CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 febbraio 2018, n. 3957
Fallimento – Tributi – Contenzioso tributario – Procedimento – Tariffe professionali – Erronea interpretazione
Rilevato che
Con decreto depositato il 15 marzo 2012, il Tribunale di Cagliari ha respinto l’opposizione allo stato passivo proposta dall’avv. S. S. e dall’ avv. prof. F. B., intesa ad ottenere l’ammissione al passivo in prededuzione del Fallimento Casa di Cura Lay s.p.a. dell’integrale importo richiesto per l’attività resa nella stipula dei contratti di transazione per euro 137.038,56 e nell’ambito della procedura ex art.173 legge fall., per euro 373.117,43, in subordine, per euro 383.582,45, e nel caso fosse negata la prededuzione o fosse insufficiente l’attivo, per l’ammissione in privilegio ex art. 2751 bis n.2 cod. civ., a fronte dell’ammissione in prededuzione e, per l’ipotesi ex art.Ili bis legge fall, in privilegio, del minore importo di euro 100.084,50 oltre iva e epa, già calcolate le spese generali, e ritenute non provate le spese vive imponibili.
Il Tribunale, nello specifico, ha ritenuto che nel richiamare i documenti allegati all’insinuazione, i ricorrenti avevano chiesto, per quanto potesse occorrere, l’acquisizione del fascicolo di parte depositato nel procedimento di verifica, da ritenersi del tutto irrituale, non essendo assimilabile né alla richiesta di esibizione ex art.210 cod. proc. civ., né di informazioni d’ufficio, da cui l’impossibilità di procedere alla valutazione degli atti asseritamente compiuti e quindi degli onorari in relazione alla complessità delle questioni giuridiche trattate, né a diversa soluzione poteva addivenirsi alla stregua del decreto impugnato, da cui agevolmente erano evincibili i criteri seguiti per la decisione; che doveva condividersi la decisione del G.D. in relazione all’attività stragiudiziale, per la quale le parti avevano chiesto un separato compenso, non ritraibile dalla documentazione prodotta (accordo con Arco dell’Angelo e Segesta e corrispondenza col legale di controparte), non risultando la prestazione di attività diversa e separata da quella giudiziale( così Cass. 14443/2008), visto che detta attività era stata svolta per contrastare la richiesta di revoca dell’ammissione al concordato, i cui atti non erano stati riprodotti nel procedimento, al fine di una migliore valutazione dell’assunto della parte.
Ricorrono avverso detta decisione gli avv.S. e B., sulla base di nove motivi.
Il Fallimento ha depositato controricorso.
Il P.G. ha depositato le proprie conclusioni.
I ricorrenti hanno depositato la memoria ex art. 380 bis. 1. cod. proc.civ.
Considerato che
Col primo motivo, i ricorrenti si dolgono dell’avere il Tribunale ritenuto che fossero comunque gli stessi onerati della indicazione e produzione a pena di decadenza degli atti e dei documenti già depositati avanti al G.D., ai quali era stato fatto espresso riferimento e richiamati nell’opposizione come già prodotti ai numeri da 1 a 32, mentre la decadenza di cui all’art.99, comma 2 n.4, legge fall., che quale norma eccezionale è di stretta interpretazione, non può che riferirsi alle deduzioni ed alle produzioni nuove e non agli atti e documenti già acquisiti.
Secondo i ricorrenti, l’interpretazione del Tribunale è in contrasto con i principi di certezza del diritto, tutela del legittimo affidamento, uguaglianza delle parti nel processo, diritto ad un equo processo.
La parte propone questione di costituzionalità per contrasto di detta interpretazione dell’art.99, comma 2, n.4 legge fall., con le norme ed i principi comunitari e gli artt. 3 e 24 Cost., e deduce che in ogni caso, stante l’indispensabilità, il Tribunale avrebbe dovuto autorizzare la parte a ridepositare i documenti.
Col secondo, i ricorrenti denunciano il vizio di nullità del decreto per l’omessa pronuncia su tutte le istanze, autorizzazione al deposito in subordine, rimessione in termini per errore scusabile.
Col terzo, si dolgono della mancata pronuncia sulle istanze di cui alle note difensive del 31/3/2010 e alle udienze 20/1/2012 e 2/2/2012, ovvero istanza di acquisizione dei documenti ex artt.210 e 213 cod. proc. civ., e deducono che l’attività svolta era notoria o quanto meno conosciuta in dettaglio dal Collegio.
Col quarto, si dolgono del vizio di contraddittorietà della motivazione e sostengono che il Tribunale avrebbe potuto decidere anche in relazione all’attività giudiziale per risultare l’istanza e la domanda testualmente nel decreto del G.D., da questi riconosciuta l’attività svolta (riconosciuti i diritti e quindi le singole prestazioni) e comunque non contestata in sede di verifica, e che l’opposizione verteva sull’erronea interpretazione delle tariffe professionali.
Col quinto mezzo, i ricorrenti denunciano il difetto di motivazione, per avere il Tribunale apoditticamente ritenuto corretto il decreto, dal quale non si evincono i criteri adottati.
Col sesto, si dolgono del vizio di motivazione e della violazione
dell’art. 5 Tariffario forense; sostengono che il G.D. ha sostanzialmente applicato i minimi di tariffa pur riconoscendo il valore, l’importanza ed il numero delle questioni trattate, ma che il risultato ed i vantaggi non potevano essere valutati, essendo stata cassata con rinvio la sentenza confermativa del fallimento e pendendo ancora il giudizio; e che la Corte d’appello si è limitata a ritenere corretta l’applicazione dell’art.5 della tariffa.
Col settimo, i ricorrenti si dolgono della mancata ammissione degli onorari stragiudiziali per l’attività di assistenza e consulenza, sostenendo l’inconferenza del richiamo alla sentenza Cass. 1443/2008, riguardante il diverso caso di attività poi confluita nella presentazione dell’istanza di ammissione al concordato preventivo, e deducono di avere comunque chiesto in subordine il riconoscimento secondo i parametri dell’attività giudiziale.
Con l’ottavo mezzo, i ricorrenti denunciano che la liquidazione nel decreto impugnato delle spese a proprio carico è stata effettuata in violazione dell’art.9 del d.l. 24/1/2012, n.l, avendo il Tribunale applicato le tariffe professionali abrogate, anche se non era stato ancora emanato il d.m. per la liquidazione delle spese processuali, in assenza del quale il Giudice avrebbe dovuto chiarire la norma applicabile e gli standards di riferimento; che anche a ritenere corretto il riferimento del Tribunale a seguito della successiva modifica dell’art.9 del d.l. cit., il Giudice avrebbe dovuto indicare sistema e tariffa applicata, ed in ogni caso la liquidazione è eccessiva, né il totale corrisponde alla somma dei due importi.
Col nono, si dolgono della condanna all’iva e epa, essendo il Fallimento soggetto iva.
In primis, vanno disattese le prime due eccezioni preliminari del Fallimento, atteso che il ricorso è chiaramente rivolto e notificato al Fallimento, come si ricava agevolmente e senza alcuna incertezza dalla indicazione della società, in persona dei curatori, dalla notifica al difensore della Procedura nel giudizio avanti al Tribunale, dal preciso riferimento al giudizio di opposizione allo stato passivo e dalla richiesta di cassazione del decreto, al fine di ottenere l’ammissione in prededuzione.
Ciò posto, alla stregua di quanto fatto valere nella memoria ex art.380 bis. 1. cod. proc.civ., deve considerarsi l’incidenza nel presente giudizio dell’intervenuta sentenza della Corte d’appello di Cagliari n.7 /2016, depositata il 3 maggio 2016 e passata in giudicato, che, ritenuti insussistenti i presupposti della revoca dell’ammissione al concordato preventivo disposta con il decreto del Tribunale di Cagliari del 13/3/2009, ha revocato detto decreto ed “annullato” la sentenza dichiarativa di fallimento della società Casa di Cura Lay s.p.a.
Sulla sorte del giudizio di opposizione allo stato passivo nel caso della revoca della sentenza di fallimento, questa Corte si è pronunciata con l’ordinanza 19752/2017 nell’omologo giudizio di cui al n.rg. 11004/2012, promosso dagli stessi odierni ricorrenti nei confronti della Casa di Cura Maria Ausiliatrice, nei termini che seguono.
