CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 giugno 2017, n. 15233

Inail – Verbale ispettivo – Accertamento del rischio radiologico – Premi antinfortunistici – Inquadramento dell’attività dei medici

Fatti di causa

Con sentenza n. 992/2010 la Corte d’appello di Salerno confermava la sentenza del locale Tribunale che aveva respinto l’opposizione proposta dalla C. H. s.p.a. avverso il verbale ispettivo dell’INAIL, notificato il 29.1.2007 e con il quale erano state richieste differenze di premi antinfortunistici, unitamente alla domanda subordinata tesa alla dichiarazione di irretroattività della pretesa ed all’annullamento delle sanzioni. Il giudice di primo grado aveva ritenuto confermate le risultanze del verbale ispettivo relative all’accertamento del rischio radiologico derivante dal possesso di diverse fonti radiogene, all’inquadramento dell’attività dei medici in servizio presso la struttura nella voce 0311 della tariffa prevista dal D.M. 12.12.2000 ed aveva affermato l’inapplicabilità del principio di irretroattività all’ipotesi di rettifica della classificazione del rischio.

Per la cassazione di tale sentenza la s.p.a. C. H. propone ricorso affidato a cinque motivi. Resiste con controricorso l’Inail.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso C. H. s.p.a. lamenta la violazione dell’art. 2700 cod. civ. e delle circolari Inail n. 81 del 31.12.1986 e n. 24 del 1994 in ragione, sostanzialmente, del fatto che tutte le valutazioni degli ispettori erano fondate su mere dichiarazioni dei medici non allegate al verbale né riferite in sede testimoniale e che non si era trattato di diverso inquadramento ma di modifica della voce di tariffa mai segnalata dall’Istituto nonostante la evidente differenza esistente tra la voce 0722 (prevista per il personale che fa uso diretto di videoterminali e macchine da ufficio) e la voce 0311 (relativa al personale addetto ad ambulatori medici…gabinetti per cure fisioterapiche e gabinetti radiologici).

2. Il secondo motivo prospetta la falsa applicazione dell’art. 116 della legge n. 388/2000 derivante dall’aver applicato alla fattispecie concreta, caratterizzata al più dal mero errore nell’individuazione della tariffa, la disciplina dell’evasione contributiva.

3. Il terzo motivo ha per oggetto la falsa applicazione dell’art. 16 del d.m. 12 dicembre 2000 in ragione dell’effetto retroattivo che la Corte territoriale ha riconosciuto all’accertamento compiuto dal verbale ispettivo con applicazione della tariffa 0331 al personale medico sin dal 1.1.1987 pur non essendovi alcuna prova che la società avesse presentato denunce erronee o incomplete.

4. Il quarto motivo attiene alla violazione degli artt. 2,3 e 4 del d.p.r. n. 1124/1965 e dell’art. 1882 cod, civ. in relazione alla circostanza che la Corte d’appello aveva ritenuto di considerare dovuto il premio speciale per gli addetti alle fonti radiogene in misura corrispondente all’utilizzo di sei apparecchi e non di uno nonostante che le fonti radiogene fossero costruite in maniera da rendere impossibile l’utilizzo simultaneo delle dette fonti, così realizzando una interpretazione non coerente con la ratio assicurativa dell’obbligo.

5. Con il quinto motivo, infine, si deduce la violazione dell’art. 3 della legge n. 335/1995 posto che la Corte territoriale aveva implicitamente rigettato l’eccezione di prescrizione sollevata dalla parte.

6. I motivi, tutti correlati tra di loro, vanno esaminati congiuntamente e sono infondati.

7. In primo luogo, infatti, deve affermarsi che la sentenza impugnata non ha violato l’art. 2700 cod. civ. e neppure le circolari dell’Inail n. 81 del 1986 e n. 24 del 1994, dal momento che, nel confermare la pronuncia di primo grado, ha correttamente osservato che il Tribunale aveva effettuato una disamina del materiale documentale acquisito in sede ispettiva e delle dichiarazioni rese dal personale medico; dunque, il convincimento era stato tratto dalla diretta valutazione di tali atti anche in considerazione che non era stato contestato lo svolgimento, da parte dei medici in servizio presso la struttura, di normale attività nelle corsie, negli ambulatori e nelle sale operatorie e che l’uso delle attrezzature elettriche ed elettroniche era finalizzato esclusivamente alla stesura di relazioni e cartelle cliniche.

