CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 dicembre 2017, n. 30422
Condotta antisindacale – Trattenuta di ore di retribuzione – Mancata retribuzione per le ore non lavorate – Adesione allo sciopero indetto dall’organizzazione sindacale – Condotta datoriale ancora attuale – Idoneità a produrre effetti durevoli nel tempo per la portata intimidatoria e sia per la situazione di incertezza – Restrizione o un ostacolo al libero esercizio dell’attività sindacale – Sussiste
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 392/2012, depositata il 7 maggio 2012, la Corte di appello di Ancona, in accoglimento del gravame proposto da F.L.A.I. – C.G.I.L. di Ascoli Piceno, dichiarava antisindacale la condotta posta in essere dalla B. G. e R. F. S.p.A. e consistita nella trattenuta di otto ore di retribuzione operata, in aggiunta alla mancata retribuzione per le ore non lavorate, nei confronti dei dipendenti che avevano aderito allo sciopero indetto dall’organizzazione sindacale appellante, nello stabilimento di Ascoli Piceno, per il giorno di sabato 8 settembre 2007, nel quale erano state richieste dall’azienda otto ore di lavoro flessibile, previsto dall’accordo aziendale del 13 ottobre 2005.
2. La Corte di appello osservava come la trattenuta così operata dall’azienda risultasse tale da comportare un effetto deterrente rispetto all’adesione dei lavoratori a iniziative dello stesso genere, non rilevando peraltro, su tale obiettiva capacità di incidenza, il fatto che il datore di lavoro non avesse avuto l’intenzione di ledere le prerogative sindacali e il diritto di sciopero; osservava, inoltre, come la condotta datoriale dovesse ritenersi ancora attuale, stante il possibile protrarsi nei lavoratori dell’effetto psicologico e comunque di una situazione di incertezza circa il regime applicabile al blocco della flessibilità.
3. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la società con quattro motivi, assistiti da memoria, cui ha resistito F.L.A.I. – C.G.I.L. con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 28 I. n. 300/1970, nonché vizio di motivazione, la società censura la sentenza di appello per avere ritenuto sussistente il requisito dell’attualità della condotta datoriale, sebbene essa avesse avuto natura istantanea, esaurendosi nella trattenuta di otto ore di retribuzione per i dipendenti dello stabilimento di Ascoli Piceno che avevano aderito al blocco della flessibilità, e non avesse in alcun modo protratto i propri effetti nel periodo successivo.
2. Con il secondo motivo, deducendo il vizio di cui all’art. 360 n. 3, la società ricorrente censura la sentenza per avere erroneamente ritenuto che la condotta del datore di lavoro costituisse violazione delle previsioni di cui all’Accordo sindacale del 13 ottobre 2005.
3. Con il terzo motivo, deducendo nuovamente violazione e falsa applicazione dell’art. 28 I. n. 300/1970, nonché vizio di motivazione, la ricorrente censura la sentenza di appello per avere ritenuto che il datore di lavoro avesse, con il proprio comportamento, limitato la libertà e attività sindacale e l’esercizio del diritto di sciopero, quando invece si era nella specie verificata una diversa interpretazione, da parte della società e dell’organizzazione sindacale, in ordine ad un accordo collettivo recante la disciplina di diritti individuali.
4. Con il quarto motivo, infine, deducendo il vizio di cui all’art. 360 n. 3, la ricorrente censura la sentenza per avere erroneamente considerato che la mancanza, in capo al datore di lavoro, dell’intenzione di ledere le prerogative sindacali fosse irrilevante ai fini della configurazione della condotta di cui all’art. 28 I. n. 300/1970.
5. Il primo motivo è infondato.
6. La Corte territoriale si è, infatti, uniformata al consolidato orientamento di legittimità, per il quale “in tema di repressione della condotta antisindacale, ai sensi dell’art. 28 della legge n. 300 del 1970, il solo esaurirsi della singola azione lesiva del datore di lavoro non può precludere l’ordine del giudice di cessazione del comportamento illegittimo ove questo, alla stregua di una valutazione globale non limitata ai singoli episodi, risulti tuttora persistente e idoneo a produrre effetti durevoli nel tempo, sia per la sua portata intimidatoria, sia per la situazione di incertezza che ne consegue, suscettibile di determinare in qualche misura una restrizione o un ostacolo al libero esercizio dell’attività sindacale. L’accertamento in ordine alla attualità della condotta antisindacale e alla permanenza dei suoi effetti costituisce un accertamento di fatto, demandato al giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da adeguata motivazione, immune da vizi logici o giuridici” (Cass. n. 23038/2010, già citata in sentenza; conforme, fra le più recenti, Cass. n. 3837/2016).
