CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 settembre 2017, n. 21737
Imposte indirette – IVA – Accertamento – Esenzione – Elenchi cessioni intracomunitarie – Istituto della continuazione
Fatti di causa
1. La L. s.r.l. impugnava dinanzi alla C.T.P. di Milano l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle entrate, sul rilievo che la società contribuente non potesse usufruire dell’esenzione IVA ex art. 41 d.l. n. 331/1993, chiedeva il pagamento della maggiore IVA dovuta ed irrogava le relative sanzioni. Nell’atto impugnato, l’Amministrazione finanziaria rilevava che la società aveva effettuato una serie di operazioni di cessione nei confronti di un cliente inglese la cui partita IVA, essendo cessata, non dava luogo all’esenzione di cui all’art. 41 cit.
2. L’adita commissione tributaria accoglieva parzialmente il ricorso, ritenendo che le operazioni oggetto dell’avviso di accertamento potessero beneficiare dell’esenzione, annullando le conseguenti sanzioni, ad eccezione della sanzione emessa per irregolare compilazione degli elenchi delle cessioni, nella misura di € 5.160,00, che veniva invece confermata.
3. La pronuncia veniva impugnata in via principale dall’Ufficio, ribadendo la legittimità dell’avviso di accertamento, e in via incidentale dalla contribuente, la quale, con riferimento alla sanzione confermata dalla C.T.P., si doleva del fatto che il giudice di primo grado non avesse applicato una sanzione ridotta ai sensi dell’art. 12 d.lgs. n. 472/1997.
4. La C.T.R. della Lombardia, con sentenza n. 162/24/06, respingeva l’appello principale e, in accoglimento dell’appello incidentale, rideterminava, in applicazione della continuazione, la sanzione irrogata in € 774,00.
5. Avverso tale decisione, l’Ufficio proponeva ricorso per cassazione, articolato in due motivi. Con il primo, denunciava violazione e falsa applicazione dell’art. 57 d.lgs. n. 546/92, lamentando che la C.T.R. aveva accolto l’appello incidentale della società con il quale, in relazione all’art. 12 d.lgs. n. 472/97, si contestava la misura della sanzione irrogata, nonostante la questione fosse stata introdotta per la prima volta in sede di gravame, avendo in primo grado la contribuente prospettato soltanto la sussistenza dei presupposti per beneficiare dell’esenzione IVA ex art. 41 d.l. n. 331/1993. Con il secondo motivo, l’Agenzia delle entrate censurava la sentenza impugnata per avere applicato l’istituto della continuazione, pur prevedendo espressamente l’art. 11, comma 4, d.lgs. n. 471/1997 che l’inesatta compilazione degli elenchi delle cessioni intracomunitarie desse luogo al cumulo materiale delle sanzioni.
6. Questa Corte, con sentenza n. 1681 del 24/01/2013, confermava la sentenza impugnata, osservando che non sussisteva corrispondenza tra l’unico motivo di ricorso, concernente profili di ordine processuale, ed il quesito di diritto formulato, afferente ad una questione di carattere sostanziale. Rilevava, inoltre, che, ove si volesse dare prevalenza al motivo di impugnazione, questo avrebbe dovuto essere respinto, non essendo possibile conoscere, attraverso il solo ausilio del ricorso per cassazione, quale fosse il contenuto del ricorso originario e verificare, in tal modo, se l’eccezione inerente la misura della sanzione irrogata fosse stata sollevata solo in appello.
7. Avverso la suddetta sentenza l’Agenzia delle entrate propone ricorso per revocazione, deducendo che il ricorso per cassazione si fondava su due distinti motivi, mentre la sentenza dava atto della esistenza di un unico motivo, fondando sullo stesso la decisione.
8. La società contribuente non ha svolto difese.
Ragioni della decisione
1. Con il ricorso proposto, l’Agenzia delle entrate deduce l’errore revocatorio della sentenza di questa Corte n. 1681/2013, consistito nell’errato convincimento, desumibile dagli atti, che il ricorso per cassazione, per il mancato esame della pagina 4 del ricorso, medesimo, si componesse di un unico motivo e non di due motivi, conseguentemente correlando erroneamente al primo motivo il quesito di diritto formulato per il secondo.
La revocazione è fondata.