8. Pertanto, come correttamente precisato dalla Corte territoriale, non si è venuti meno al principio più volte espresso da questa Corte di legittimità secondo cui i verbali redatti dai funzionari degli enti previdenziali e assistenziali o dell’Ispettorato del lavoro fanno piena prova dei fatti che i funzionari stessi attestino avvenuti in loro presenza o da loro compiuti, mentre, per le altre circostanze di fatto che i verbalizzanti segnalino di avere accertato (ad esempio, per le dichiarazioni provenienti da terzi, quali i lavoratori, rese agli ispettori) il materiale probatorio è liberamente valutabile e apprezzabile dal giudice, unitamente alle altre risultanze istruttorie raccolte o richieste dalle parti (vd. Cass. n.9251/2010; 14965/2012). Peraltro, la ricorrente non chiarisce in che modo sarebbero state violate le circolari dell’Istituto sopra richiamate limitandosi a denunciare, con inammissibile cumulo di vizi motivazionali e di violazione di legge, l’erroneità del percorso argomentativo seguito dalla Corte territoriale che l’aveva indotta a non tener conto della pregressa costante assicurazione del personale medico alla voce di tariffa ex 813 attuale 722 ed a ritenere l’effetto retroattivo dell’accertamento.

9. Ciò premesso, deve darsi atto che il ricorso non presenta alcun motivo espresso diretto ad aggredire l’operazione di sussunzione del personale medico nella voce tariffaria 0311 del d.m. 12.12.2000, essendo tale critica formulata in forma diffusa, attraverso la reiterazione dei contenuti delle difese di parte nel corso del giudizio riprodotte nella discussione del motivo relativo alla violazione dell’art. 2700 cod. civ. e delle circolari sopra citate. Anche a voler ritenere comunque formulato un valido motivo in tal senso, deve ritenersi corretta l’attività di sussunzione posta in essere dalla Corte territoriale.

10. Infatti, ai fini della determinazione del premio da pagare per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, non è consentito cercare definizioni delle lavorazioni in fonti diverse dalle tabelle contenute nei decreti ministeriali emanati ai sensi dell’art. 40, primo comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, tabelle basate sull’analisi del rischio infortunistico dell’attività svolta, a meno che la lavorazione di cui si tratta non sia contemplata dalla tariffa della gestione nella quale è inquadrato il datore di lavoro e sempre con l’avvertenza che, in questo caso, “la relativa classificazione è effettuata attraverso l’analisi tecnica delle operazioni fondamentali che compongono la lavorazione stessa, in modo da poterla ricondurre a specifiche previsioni tariffarie della gestione nella quale è inquadrato il datore di lavoro”, come prescritto dall’art. 7, comma 1, del D.M. 12 dicembre 2000. (vd. Cass. 9769/2013).

11. Nel caso di specie la voce pretesa dall’Inail è quella prevista dal d.m. 12 dicembre 2000 al n. 0311 del “Grande gruppo 0″ delle ” Attività varie” specificamente prevista per il personale delle strutture sanitarie: ospedali, cliniche, case di cura, di salute, di maternità ecc.. e ciò è del tutto coerente con l’attività professionale svolta dal personale sanitario indicato durante l’accertamento in considerazione del fatto che non vi è mai stata contestazione sul concreto contenuto dell’attività medesima, come riferito dalla sentenza impugnata.

12. Anche il profilo di censura relativo al calcolo del premio speciale dovuto per il personale addetto a fonti radiogene è infondato. L’art. 42 del t.u. n. 1124/1965, dispone che per quelle lavorazioni, rispetto alle quali esistano, in dipendenza della loro natura o dello modalità di svolgimento o di altre circostanze, difficoltà per la determinazione del premio di assicurazione nei modi di cui all’articolo precedente, sono approvati, con decreto del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, su delibera dell’istituto assicuratore, premi speciali unitari in base ad altri elementi idonei quali il numero delle persone, la durata della lavorazione, il numero delle macchine, la quantità di carburante utilizzato, tenuto conto del disposto di cui al secondo comma dell’art. 39.

13. La testuale volontà legislativa impone, dunque, che si faccia riferimento esclusivo al numero delle macchine presenti e non alle peculiari modalità di funzionamento dei meccanismi che tali macchine compongono. In particolare, non assume rilievo ai fini della norma che le fonti radiogene non possano in concreto funzionare simultaneamente poiché, a prescindere dalla veridicità dell’assunto, non è consentito, in tale ambito, superare attraverso considerazioni meramente fattuali la valutazione delle modalità di assicurazione del rischio adottata dal legislatore.

