Rapporto di lavoro – Dimissioni – Violenza morale – Licenziamento per furto – Prova
Svolgimento del processo
1. C.Y. aveva convenuto in giudizio la società A. Trasporti spa innanzi al Tribunale di Rovereto, per l’accertamento dell’inefficacia delle dimissioni in data 3.5.2011 e dell’illegittimità del licenziamento disciplinare comminato il 26.8.2011 e per la pronunzia dei provvedimenti restitutori, economici e reali.
2. Adita dalla A. Trasporti spa, la Corte di Appello di Trento ha confermato la sentenza di primo grado, che aveva annullato le dimissioni, aveva condannato la società al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data delle dimissioni a quella del licenziamento, aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento e aveva condannato la società a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro ed a pagargli l’indennità risarcitoria commisurandola all’importo pari a cinque mensilità di retribuzioni ed al versamento dei corrispondenti contributi previdenziali.
3. In ordine alle dimissioni, la Corte territoriale ha ritenuto che esse erano state rassegnate dal lavoratore sotto l’effetto di violenza morale, costituita dalle contestazioni del Capo del personale che, con toni ultimativi e involgenti “questioni di onore familiare”, lo aveva, costretto a scegliere di dimettersi piuttosto che subire il preannunciato licenziamento per furto.
4. Quanto al licenziamento, la Corte territoriale ha ritenuto che non erano emersi univoci elementi probatori idonei a dimostrare che il lavoratore avesse sottratto il kit di pronto intervento antinquinamento (del valore di circa € 200,00), da utilizzare per l’assorbimento di liquidi pericolosi, contenuto nel bidoncino blu (situato accanto al distributore).
5. Ha, in particolare, rilevato che l’istruttoria non aveva smentito la versione dei fatti offerta dal medesimo lavoratore, che aveva dedotto di avere ricevuto l’ordine di svuotare il bidoncino contenente stracci sporchi, perchè, a fronte delle deposizioni rese dai testi che avevano riferito della avvenuta confessione da parte del lavoratore di avere commesso il furto, il filmato registrato dalla videocamera aveva evidenziato che questi era passato davanti al bidoncino, che non appariva chiuso con sigilli e il cui contenuto non era evincibile, guardandolo con indifferenza e che nel corso della serata il medesimo lo aveva preso, sollevandolo come se fosse leggero e non in modo circospetto e lo aveva riportato dopo circa cinquanta minuti. Quanto riferito dal lavoratore (essersi recato alla macchinetta del caffè prima di uscire dall’azienda, avere caricato in macchina il bidoncino, essersi recato in paese per svuotarne il contenuto, essere poi ritornato per riporlo al suo posto) non risultava contrastato dalle emergenze istruttorie, mentre la circostanza che il bidoncino contenesse il kit antinquinamento, riferita da uno dei testi escussi, risultava contraddetta dalle deposizioni di segno opposto che avevano riferito che il bidoncino conteneva solo stracci sporchi.
6. La Corte territoriale ha ritenuto che l’inesistenza dell’illecito disciplinare addebitato escludeva la conversione del licenziamento per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo e che l’indennità risarcitoria doveva essere commisurata, ai sensi dell’art. 32 della L. n. 183 del 2010, all’ultima retribuzione globale di fatto, comprensiva, quindi di tutte le somme percepite con continuità (straordinario forfettario, indennità di disagio per trasferte nazionali ed estere, compensi per lavoro straordinario.
7. Avverso tale sentenza la società A. Trasporti spa ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, al quale C.Y. ha resistito con controricorso.
8. Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 Settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.
Motivi della decisione
Sintesi dei motivi
9. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 1434 e 1435 c.c., in relazione all’art. 2697 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto la illegittimità delle dimissioni nonostante difettasse la prova sulla violenza e sulla minaccia coartanti la volontà del lavoratore.
10. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 1434, 1435 e 1438 c.c., in relazione all’art. 2697 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto non provato l’inadempimento. La ricorrente sostiene che incombeva sul lavoratore l’onere di provare di non avere commesso il furto.
11. Entrambi i motivi, da esaminarsi congiuntamente, sono infondati.
12. In primo luogo perchè non è stato esplicitato in che modo le norme richiamate nelle rubriche sarebbero state violate dalla sentenza impugnata, quali sarebbero i principi di diritto asseritamente trasgrediti e in quali termini la violazione di queste norme della legge sostanziale abbia viziato la sentenza impugnata (Cass. 23675/2013, 25044/2013, 17739/2011, 7891/2007).
13. In secondo luogo perchè, in ciascuno dei motivi, la ricorrente, ad un tempo, contesta la violazione delle norme citate nelle rubriche e la loro falsa applicazione ( sussunzione) alla fattispecie dedotta in giudizio, senza confronto alcuno con i principi affermati ripetutamente da questa Corte sulla differenza ontologica tra vizio di violazione di legge, ex art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. e vizio di errata applicazione della legge alla fattispecie concreta, riconducibile all’art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c. (ex plurimis Cass. 7568/2016, 7568/2016, 26307/2014, 22348/2007), nei limiti consentiti dalla nuova formulazione di questa disposizione (Cass. SSUU 8053/2014), applicabile “ratione temporis” ( la sentenza impugnata è stata pubblicata il 10.6.2013).
14. Ulteriore profilo di infondatezza dei motivi consegue al fatto che essi in realtà, sotto l’apparente vizio di violazione di legge, mirano al riesame del materiale istruttorio, alla nuova valutazione dei fatti accertati, ricostruiti e valutati dal giudice del merito, non consentiti in sede di legittimità (Cass. ex plurimis Cass. SS.UU. 5802/1998 e 2418/2013; Cass. 18119/2008, 1014/2006).
15. Cosi è per le prospettazioni difensive esposte nel primo motivo, che si sofferma lungamente sul tenore delle deposizioni testimoniali, nel quale l’invocazione, non pertinente, dei principi affermati da questa Corte nella decisione n. 23116/2008 (relativa a fattispecie nella quale la pluralità e la concordanza degli elementi probatori, avevano indotto la Corte del merito a ritenere fondati gli addebiti mossi al lavoratore, dimessosi) mira a contrastare l’accertamento in fatto della sentenza in punto di inesistenza di valide ragioni per l’adozione del prospettato e minacciato licenziamento e in punto di avvenuta coercizione della volontà del lavoratore.
16. Così è per le argomentazioni sviluppate nel secondo motivo, nel quale si ricostruisce il contesto fattuale riferito negli scritti difensivi della stessa società, depositati nei giudizi di mentore si afferma il carattere indiziario degli elementi di prova offerti dal lavoratore, per giungere ad affermare erroneamente ed in contrasto con l’art. 5 della L. n. 604 del 1966 e con i principi ripetutamente affermati da questa Corte (Cass. 11206/2015,19189/2013, 6501/2013), che incombeva sul lavoratore l’onere di provare di non avere commesso il furto.
17. Infine, la tenuta della sentenza non è vulnerata dagli addebiti mossi alla motivazione, che, pur non espressamente formulati nelle rubriche, costituiscono implicita premessa degli argomenti difensivi spesi in ciascuno dei motivi; trova, infatti, applicazione “ratione temporis” la nuova disposizione contenuta nell’art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c. (cfr. punto 13 di questa sentenza).
18. Sulla scorta delle considerazioni svolte il ricorso va rigettato.
19. Le spese seguono la soccombenza
20. Ai sensi dell’art. 13 c. 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13 .
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 2.500.00, per compensi professionali ed € 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali forfettarie, oltre IVA e CPA.
Ai sensi dell’art. 13 c. 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.