7. Nella specie, il giudice di appello, con motivazione sintetica ma adeguata, ha ritenuto sussistente il requisito in esame, valorizzando, in coerenza con il richiamato orientamento di legittimità, il perdurare, in capo ai lavoratori, “dell’effetto psicologico” di deterrenza rispetto alla ripetizione di condotte analoghe a quella posta in essere (sciopero nella giornata di sabato) e sanzionata dalla società (mediante trattenute sulla retribuzione), “e comunque di una situazione di incertezza circa il regime applicabile al blocco della flessibilità” (cfr. sentenza, p. 4): e cioè fatti che, se pure attinenti alla sfera soggettiva degli individui, restano, diversamente da quanto dedotto dalla ricorrente, suscettibili di oggettivo apprezzamento nella loro relazione causale con una condotta obiettivamente idonea a determinarli.
8. Il secondo motivo è inammissibile, avendo ad oggetto la violazione e falsa applicazione di un accordo sindacale aziendale e non indicando se e in quali termini la Corte di merito abbia violato, nell’interpretarlo, le regole legali di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 ss. c.c. (Cass. n. 6668/2003 e successive conformi).
9. Il terzo motivo è infondato.
10. Risulta, infatti, consolidato l’orientamento, per il quale, con riguardo alla tutela prevista dall’art. 28 I. n. 300/1970, l’accertamento del giudice del merito circa l’idoneità di una determinata condotta del datore di lavoro a ostacolare o reprimere l’attività sindacale si risolve in un giudizio di fatto, censurabile in sede di legittimità solo sotto il profilo della congruità della motivazione (Cass. n. 7779/1998 e successive conformi): motivazione che, nella specie, è stata adeguatamente fornita dalla Corte di appello di Ancona, attraverso il richiamo “all’effetto deterrente” della denunciata condotta datoriale “rispetto all’adesione dei lavoratori ad altre eventuali iniziative congeneri” e al rilievo, per il quale un tale effetto di dissuasione non poteva dirsi escluso “dalla possibilità di ottenere coattivamente il pagamento di quanto spettante”, né, a fortiori, “dal (solo successivo ed a distanza di oltre tre mesi) conguaglio operato a fine anno” (cfr. sentenza, p. 3).
11. Egualmente infondato risulta il quarto motivo di ricorso.
12. Si richiama in proposito Sez. U n. 5295/1997, la quale ha precisato che, al fine di integrare gli estremi della condotta antisindacale di cui all’art. 28 I. n. 300/1970, “è sufficiente che tale comportamento leda oggettivamente gli interessi collettivi di cui sono portatrici le organizzazioni sindacali, non essendo necessario (ma neppure sufficiente) uno specifico intento lesivo da parte del datore di lavoro né nel caso di condotte tipizzate perché consistenti nell’illegittimo diniego di prerogative sindacali (quali il diritto di assemblea, il diritto delle rappresentanze sindacali aziendali a locali idonei allo svolgimento delle loro funzioni, il diritto ai permessi sindacali), né nel caso di condotte non tipizzate ed in astratto lecite, ma in concreto oggettivamente idonee, nel risultato, a limitare la libertà sindacale, sicché ciò che il giudice deve accertare è l’obiettiva idoneità della condotta denunciata a produrre l’effetto che la disposizione citata intende impedire, ossia la lesione della libertà sindacale e del diritto di sciopero”.
13. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
14. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
15. Di esse va disposta la distrazione ex art. 93 c.p.c. in favore del procuratore della controricorrente, avv. Lucidi, come da sua dichiarazione e richiesta.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge, somme di cui dispone la distrazione in favore dell’avv. C.L..
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