Il Collegio, invero, non ha considerato che a pagina 4 del ricorso per cassazione, oltre ad essere formulato il quesito di diritto relativo al primo motivo, era riportato anche il secondo motivo di ricorso, il quale si concludeva alla pagina successiva con la formulazione del pertinente quesito di diritto.
Ricorre pertanto, nella fattispecie, una ipotesi di errore revocatorio di fatto, ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c., della sentenza della Corte di cassazione, posto che il mancato esame di uno dei motivi di ricorso nell’erronea supposizione dell’inesistenza del motivo stesso non è frutto di una mera omissione, ma di un errore di percezione di un fatto processuale (in termini, Cass. civ., sez. lav., 13-12-2016, n. 25560).
2. Accolta la revocazione, occorre procedere, in sede rescissoria, all’esame dei motivi del ricorso per cassazione deciso con la citata sentenza n. 1681/2013.
3. Con il primo motivo l’Agenzia delle entrate ha denunciato violazione e falsa applicazione dell’art. 57 d.lgs. n. 546/92, lamentando che la C.T.R. aveva accolto l’appello incidentale della società con il quale, in relazione all’art. 12 d.lgs. n. 472/97, si contestava la misura della sanzione irrogata, nonostante la questione fosse stata introdotta per la prima volta in sede di gravame, avendo in primo grado la contribuente prospettato soltanto la sussistenza dei presupposti per beneficiare dell’esenzione IVA ex art. 41 d.l. n. 331/1993.
La censura si palesa inammissibile.
Con la sentenza n. 1681 del 2013, questa Corte, dopo aver (per errore di fatto) rilevato che non sussisteva corrispondenza tra l’unico motivo di ricorso, concernente profili di ordine processuale, ed il quesito di diritto formulato, afferente ad una questione di carattere sostanziale, ha osservato che, ove si volesse dare prevalenza al motivo di impugnazione, questo avrebbe dovuto essere respinto, non essendo possibile conoscere, attraverso il solo ausilio del ricorso per cassazione, quale fosse il contenuto del ricorso originario e verificare, in tal modo, se l’eccezione inerente la misura della sanzione irrogata fosse stata sollevata solo in appello.
La Corte, quindi, ha comunque proceduto all’esame del primo mezzo di impugnazione, disattendendolo per non avere l’Agenzia ricorrente posto in condizione il giudice di legittimità di verificare, sulla base dell’esame del solo ricorso per cassazione, se l’eccezione in questione fosse effettivamente nuova, in quanto non formulata in primo grado. Tale statuizione non è stata censurata dalla ricorrente e si palesa conforme all’orientamento giurisprudenziale secondo cui anche nell’ipotesi in cui si prospetti un error in procedendo per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del «fatto processuale», detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all’adempimento da parte del ricorrente, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, dell’onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca ma solo ad una verifica degli stessi (in termini, Cass. n. 15367 del 2014).
4. Con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere applicato l’istituto della continuazione, pur prevedendo espressamente l’art. 11, comma 4, d.lgs. n. 471/1997 che l’irregolare compilazione degli elenchi delle cessioni intracomunitarie comportasse il cumulo materiale delle sanzioni.
Il motivo è infondato.
L’art. 11, comma 4, d.lgs. n. 471/1997 prevede che l’omessa presentazione degli elenchi di cui all’art. 50, comma 6, del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla I. 29 ottobre 1993, n. 427, ovvero la loro incompleta, inesatta o irregolare compilazione sono punite con la sanzione da € 516 ad € 1.032 per ciascuno di essi.
Orbene, ritiene la Corte che la portata precettiva della norma suddetta sia limitata alla previsione di una sanzione per ogni irregolare compilazione degli elenchi, senza tuttavia derogare al principio del cumulo giuridico tra le sanzioni, previsto dall’art. 12 d.lgs. n. 472/97 e correttamente applicato, nella fattispecie, dalla C.T.R. della Lombardia.
5. In conclusione, accolta la revocazione, va rigettato – in sede rescissoria – il ricorso per cassazione proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della C.T.R. della Lombardia n. 162/24/06.
Stante l’assenza di attività difensiva dell’intimata, non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio.
P.Q.M.
Accoglie la revocazione e rigetta il ricorso per cassazione proposto dall’Agenzia delle entrate.
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