CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 maggio 2017, n. 12731

Omissioni contributive – Attività di installazione, manutenzione e riparazione di impianti industriali – Sgravi – Diritto – Sussistenza – Presupposti

Fatti di causa

1. La Corte d’appello dell’Aquila, con sentenza pubblicata in data 5/5/2010, ha rigettato l’appello proposto dall’Inps contro la sentenza resa dal Tribunale di Teramo che aveva accolto l’opposizione proposta dalla Di S. C. S.r.l. contro la cartella di pagamento emessa nei suoi confronti per omissioni contributive relative al periodo dicembre 1995-febbraio 1997, per intervenuta prescrizione quinquennale del credito.

2. La Corte, in dissenso dal Tribunale, ha escluso la prescrizione ma ha comunque ritenuto insussistente l’obbligazione contributiva in quanto la società (che aveva ad oggetto l’attività di installazione, manutenzione e riparazione di impianti industriali) era classificabile tra le imprese industriali ai sensi della delibera del CIPE del 3/5/1977 e, in quanto tale, beneficiaria degli sgravi previsti dall’art. 14 della L. 2/5/1976, n. 183.

3. Contro la sentenza l’Inps propone ricorso per cassazione sostenuto da due motivi. La società non svolge attività difensiva.

Ragioni della decisione

1. Il primo motivo di ricorso riguarda la violazione e la falsa applicazione dell’art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale e dell’art. 59, comma 9°, d.p.r. 6/3/1978, n. 218, che ha sostituito, modificandolo, l’art. 14 L. 2/5/1976, n. 83. Con questo mezzo l’istituto previdenziale si duole della applicazione della disposizione in esame, la quale prevedeva un termine per il godimento degli sgravi contributivi (“sino al periodo di paga in corso al 31 dicembre 1986”), già cessato alla data in riferimento alla quale si richiedevano gli sgravi (1995-1997).

2. Il secondo motivo è incentrato sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 59, comma 9°, D.P.R. n. 218/1978, cit., nonché sulla omessa, insufficiente o erronea motivazione della sentenza, nella parte in cui ha ritenuto sussistente il diritto della società agli sgravi senza verificare la sussistenza degli altri presupposti di legge.

3. Il primo motivo è fondato, con conseguente assorbimento del secondo.

3.1. La sentenza impugnata ha ritenuto sussistente il diritto agli sgravi previsti dalla legge n. 183 del 1976, e successive modificazioni, senza affrontare la questione della sua applicabilità sotto il profilo temporale, dando atto che le uniche questioni poste con l’appello dell’Inps riguardavano la insussistenza della prescrizione, dichiarata dal Tribunale ed esclusa dalla stessa Corte, e la natura non industriale dell’attività svolta dalla società opponente.

Si tratta tuttavia di questione che può e deve essere rilevata d’ufficio, riguardando la sussistenza, sotto il profilo della sua efficacia temporale, della norma di cui si chiede l’applicazione in giudizio: essa dunque sfugge a qualsiasi preclusione, trattandosi di un dovere officioso del giudice, sottratto a qualsivoglia limitazione, con la conseguenza che la deduzione con la quale la parte denunzi l’erroneità di tale applicazione non costituisce un’eccezione quanto, piuttosto, una sollecitazione al giudice ad avvalersi del dovere di fare applicazione della norma effettivamente destinata a regolare il caso di specie, in attuazione del principio “iura novit curia (cfr. su questioni analoghe, Cass. 29/12/2016, n. 27365; Cass. 14/03/2014, n.6042; Cass. 15/10/2012, n. 17645).

3.2. I benefici contributivi previsti dalla legge citata sono stati oggetto di numerose proroghe, fino alla L. 20/5/1993, n. 151, di conversione in legge del D. L. 22/3/1993, n. 71.

La legge del 1993, con l’art. 1, comma 1, ha introdotto la proroga generalizzata degli sgravi contributivi sino al periodo di paga in corso al 31 maggio 1993: essa, inoltre, ha introdotto un nuovo sistema di sgravio contributivo, sostituendo quello regolato dall’art. 59, comma 9°, del T.U. approvato con il d.P.R. n. 218 del 1978: ha infatti previsto il cosiddetto sgravio totale per i lavoratori nuovi assunti nel periodo dal 1/12/1991 al 31/5/1993, ad incremento delle unità effettivamente occupate alla data del 30 novembre 1991 per le assunzioni verificatesi fino al 30 novembre 1992 e da quest’ultima data per gli altri casi, nelle aziende industriali operanti nei settori indicati dal CIPE per un “periodo di un anno dalla data di assunzione del singolo lavoratore”.

L’art. 59, comma 9°, d.P.R. cit. deve ritenersi abrogato  per manifesta incompatibilità, ai sensi dell’art. 15 delle preleggi, dovendosi escludere, in base al generale criterio ermeneutico di cui all’art. 12 delle stesse preleggi, che il legislatore, nel momento in cui ha dettato una disciplina inerente allo sgravio totale ed in relazione ad una fattispecie che potrebbe, in teoria, essere regolata non solo dalla norma sopravvenuta, ma anche da quella precedente, abbia inteso creare un sistema di “doppio binario”, che consentirebbe all’imprenditore, a suo piacimento, di scegliere la disciplina a lui più favorevole (in tal senso Cass. Sez. Un., 18/7/2003, n. 11252; v. pure Cass. 6/10/2004, n.19936, in cui si ricostruisce il quadro normativo sugli sgravi contributivi per il mezzogiorno e le varie proroghe, fino alla legge del 1993, citata).

Il sistema degli sgravi che viene in rilievo nel caso in esame è, dunque, quello delineato con il d.l. 22/3/1993, n. 71, convertito in L. 20/5/1993, n. 151, art. 1, commi 1 e 2: nel caso in esame, tenuto conto dell’ambito del presente giudizio (contributi relativi al periodo dicembre 1995- febbraio 1997), va rilevato l’errore di diritto che inficia la sentenza impugnata e che è stato puntualmente denunciato dall’Istituto ricorrente avendo la Corte territoriale deciso la controversia non rilevando che la norma di cui si è chiesta l’applicazione risultava già abrogata per effetto della legge n. 151 del 1993, sicché, ratione temporis, non sussisteva più il diritto della parte all’esonero del versamento dei contributi, a prescindere dalla natura e dal tipo di attività svolta.

Il ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, a norma dell’art. 384, primo comma, cod.proc.civ., la causa deve essere decisa nel merito con il rigetto della originaria domanda.

In ragione della complessità del quadro normativo, come attestato anche dalle diverse soluzioni adottate dai giudici di merito, si ritiene che sussistano ragioni per compensare per intero tra le parti le spese dei giudizi di merito. Devono invece essere poste a carico della parte intimata le spese relative al presente giudizio nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta dalla Di S. C. S.r.l.; compensa tra le parti le spese dei gradi di merito e condanna la intimata al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in € 2700, di cui € 200 per esborsi, oltre al 15% di spese generali e altri accessori di legge.