«La questione, in considerazione dell’applicazione nella specie della normativa fallimentare novellata, deve ritenersi nuova davanti a questa Corte, che si è già pronunciata sull’incidenza della sopravvenuta revoca della dichiarazione di fallimento, ma nella vigenza della normativa ante riforma, affermando, tra le ultime nella pronuncia del 29/5/2013, n. 13337 che ” il riacquisto della capacità processuale del fallito, conseguente alla chiusura (o alla revoca) del fallimento determina soltanto l’interruzione del processo nel quale sia parte il curatore fallimentare, onde il giudizio di opposizione allo stato passivo può essere riassunto nei confronti del (o proseguito dal) fallito tornato in bonis, al fine di giungere all’accertamento giudiziale sull’esistenza o meno del credito di cui si era chiesta l’ammissione al passivo (ex multis, Cass. 15934/2007, 1514/1998, 8331/1994, 3052/1983, 3478/1969). Né va sopravvalutata la circostanza …che le conclusioni della parte che prosegue il giudizio continuino, come nella specie, ad essere formulate in termini di ammissione al passivo fallimentare e non di condanna al pagamento del credito a carico della parte fallita tornata in bonis. Invero la domanda d’insinuazione al passivo si inserisce in un processo esecutivo concorsuale e tende all’accertamento del credito in funzione esecutiva mediante la sua collocazione sul ricavato dell’attivo fallimentare, sicché include qualcosa in più, e non di meno, della mera condanna al pagamento richiesta nel giudizio ordinario ( Cass. 15934/2007 cit.)…”.
Ora, tale orientamento non può essere trasposto nella specie ( tra l’altro, anche perche è intervenuta la revoca del fallimento nel corso del giudizio di legittimità, per il quale non è predicabile l’interruzione del giudizio), trovando applicazione la legge fallimentare riformata, visto che questa ha inteso strutturare il giudizio di opposizione allo stato passivo come un procedimento strettamente connesso alla procedura fallimentare, inteso ad accertare il credito ai soli fini dell’ammissione al passivo, come chiaramente evincibile alla stregua dell’espressa disposizione di cui all’art. 96 ultimo comma legge fall., che dispone che il decreto che rende esecutivo lo stato passivo e le decisioni assunte all’esito dei giudizi di cui all’art.99 legge fall, “producono effetti soltanto ai fini del concorso”, così rendendo palese l’inscindibile collegamento tra il procedimento fallimentare e l’accertamento del passivo che ivi si compie.
E la bontà della tesi assunta si coglie chiaramente, come evidenziato dalla difesa dei ricorrenti, nel disposto di cui all’ultimo comma dell’art.120 legge fall., che prevede che “il decreto o la sentenza con la quale il credito è stato ammesso al passivo costituisce prova scritta per gli effetti di cui all’art.634 del codice di procedura civile”.
Ne consegue che il creditore, che intenda agire nei confronti del debitore tornato in bonis, dovrà munirsi di un titolo esecutivo, potendo avvalersi della pronuncia di ammissione al passivo solo come prova scritta, ai fini del conseguimento del decreto ingiuntivo, così chiaramente rimanendo preclusa all’accertamento del credito effettuato nella procedura fallimentare la piena efficacia ultrafallimentare.
Su dette basi si giustifica il convincimento dello stretto ed ineludibile rapporto tra il giudizio di opposizione al passivo e la procedura fallimentare, sì da dover concludere per l’improcedibilità del primo a ragione della revoca del fallimento, passata in giudicato.
Né rileva il fatto che non vi sia stata anche la chiusura del fallimento, che si pone quale fase di appendice conseguente alla revoca, che ha già pertanto esplicato i suoi effetti sul giudizio di opposizione allo stato passivo, né possono incidere sull’effetto processuale che si è così determinato in relazione al procedimento fallimentare ormai definito con la revoca la nuova istanza di fallimento e la nuova domanda di ammissione al concordato preventivo.
Deve pertanto conclusivamente pronunciarsi la cassazione senza rinvio della pronuncia impugnata ai sensi dell’art.382, comma 3 ultima parte, legge fall., sulla base del seguente principio di diritto:” La sopravvenuta revoca della dichiarazione di fallimento, passata in giudicato, rende improcedibile il giudizio di opposizione allo stato passivo, attesa la natura endofallimentare di detto giudizio, inteso all’accertamento del credito con effetti limitati al concorso allo stato passivo.”»
Attesa la natura processuale della presente decisione, conseguente all’intervenuta pronuncia di revoca del fallimento, vanno compensate le spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
Cassa senza rinvio la pronuncia impugnata. Compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.
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