiesti dall’art. 369 n. 4 c.p.c., dai quali trarre il riscontro dei suoi assunti. Ne discende che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
La reciproca soccombenza giustifica la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile il ricorso incidentale e dichiara compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.