CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 febbraio 2018, n. 4083
Licenziamento disciplinare – Condotta che il contratto collettivo punisce espressamente con una sanzione conservativa – Violazione del principio di autosufficienza del ricorso – Risarcimento del danno – Mancanza di una costituzione in mora del datore di lavoro – Non rileva – Presunzione iuris tantum di lucro cessante – Fatti limitativi del danno come l’aliunde perceptum – Onere della prova grava sul debitore
Fatti di causa
1. La Corte di appello di Roma ha rigettato l’appello principale di Anas S.p.a. ed incidentale di F.D.S. ed ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato al D.S. da Anas s.p.a. il 21 agosto 2007, ordinandone la reintegrazione nel posto di lavoro e condannando la società a risarcire il danno, respinta la domanda di riconoscimento dell’avvenuto svolgimento di mansioni superiori e di risarcimento del danno da mobbing.
2. Il giudice di secondo grado, dato atto che la sentenza era passata in giudicato con riguardo alle domande di risarcimento del danno da demansionamento e da mobbing, ha ritenuto che illegittimamente era stato comminato il licenziamento a fronte di una condotta che il contratto collettivo applicabile al rapporto punisce espressamente con una sanzione conservativa, sanzione prevista anche per condotte più gravi, e dunque ha escluso che fosse ammissibile e legittima l’irrogazione di una sanzione espulsiva.
2.1. Quanto al risarcimento del danno ha ritenuto che non fosse necessaria una costituzione in mora della datrice di lavoro e che avrebbero potuto essere detratti, se provati, solo i compensi medio tempore percepiti.
2.2. Quanto all’appello incidentale, la Corte lo ha rigettato evidenziando che ai fini del conseguimento della qualifica superiore di quadro, disciplinata dall’art. 57 del c.c.n.l. di categoria, non era sufficiente il mero decorso del tempo nella categoria inferiore ma era necessario lo svolgimento di un’attività istruttoria qualificata e di mansioni di controllo di “significativi” gruppi di lavoratori. Inoltre il giudice di secondo grado ha osservato che per il conseguimento della qualifica superiore era necessario che le mansioni svolte fossero sussumibili in quelle proprie della qualifica rivendicata e che la circostanza che la responsabilità dell’ufficio tecnico espropri fosse stata attribuita ad un soggetto che aveva il medesimo titolo di studi del ricorrente non era di per sé utile per ritenere accertato il diritto del ricorrente ad essere del pari inquadrato in tale qualifica.
3. Per la cassazione della sentenza ricorre Anas s.p.a. che censura la sentenza con due motivi ulteriormente illustrati con memoria. Resiste con controricorso F.D.S..
Ragioni della decisione
4. Con il primo motivo di ricorso è censurata la sentenza per .violazione e falsa applicazione dell’art. 55 comma 4, con omessa applicazione dell’art. 57 n. 2 del c.c.n.l. Anas del 18.12.2002 e violazione degli artt. 1362, 1363, 1367 e 1369 cod.civ..
4.1. Sostiene la ricorrente che la Corte territoriale avrebbe erroneamente interpretato e falsamente applicato le disposizioni citate e non avrebbe considerato che gli alterchi, le liti e le offese in relazione ai quali trova applicazione la sanzione della sospensione dal servizio ai sensi del citato art. 55 comma 4 lettere j) e n) del c.c.n.l. di categoria sarebbero sganciati dal rapporto di servizio, mentre ove gli stessi comportamenti siano rapportabili allo svolgimento del rapporto di lavoro allora essi devono essere sanzionati, ai sensi dell’art. 57 del contratto collettivo con il licenziamento.
4.2. Evidenzia allora che nel caso in esame la condotta censurata, posta in essere in una relazione d’ufficio e nello svolgimento della prestazione, era riconducibile alla seconda ipotesi in quanto incideva negativamente sull’organizzazione lavorativa e realizzava una violazione della subordinazione funzionale ed una interruzione del servizio e della prestazione del superiore e di altri colleghi ed essendo irrilevante la circostanza che altre condotte ed asseritamente più gravi condotte fossero punite con sanzioni conservative, il licenziamento doveva essere ritenuto legittimo.
