CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 febbraio 2018, n. 4072

Natura subordinata del rapporto – Indici sussidiari invocati dal lavoratore – Retribuzione variabile e di gran lunga superiore a quella prevista dal CCNL – Osservanza di un orario fisso – Indizi non concordanti, gravi e precisi

Svolgimento del processo

1) Con sentenza del 22 giugno 2012 la corte d’Appello di Roma ha confermato la decisione del primo giudice che aveva respinto le domande di M.S. dirette a far accertare la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso con A.M.F. dal 22.5.2004 al 18.8.2007 e la inefficacia del licenziamento intimatogli oralmente il 18.8.2007, riformando la sentenza di primo grado soltanto in punto di condanna alla spese di lite, che ha invece compensato.

2) La Corte territoriale ha ritenuto che dalle prove acquisite in primo grado non era emersa l’esistenza di ordini specifici impartiti da parte di A.M.F., indicata quale datrice di lavoro, per essere stato escluso da due testi che S. ricevesse direttive e che fosse controllato nell’attività lavorativa svolta presso il ristorante.

3) La Corte ha poi escluso che la natura subordinata potesse ricavarsi dai c.d. indici sussidiari invocati dal lavoratore, essendo essi privi di valore decisivo, individualmente considerati e neanche integrando indizi concordanti, gravi e precisi.

Ciò sia con riferimento alla retribuzione, che era stata variabile e comunque di gran lunga superiore a quella prevista dal CCNL settore turismo in relazione al all’inquadramento rivendicato, tanto che comunque si sarebbe dovuto applicare il principio dell’assorbimento, sia con riferimento alla osservanza di un orario fisso.

4) La corte d’appello ha altresì rilevato che comunque nessuna prova era emersa in ordine all’avvenuto licenziamento orale dedotto dallo S..

5) Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso S., affidato a tre motivi, cui ha resistito la F. con controricorso.

Motivi della decisione

5) Con il primo motivo di ricorso S. deduce l’omessa, insufficiente e/ o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c.: secondo il ricorrente la sentenza sarebbe inficiata di vizi logici, sia con riferimento alla retribuzione il cui carattere variabile non sarebbe indice di autonomia, sia con riferimento alle mansioni, avendo i testi riferito che S. serviva ai tavoli , che la F. era la datrice d lavoro, sia perché osservava un orario di lavoro anche superiore a quello degli altri camerieri, essendo inserito nell’organizzazione aziendale, circostanza non analizzata dalla corte territoriale.

6) Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2719 c.c. ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c.. La corte avrebbe dovuto ritenere che le fotocopie delle tre ricevute di pagamento rilasciate dalla datrice di lavoro fossero conformi all’originale e che da tali fotocopie si sarebbe potuto ricavare la natura subordinata , contenendo la dichiarazione del ricorrente di ricevere le somme indicate a titolo di retribuzione, “in qualità di direttore di sala”.

7) con il terzo motivo di gravame il ricorrente deduce che la corte territoriale avrebbe erroneamente richiamato l’assorbimento, che la giurisprudenza ricondurrebbe all’ipotesi di una rapporto formalmente autonomo di cui viene accertata la subordinazione.

8) Il ricorso non merita accoglimento. Quanto al primo motivo il ricorrente in realtà prospetta una diversa valutazione degli elementi di fatto che hanno portato la Corte di merito a ritenere insussistente un vincolo di dipendenza nel rapporto di lavoro intercorso tra le parti. Ed infatti il ricorrente analizza ogni elemento preso in considerazione – retribuzione variabile, mansioni svolte, orario di lavoro, entità dei compensi – diversamente da quanto ha fatto la corte di merito, supportando la diversa valutazione offerta anche attraverso alcune testimonianze, oltre che con lo stesso libero interrogatorio di S., peraltro trascritti solo approssimativamente e letti diversamente da quanto ha fatto la corte romana. Il ricorrente quindi non censura la motivazione in sé denunciandone un’ illogicità o un’omissione nel percorso argomentativo su punti decisivi, ma lamenta l’interpretazione che dei fatti analizzati ha fornito la corte di merito. Tale operazione è inammissibile, come più volte statuito da questa Corte (cfr tra le tante Cass. 25332/2014, Cass. n. 11892/2016).

9) Il secondo motivo di gravame è in parte inammissibile e in parte comunque infondato. Non sono state trascritte in ricorso le tre ricevute contenenti le dichiarazioni del ricorrente e neanche risultano depositate o ne è stata indicata specificatamente la loro collocazione nel fascicolo di parte, con evidente violazione del principio di autosufficienza sancito dagli artt. 366 c. 1 n. 6 e 369 c. 2 n. 4 c.p.c.. Ma comunque il motivo è infondato, non potendosi ravvisare alcuna lamentata violazione della norma di cui all’art. 2719 c.c. La corte di merito, pur premettendo che il ricorrente aveva disconosciuto in primo grado il contenuto di tali ricevute, prodotte in fotocopia in primo grado dalla convenuta F. e che semplicemente davano atto di compensi ricevuti in qualità direttore di sala da parte del ricorrente, ha comunque motivato precisando che le stesse erano state poi esibite in originale all’udienza di discussione in primo grado, ma che non avevano rilevanza probatoria ai fini del riconoscimento della natura subordinata del rapporto.

10) Il terzo motivo è assorbito da quanto prima osservato rispetto agli altri due motivi ed il ricorso va respinto con condanna del ricorrente, soccombente, alla rifusione delle spese del grado, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi, euro 4000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.