14. La Corte Costituzionale con la sentenza n. 100/1991 ha, invero, avuto modo di puntualizzare che oggetto della tutela assicurativa disposta dalla legge n. 93 del 1958 non è la pericolosità dell’attività considerata, concretamente misurabile secondo un certo grado di probabilità statistica, bensì l’attività per sé stessa, in quanto connotata dall’impiego di apparecchi radiologici e di sostanze radioattive che richiedono l’esposizione alle radiazioni ionizzanti. Di conseguenza, non essendo l’esistenza del rischio un elemento della fattispecie assicurativa e restando perciò esclusa l’applicabilità dell’art. 1895 cod. civ., non si può al riguardo parlare di “presunzione assoluta di rischio”. Da ciò deriva l’irrilevanza della ridotta rischiosità nell’utilizzo delle apparecchiature evidenziata dalla ricorrente al fine di ridurre il numero dei premi speciali unitari da corrispondere.

15. E’, quindi, coerente con tale principio considerare in termini di pluralità gli apparecchi installati laddove si tratti di apparecchi monoblocco, costituiti ciascuno da un tubo radiogeno stabilmente incorporato nello stesso involucro che contiene il generatore di alta tensione, indipendentemente dall’esistenza di un organo di comando unico (commutatore, tavolo di comando, interruttori, …), che consenta in presenza di più apparecchi di far funzionare soltanto un apparecchio per volta.

16. Da ciò deriva che, in applicazione del principio espresso dalla Corte Costituzionale sopra ricordato e delle coerenti regolamentazioni operative interne che l’Istituto si è dato, la presenza di più tubi radiogeni correlati a più apparecchi determina che per ciascuno di tali apparecchi vada corrisposto un premio speciale unitario, come correttamente ritenuto dalla sentenza impugnata.

17. Quanto, poi, alla decorrenza degli obblighi assicurativi scaturenti dagli accertamenti oggetto di giudizio, va osservato che nel caso di specie è rimasto accertato che l’inesatta classificazione è dipesa esclusivamente dalle erronee dichiarazioni della datrice di lavoro in punto di contenuti delle prestazioni lavorative dei medici dipendenti e di reale consistenza degli apparecchi radiogeni posseduti, non essendovi alcun provvedimento pregresso adottato dall’Inail, per cui trova applicazione l’art. 16 comma 2 lett. a) del d.m. 12.12.2000 (intitolato alla rettifica d’ufficio della classificazione delle lavorazioni), che stabilisce: “L’Inail, accertato in qualsiasi momento che la classificazione delle lavorazioni e la relativa tassazione sono errati, procede alle necessarie rettifiche con provvedimento motivato. 2. Il provvedimento è comunicato al datore di lavoro con lettera raccomandata con avviso di ricevimento e ha effetto dal primo giorno del mese successivo a quello della comunicazione, salvi i seguenti casi, nei quali esso decorre dalla data in cui l’esatta classificazione delle lavorazioni e la relativa tassazione dovevano essere applicati: a) erronea o incompleta denuncia del datore di lavoro che abbia comportato il versamento di un premio minore di quello effettivamente dovuto; si applicano in tali casi anche le sanzioni previste per l’erronea o incompleta denuncia”.

18. Quanto, poi, alla questione del regime sanzionatorio applicabile alla fattispecie, va rilevato che la sentenza impugnata non tratta in alcun modo la questione, limitandosi a riferire in epigrafe che l’appellante aveva chiesto, in subordine, annullarsi le sanzioni. Poiché il giudizio sulla concreta applicazione di una delle diverse tipologie sanzionatone previste dall’art. 116 della legge n. 388/2000 è altro rispetto alla valutazione della mera sussistenza del generico obbligo di versarle e non può che poggiare su precise premesse in fatto, deve ritenersi l’inammissibilità del motivo.

19. Infatti, questa Corte di cassazione ha precisato che qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata né indicata nelle conclusioni riportate in epigrafe, il ricorrente che riproponga tale questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (vd. Cass. 8206/2016; 25546/2006).

20. La ricorrente si è limitata a riportare stralci del ricorso introduttivo di primo grado contenenti le conclusioni (vd. pag. 2 ricorso per cassazione) tendenti ad ottenere, in via subordinata, che l’accertamento dell’Istituto fosse considerato quale rettifica con effetti decorrenti dalla comunicazione e consequenziale revoca delle sanzioni.

21. Da ultimo va rilevata l’inammissibilità del motivo di ricorso riferito al decorso della prescrizione ai sensi dell’art. 3 della legge n. 335/1995, posto che – anche in questo caso- a fronte dell’assenza di ogni riferimento alla questione nella sentenza impugnata, anche nelle conclusioni riportate in epigrafe, e considerato che la valutazione del decorso del termine prescrizionale non può prescindere dalla ricostruzione dei fatti rilevanti e dell’epoca del loro verificarsi, la ricorrente non ha in alcun modo riferito in quale sede processuale la questione era stata posta sia in primo grado che in appello.

22. In definitiva il ricorso va rigettato e le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore del controricorrente, che liquida in Euro 5000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori.