CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 settembre 2017, n. 21747
Accertamento – Studi di settore – Ricostruzione presuntiva del reddito sulla base degli studi di settore – Mero divario – Legittimo solo a decorrere dal 1° gennaio 2007
Fatti di causa
La commissione tributaria provinciale di Bergamo accoglieva in parte il ricorso della società contro l’avviso di accertamento emesso sulla base di studi di settore per l’annualità 2005; in particolare ha ridotto il maggiore imponibile a un importo inferiore rispetto a quello indicato nell’atto impositivo impugnato.
La sentenza è stata confermata dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia (Ctr), che ha rigettato sia l’appello principale del Fisco, sia l’appello Incidentale della società, finalizzato ad ottenere una pronuncia del tutto favorevole.
Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società sulla base di cinque motivi, illustrati con memoria, cui l’Agenzia delle Entrate reagisce con controricorso.
Il collegio ha autorizzato la redazione della motivazione della sentenza in forma semplificata.
Ragioni della decisione
Il primo motivo deduce, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 62-sexies d.l. 30 agosto 1993, n. 331 e dell’art. 30 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.
In primo luogo la sentenza è censurata, fra le altre ragioni, per avere ritenuto legittima la ricostruzione presuntiva del reddito sulla base degli studi di settore, genericamente, «a fronte delle discrasie evidenziate dalla società per tre anni di seguito».
Il motivo è fondato nei limiti di seguito indicati. In materia è stato chiarito che «l’Amministrazione finanziaria non è legittimata a procedere all’accertamento induttivo, al di fuori delle ipotesi tipiche previste dagli artt. 39, primo comma, lett. d), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e dell’art. 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, allorché si verifichi un mero scostamento non significativo tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dagli studi di settore di cui all’art. 62 bis del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, conv. con modif. dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, ma solo quando venga ravvisata una “grave incongruenza” secondo la previsione del successivo art. 62 sexies, trovando riscontro la persistenza di tale presupposto – nel quadro di una lettura costituzionalmente orientata al rispetto del principio della capacità contributiva – anche dall’art. 10, comma 1, della legge 8 maggio 1998, n. 146, il quale, pur non contemplando espressamente il requisito della grave incongruenza, compie un rinvio recettizio al menzionato art. 62-sexies del d.l. n. 331 del 1993 (Cass. n. 20414/2014).
Questa Corte ha anche chiarito che «l’accertamento induttivo fondato sul mero divario, a prescindere dalla sua gravità, tra quanto dichiarato dal contribuente e quanto risultante dagli studi di settore è legittimo solo a decorrere dal 1° gennaio 2007, in base all’art. 1, comma 23, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, che non ha portata retroattiva, trattandosi di norma innovativa e non interpretativa, in quanto, con l’aggiunta di un inciso, ha soppresso il riferimento alle “gravi incongruenze”, prima operato tramite il rinvio recettizio all’art. 62 sexies, comma 3, del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, nella legge 29 ottobre 1993, n. 427 (Cass. n. 26481/2017)».
La sentenza è poi censurata per avere qualificato la presunzione nascente dagli studi come presunzione legale. In linea di teorica la qualificazione è discutibile, ma ciò non toglie che l’eventuale errore di qualificazione non ha avuto conseguenze sulla decisione; del resto è principio acquisito nella giurisprudenza di questa Suprema corte che gli studi di settore, una volta che sia stato osservato il rispetto del requisito del contraddittorio e gli oneri che ne discendono a carico del Fisco sul piano della motivazione dell’atto impositivo, assurgono al ruolo della presunzione idonea a spostare sul contribuente l’onere della prova contraria (Cass. n. 10242/2017).
L’errore della sentenza, pertanto, non è in questo passaggio motivazionale, e cioè nell’avere attribuito allo studio di settore un valore probatorio diverso da quello effettivo, ma esclusivamente nell’aspetto sopra indicato, e cioè che, fermo il rispetto dell ‘iter procedimentale e l’essenzialità del contraddittorio preventivo, l’inversione dell’onere probatorio nascente dallo studio non è correlata a una generica nozione di “discrasia”, ma richiede la sussistenza di una grave incongruenza del reddito dichiarato rispetto a quello risultante dallo studio di settore.
Il motivo, per questa parte, va pertanto accolto, con assorbimento degli altri motivi.
Si giustifica quindi la cassazione della sentenza, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione, che provvederà a nuovo esame attenendosi al principio di cui sopra.
P.Q.M.
Accoglie, nei termini di cui in motivazione, il primo motivo di ricorso; dichiara assorbiti tutti gli altri; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
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