5. Tanto premesso rileva preliminarmente il Collegio che l’art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., così come modificato dall’art. 7 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, onera il ricorrente per cassazione di produrre a pena di improcedibilità del ricorso, “gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”. Tale onere è soddisfatto, sulla base del principio di strumentalità delle forme processuali, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell’art. 369, terzo comma, cod. proc. civ.. Tuttavia è in ogni caso necessario che sia specificamente indicato nel ricorso, a pena di inammissibilità ex art. 366, n. 6, cod. proc. civ., quali siano gli atti ed i documenti rinvenibili ed i dati necessari al loro reperimento (cfr. Sez. U, 03/11/2011 n. 22726). Se dunque può essere sufficiente “la riproduzione, nel corpo dell’atto d’impugnazione, della sola norma contrattuale collettiva sulla quale si basano principalmente le doglianze, purché il testo integrale del contratto collettivo sia stato prodotto nei precedenti gradi di giudizio e, nell’elenco degli atti depositati” (Cass. 07/07/2014 n. 15437) tuttavia è pur sempre necessario che si provveda alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame. (cfr. Cass. 09/04/2013 n. 8569 e 15/07/2015 n. 14784).
5.1. Nel caso in esame a fronte di una denuncia di errata interpretazione e falsa applicazione degli artt. 55 e 57 del contratto collettivo di settore, che dettano il regime sanzionatorio e disciplinare, nel corpo del ricorso sono riportate solo alcune parti delle disposizioni censurate e nulla è detto circa la collocazione degli atti nel fascicolo del processo.
5.2. Ne consegue che la censura, per come formulata, prima ancora che improcedibile ai sensi dell’art. 369 secondo comma n. 4 cod. proc. civ. per non essere stato allegato al ricorso per cassazione il contratto collettivo di cui è denunciata l’errata interpretazione, è inammissibile per violazione dell’art. 366 primo comma n. 6 cod. proc. civ. non essendo precisato neppure se ed in che sede sia stato depositato il testo integrale del contratto collettivo stesso.
6. Con il secondo motivo di ricorso, proposto in via gradata, è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 18 della legge 20 maggio 1970 n. 300 nel testo, ratione temporis applicabile, antecedente le modifiche apportate dalla legge 28 giugno 2012 n. 92. Secondo la società ricorrente in mancanza di una costituzione in mora della datrice di lavoro il risarcimento avrebbe dovuto essere contenuto nella misura minima e inderogabile di cinque mensilità.
6.1. La censura è destituita di fondamento. La Corte territoriale, infatti, si è attenuta al principio ripetutamente affermato da questa Corte in base al quale l’art. 18 comma 4, (nel testo sostituito dalla L. 11 maggio 1990, n. 108, art. 1) nel prevedere, nell’ipotesi di invalidità del licenziamento, la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per effetto del licenziamento stesso, mediante corresponsione di un’indennità commisurata alla retribuzione non percepita, stabilisce una presunzione iuris tantum di lucro cessante, fatta eccezione per la misura minima del risarcimento (5 mensilità di retribuzione), la quale è assimilabile ad una sorta di penale, avente la sua radice nel rischio d’impresa (Cass. 3 maggio 2004 n. 8364). Nei confronti di questa presunzione juris tantum, è il debitore (datore) ad avere l’onere di provare che sussistono fatti limitativi del danno (come l’aliunde perceptum) (cfr. Cass. 28/03/2006 n. 7049). La sentenza delle sezioni unite di questa Corte che ha ritenuto che, nei contratti a prestazioni corrispettive, l’inidoneità del licenziamento ad incidere sulla continuità del rapporto di lavoro non comporta il diritto del lavoratore alla corresponsione delle retribuzioni maturate dal giorno del licenziamento inefficace, bensì solo il risarcimento del danno da determinarsi secondo le regole in materia di inadempimento delle obbligazioni (Cass. s.u. 27/07/1999 n. 508) era riferita alla fattispecie, diversa da quella oggi sottoposta all’esame della Corte, di rapporti sottratti al regime della tutela reale di cui all’art. 18 legge n. 300 del 1970, come modificato dall’art. 1 legge n. 108 del 1990 (art. 18 che, viceversa, nel caso in esame è pacificamente applicabile).
7. In conclusione, e per le ragioni sopra esposte, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura precisata in dispositivo. Occorre poi dare atto che ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 sussistono i presupposti per il versamento da parte della società ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna l’Anas s.p.a. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in € 5.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato d.P.R..
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